Napoli capitale
ricomincio da 3Napoli e lo scudetto, trentatré anni dopo la precedente conquista. Attesa premiata da un trionfale monologo. Il viaggio di una squadra speciale, divertitasi a ridefinire il concetto di bellezza. Venerdì 5 maggio su Sky Sport Calcio alle 22.30 e disponibile on demand una nuova puntata dell'Uomo della Domenica di Giorgio Porrà
Napoli capitale, del calcio italiano, e nuovamente di se stessa, perché uno scudetto sutura ferite, alleggerisce l’anima, rischiara il futuro. Ed è vibrazione che tutto scuote, avvolge, trasforma. Con la città teatro ad esaltarsi nella sua funambolica attitudine a raccontarsi per strada. Napoli che vince e insegna. Che un calcio sostenibile si può fare, eccome. Che ogni luogo del mondo avrebbe bisogno di un po' di Napoli. E che, come si festeggia sotto il Vesuvio, non si festeggia da nessun’altra parte.
Un Napoli ‘alla Greta Garbo’
A Napoli regna sua maestà lo stupore. La scoperta dell’imprevedibile. ‘Na carta sporca a tramutarsi, d’improvviso, in splendore, in meraviglia. Come lo scudetto, questo scudetto, e che scudetto… Che a Napoli si chiama miracolo, lo è per definizione, profuma di divino, di metafisico, anche quando, ed è questo il caso, fa rima con talento, lungimiranza, strategia. Anche quando è figlio di un lungo dominio, di una solitudine divistica, da spirito appartato, alla Greta Garbo, che parlava solo con se stessa. Come questo Napoli, appunto, con l’abisso scavato in stagione ad inghiottire interlocutori solo sporadicamente all’altezza. Napoli questa è, e questa resta, surfando sulla vertigine del fresco titolo, tra mareggiate di folle in festa, facciate di palazzi tricolori, sagome dei giocatori lungo le strade, maschere di Osimhen indossate ovunque e da chiunque, e cioè seduzione sfacciata, rivelazione continua, mistero che incatena, e a cui è impossibile sfuggire, emotivamente non si può, non si deve, e per quale ragione farlo poi…
"Non potete capire Napoli, mai la capirete"
Figurarsi nel tempo della gloria, con il terzo titolo a illuminarne il già esplosivo rinascimento creativo, il salto in avanti verso un’identità ancora più potente, riconoscibile. Assieme alla guerra ai cliché, ai feroci contrasti, tra superficie e sottosuolo, tra azzurro cartolina e nero profondo, rimpianti e desideri. E alla volontà di smentire, rovesciare, l’epitaffio di Curzio Malaparte: “Non potete capire Napoli, mai la capirete”. Beh, in fondo il lavoro di Spalletti, il suo metodo progressista, in quella direzione è andato, è dentro le sue architetture, quei fraseggi da playstation con l’anima, incendiati dagli incanti di Kvaratskhelia, le tempeste di Osimhen, che il sentimento della città si è progressivamente scoperto linguaggio universale. Luminoso, chiarissimo. Comprensibile a tutti. Come mai era accaduto in passato. Forse neppure ai tempi di Diego.
approfondimento
Il film dello scudetto del Napoli
Un progetto moderno e visionario
Ora vedi Napoli, il Napoli, e poi non muori, tutt’altro. Prende vita, si consolida, l’idea di un football con vista sul domani. E di una città fiera di specchiarsi nella modernità della sua visione. Nella quale di precario, d’improvvisato non esiste traccia. A brillare, semmai, è il virtuosismo finanziario, il capolavoro di sobrietà, il no fermo ad ogni forma di illegalità. Lo certifica il volo prodigioso del club, un unicum a livello europeo, dal fallimento allo scudetto. Progetto visionario, totalizzante
Napoli e il Napoli
Relazione carnale, simbiotica. E’ così da sempre, oggi, forse, lo è persino di più. Anche se gestita con superiore equilibrio, picchi emotivi meno marcati, persino con dosi più modiche di scaramanzia, come nell’attesa che si compisse l’evento, anzi “quella cosa là…” Certo, la vita sempre intesa come intervallo tra due partite. Ma con benzina nuova a corroborare il legame. Con il Napoli a spiegare alla città, a chi la respira, a chi la governa, che la bellezza, quella autentica, è meglio curarla, che dissiparla, tenerla in pugno che lasciarla randagia. Come in certe strepitose tappe nella corsa Champions, vetrina mai tradita, sino all’uscita ai quarti, traguardo in precedenza mai raggiunto. Il dogma dell’estetica fusa con l’obiettivo. La capacità di cucire arte e scienza, tradizione ed avanguardia. Il punto fermo di una squadra orchestra, di una stagione formidabile, il focus mai perso di vista da Osimhen e i suoi fratelli. E colpevolmente da altri trascurato. Soprattutto dalla concorrenza. E magari, un po', anche in casa propria.
"Gioia a portata di mano"
Napoli e il Napoli. E uno scudetto che diventa “gioia a portata di mano”, per dirla con Raffaele La Capria, in quello che resta il più vero tra gli avamposti d’umanità, anche tra i conflitti, le lacerazioni. Tricolore che spazza via la percezione, il sospetto, sempre in agguato, nonostante la crescita, le vittorie, di un destino comunque da incompresi, da confinati nelle retrovie. E che si trasforma in collante nella geografia degli opposti, degli strati sociali in apparenza inconciliabili, e poi in narrazione avvincente nella città più esagerata, fuori scala, più cinematografica di tutte. E che spinge nuove divinità nel sangue di un popolo che nulla dimentica, nulla trascura della sua dimensione più sacra, più epica. Perché se vinci uno scudetto, e quindi realizzi il miracolo, e ricominci da tre, come nella poetica di Troisi, sei destinato ad abitare per sempre nelle vene dei napoletani di qualunque generazione. Ed è la storia a stabilirlo. Non soltanto quella scolpita da Maradona. E perché ogni nuova conquista, come il fresco scudetto, sembra riportarci al luglio 1984, a quella messianica apparizione, e quindi all’origine di tutto, al decollo della storia, a quel pallone lanciato per aria come guanto di sfida, che quel giorno capovolse, indirizzò il destino di una città e della sua gente. Che oggi si è ripresa i suoi sogni. Decisa a tenerseli stretti.