Serse Cosmi, dalla panchina al palco

In fondo, la voce da attore, Serse Cosmi ce l’ha sempre avuta e pure quel modo teatrale di interpretare lo stare in panchina. Il tutto però in maniera spontanea e non costruita, senza che ci fosse ‘nessuna recitazione’ perché, a detta di colui che potremmo ribattezzare in maniera scherzosa ‘allenattore’, “recitazione può essere un termine ambiguo per chi si occupa di sport, perché devi credere in quello che fai. Di sicuro - aggiunge - da parte mia non c’era la volontà di essere attore”. Ma la vena teatrale gli viene riconosciuta anche dai giocatori che ha incrociato nel suo cammino: Fabrizio Miccoli, nel Palermo e Marco Materazzi, nel Perugia, che lo definisce “un attore, ma competente” a sottolineare l’aspetto preponderante del DNA di Cosmi: il suo essere uomo di campo. Ma proprio il suo istrionismo, i suoi gesti eclatanti e il suo registro vocale basso, roco e graffiato, erano diventati popolari, tanto da venire imitati da Maurizio Crozza a inizio secolo, quando “essere presi in giro dalla Gialappa’s era più importante che passare al telegiornale”, come recita nel suo spettacolo ‘Solo Coppi temo’. Il tormentone “ti spezzo una gamba” lo aveva reso famosissimo, ma la rilettura sul palco di quegli sketch ha un retrogusto amaro perché “lo show ti dà molto, ma ti ruba anche di più”. E allora, quello che è andato in scena all’Auditorium di San Francesco al Prato a Perugia, non è uno show, ma il racconto di un allenatore che dal campetto di Ponte San Giovanni è riuscito ad arrivare alla Serie A, e i cui traguardi raggiunti diventano un omaggio al padre Antonio, che scelse di chiamarlo Serse, non come il re persiano, ma in onore del fratello di Fausto Coppi, caduto e poi morto alla fine di una gara. Un percorso costruito attraverso la messa in scena di Alessandro Riccini Ricci, con l’accompagnamento pregnante delle note di Giovanni Guidi e Dj Ralf, perché la musica ha sempre avuto un posto importante nella vita di Cosmi: fu tra i primi in Italia a introdurla durante gli allenamenti di aerobica e intervenne immediatamente proprio sulla playlist nello spogliatoio, quando arrivò alla sua prima panchina in Serie A con il Perugia di Gaucci. E, secondo l’allenatore, anche grazie a quel cambio di ritmo la squadra si salvò e non solo: il 23 dicembre del 2000, contro il Milan, arrivò la prima vittoria a San Siro nella storia del club. Racconto e passaggio particolarmente suggestivo questo, nella narrazione di una storia che passa dalla sua città al mare, quello di Genova “gomitolo di vie, di carrugi, labirintica… Genoa è vittoria, sconfitta e destino”: come quello della stagione 2004-05 in cui Cosmi portò il Grifone alla promozione diretta in seria A, poi revocata per questioni giudiziarie della società che era allora di Preziosi. Montagne russe di un allenatore abituato a stare sulle barricate e che, come giocatore di riferimento, non poteva che scegliere Eric Cantona, “un non allineato, un ribelle”: Cantona The King “l’uomo che disse che il suo miglior gol, era un passaggio”. E infatti nel monologo ‘Solo Coppi temo’ si sottolinea per contrasto l’omologazione, lo stereotipo del giocatore che ha “la faccia da calciatore, la macchina da calciatore, la fidanzata da calciatore e i vestiti da calciatore”, con una riflessione che porta l’allenatore a pensare che questi “calciatori veri, non lo diventeranno mai e forse faticheranno anche a diventare uomini”. Non è semplicemente un giudizio, ma un commento che approda poi alla considerazione che chiude il monologo: “Sono Serse Cosmi. Non lo so se la mia vita sia giusta o sbagliata: è questa. E basta”. Ma dove si vede nell’immediato futuro? In panchina o sul palco? Meglio in entrambi i luoghi, ma di sicuro la volontà di Serse Cosmi è quella di allenare, tant’è che a fine spettacolo rivendica, anche con un pizzico d’orgoglio, di voler essere lui “a scegliere di chiudere la carriera e non gli altri”. Coerente con il personaggio. Fino in fondo.

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Serse Cosmi, dalla panchina al palco

Sara Benci