Pellissier: "Dal bob alla tripletta alla Juve. Col Chievo una lunghissima storia d'amore"

Sei nato ad Aosta e sei originario di Fénis, un paesino di montagna di poco meno di duemila abitanti. Hai subito giocato a calcio da bambino o hai praticato altri sport? “Sci, normale, fondo, bob… un po’ di tutto, ho praticato quasi tutto. Però ho scelto il calcio, perché era quello che mi piaceva di più e potevo farlo anche in casa. L'inverno facevo anche altro, ma per me il calcio era tutto” Tuo padre faceva il macellaio, hai mai lavorato con lui? “Sì, d’estate andavo a dargli una mano. Lui non me l’ha mai chiesto, ma mi faceva piacere e a volte mi dava anche la paghetta” Come ti ha scoperto il Torino? “C’era un campus in paese ed era venuti gli osservatori del Torino. Mi avevano visto e mi hanno portato giù a fare un provino” Con i granata hai esordito in Serie B, ma poi sei andato in prestito al Varese in C1 e lì hai incontrato Di Natale? “Sì, all’epoca si facevano ancora i trasferimenti ad ottobre. In realtà sono andato per sostituirlo perché non si trovava bene. Ci siamo incrociati 2-3 giorni” Dal Torino sei passato al Chievo, ma inizialmente non giocavi. Sei andato in prestito alla SPAL, dove hai fatto 17 gol in 44 presenze. Ma Ferrara è importante anche per un altro motivo… “A Ferrara ho passato un bell’anno e mezzo e ho incontrato la ragazza che poi è diventata mia moglie. Faceva la cameriera nel ristorante in cui andavamo sempre” Dalla C con la SPAL, sei passato direttamente alla Coppa Uefa col Chievo, giocando anche contro la Stella Rossa. Che impatto ha avuto questo salto di categoria? “Enorme. È stato un salto pazzesco, non semplice all’inizio. Perché ti ritrovi da un giorno all’altro con un’intensità e una qualità totalmente diverse” C’è un motivo dietro il numero 31? “Quell’anno volevo l’11, ma era già preso. Ho optato per il 21, ma poi era arrivato Bierhoff che era legato a quel numero 9. Allora gliel’ho lasciato, ho tenuto l’1 messo il 3 per il 31” Che insegnamenti ti ha lasciato Bierhoff? “Tanti. Lui è stato fondamentale per farci crescere anche come mentalità al Chievo. Ci ha insegnato ad abituarci alla Serie A, a curare di più l’organizzazione, la professionalità. Veniva da grandi squadre come il Milan, portava un’esperienza enorme” Chievo è una realtà molto piccola, come una famiglia. Ti ricordi qualche episodio memorabile con i tifosi, fuori dal campo? “Ma guarda, c’era sempre questa abitudine con i calcio club, di presentarsi, di andare a conoscere i tifosi. Essendo una realtà piccola, non eri assalito. Potevi chiacchierare con loro, diventava tutto molto più amichevole” Delneri è diventato celebre sui social per il suo modo di parlare. Tu lo capivi? Che rapporto avevate? “Era come un papà, molto severo per certe cose ma ti spiegava molto bene ed era sicuro di sé. Parlava rapidamente solo durante la partita o in momenti d’agitazione, ma in allenamento era chiarissimo” Al Chievo hai avuto tanti compagni. C’è qualcuno che secondo te avrebbe meritato palcoscenici più importanti, ma non è riuscito a fare il grande salto? “Ti direi di no. Il Chievo è stato un trampolino di lancio per giocatori che poi hanno continuato a fare bene, oppure che sono arrivati già grandi, o altri che sono diventati grandi dopo essere andati via. Il Chievo era un mix perfetto per permettere ai giocatori di lavorare nel modo giusto e tirar fuori il massimo” Nel 2006 arriva la storica qualificazione ai preliminari di Champions. Tu segni 13 gol. In quel periodo si era fatta avanti qualche squadra per te? “Devo dire che il Chievo non ha mai preso in considerazione di mandarmi via. Hanno sempre fatto muro, quindi tante offerte magari non sono neanche arrivate fino a me” Nel 2009 invece fai una tripletta alla Juventus. Cosa ti ricordi di quel giorno? “È stato un giorno incredibile. In pochi sono riusciti a fare una tripletta contro la Juve a Torino. Quando realizzi di aver fatto una cosa del genere, davanti a campioni come Del Piero e Buffon, l’emozione ti rimane dentro per sempre” Proprio dopo quella tripletta, Lippi ti ha convocato in Nazionale. Hai giocato e fatto gol contro l’Irlanda del Nord. Te l’aspettavi? “No, è stato un regalo inaspettato, davvero. Avevo trent’anni... Invece è arrivata questa convocazione, ed è stato uno dei giorni più belli della mia carriera” C’è stato un momento, quando Corini era allenatore, in cui hai chiesto la cessione perché non trovavi spazio… “Quando ti rendi conto che le persone non ti vogliono, o comunque non ti considerano più parte del progetto, è giusto che tu provi a fare qualcosa altrove. Per me soffrire in panchina, senza giocare, dopo tutto quello che avevo dato... mi faceva male. Poi però sono venuti i tifosi sotto casa e mi hanno fatto capire che, per loro, io ero importante a prescindere. Quella cosa mi ha fatto riflettere. Ho capito che lì avevo una famiglia, e che forse era giusto chiudere con loro” Ti sei ritirato nel 2019, qualche anno dopo è arrivata la notizia del fallimento del Chievo. Ti ricordi dov’eri o cosa stavi facendo? “Era una notizia che ci stavamo aspettando, quindi ero preparato. Però non è stata semplice. Tutto quello a cui avevo contribuito con sacrifici, sudore, anni, rischiava di sparire nel nulla. E la cosa più dolorosa era pensare che un domani mio nipote mi avrebbe chiesto dove avevo giocato, e se gli avessi detto ‘al Chievo’ mi avrebbe risposto: ‘E cosa è?’ Quello faceva male davvero” Ora il Chievo è ripartito grazie a te. Avete riacquistato il marchio, siete ripartiti dalla Terza Categoria, sei anche sceso in campo, hai fatto anche due gol e ora siete in Serie D. Tra quanto possiamo rivedere il Chievo in Serie A? “Sognare non costa niente. Ho iniziato da capo per cercare di raggiungere un obiettivo che magari oggi sembra impossibile, ma che per me vale la pena provare a inseguire. Se riuscissimo a tornare anche solo nei professionisti, dopo che quattro anni fa non c’era più nulla… sarebbe un traguardo incredibile” Fuori dal campo per un periodo hai avuto una churrascaria… “Sì, è qui a Verona. Avevo partecipato all’inizio solo come socio finanziatore, poi pian piano gli altri soci se ne sono andati e alla fine sono rimasto solo io. Però era troppo impegnativo, e così ho deciso di venderla” Oggi, fuori dal campo, come occupi il tuo tempo libero? “Oggi sono presidente onorario del nuovo Chievo, ma faccio anche il direttore sportivo quindi continuo a essere impegnato” Cosa significa per te essere stato un bomber di provincia? “Significa aver dovuto lottare sempre. Perché non avevi 20 occasioni a partita, non giocavi con tutti campioni, non avevi favori arbitrali o vantaggi. Dovevi guadagnarti tutto. E questo ti spingeva a dare ancora di più, ad allenarti più forte, a impegnarti per raggiungere i tuoi obiettivi. Io me la sono goduta, grazie ai gol, ma anche grazie al Chievo e a chi mi ha dato l’opportunità di fare questa carriera. Sono stato fortunato, davvero”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Pellissier: "Dal bob alla tripletta alla Juve. Col Chievo una lunghissima storia d'amore"

Andrea Molinari