Marani: "Il calcio comincia con la C". Intervista esclusiva al presidente della Lega Pro

Matteo Marani è un presidente appagato e felice. Orgoglioso, soprattutto. Del duro lavoro svolto in questo anno e mezzo sul terreno mezzo disastrato della Serie C e dei frutti prontamente raccolti dopo l’intervento dei suoi collaboratori. A chiudere gli occhi e riaprirli all’improvviso 13 mesi dopo sembra di vivere in un’altra Lega Pro, quasi un universo parallelo rispetto a quello che l’ha accolto il 9 febbraio del 2023. A confermarlo allo stesso dirigente sono arrivati, ultima testimonianza, gli applausi coi quali è stato salutato da tutti i presidenti al termine dell’Assemblea dello scorso giugno. “Mi hanno commosso, veramente”, ci rivela quando glieli ricordiamo a metà della nostra chiacchierata prima della sua breve pausa di meritato riposo estivo, “perché sono il segno tangibile del lavoro che ho fatto e del nuovo clima che si vive nel mondo della Serie C. Essere riuscito a cambiarlo, soprattutto in così poco tempo, è l’aspetto che mi rende maggiormente orgoglioso”. Un Veni, Vidi, Vici applicato alla dirigenza sportiva che poche altre volte si è visto in queste tempistiche e con questa efficacia. Da tutti i punti di vista. Qualità del gioco, qualità del prodotto televisivo, tifosi che hanno ripreso a popolare gli stadi e quell’inedita capacità di raccogliere introiti dai diritti tv da reinvestire in progetti a lungo termine, che puntino al rafforzamento della base del calcio. “Perché è questo che è la Serie C”, ci ripete Marani più volte durante la nostra chiacchierata, “è la base del calcio”. Durante la regular season della passata stagione, rispetto a quella 2022-2023, la Lega Pro ha registrato un incremento di spettatori allo stadio del 32%, portando il numero complessivo alla cifra di quasi 3 milioni; addirittura raddoppiata, invece, la quota relativa agli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi , sui quali però ci sarebbe ancora tanto lavoro da poter fare. Ma, soprattutto, una nuova atmosfera, come comincia a spiegarci il presidente quando gli chiediamo cosa secondo lui è cambiato maggiormente dopo il suo arrivo alla guida della Lega. “Quando sono arrivato, due anni fa, c’era un’aria pesantissima, permeata di tristezza e rassegnazione. Da molti, praticamente da tutti, sentivo ripetermi che non c’era modo di cambiare le cose, che non sarei riuscito a migliorare le dinamiche di un settore destinato a un lento ma inesorabile spegnimento. Oggi, invece, vedo entusiasmo e voglia di fare, gli occhi lucidi e la gioia dei presidenti che mi ringraziano dicendomi di essere orgogliosi, finalmente, di fare parte di questa categoria. E alla fine, oltre che del mio fantastico staff, è soprattutto merito loro, dei presidenti, se siamo arrivati così presto a questo punto. Se oggi la C va così bene da diversi punti di vista è perché i club si sono fidati di me, hanno saputo ascoltarmi e ascoltarci nei tanti tavoli permanenti che abbiamo costruito e nei quali abbiamo parlato di riforme, giovani, introiti e marketing. Sono stato messo nella condizione per poter lavorare al meglio e poter così ripagare a mia volta la loro fiducia”. Entriamo un po’ nel dettaglio e parliamo un po’ di numeri Il primo aspetto che voglio sottolineare è quello produttivo, forse lo sforzo più grande che abbiamo compiuto nella passata stagione. Siamo riusciti di fatto a raddoppiare l’efficienza produttiva e la qualità del prodotto, piazzando sui campi della Serie C il doppio delle telecamere che normalmente componevano l’asset produttivo. Inoltre, abbiamo compiuto uno sforzo ancora maggiore durante i playoff, che abbiamo prodotto con un minimo di 7 camere a partita per poterci permettere il Var, vera svolta della passata stagione. È stata un’operazione molto costosa ma che ci è servita per una doppia funzione: garantire una maggiore tutela a favore della regolarità dei nostri playoff, nei quali ci sono state pochissime polemiche, e aumentare ancora di più la qualità del nostro prodotto, che alla fine della stagione è stato visto da tantissime persone. Sono stati i playoff più visti di sempre, con dei picchi clamorosi per Vicenza-Avellino e una finale vista da quasi 2milioni di persone. Con queste premesse non sarà facile migliorare ancora, ma quali sono i vostri obiettivi per questa stagione? Prima di tutto consolidare l’enorme espansione produttiva dello scorso anno, che è sempre la cosa più difficile. Poi abbiamo un’idea che stiamo cercando di realizzare, un regalo per gli abbonati Sky: riportare in Serie C il format di Diretta Gol. Per aumentare ancora di più lo spettacolo e la qualità di visione per lo spettatore. A proposito, fammi fare un ringraziamento a Sky per tutto il lavoro che sta facendo e per l’enorme valorizzazione del prodotto Serie C, sia durante le dirette delle partite che su Sky Sport 24 col programma Area C curato da Marco Demicheli e Luca Mastrorilli. Un matrimonio veramente utile a entrambi: a Sky per mantenere viva l’anima popolare del calcio, a noi per riuscire a offrire un prodotto di livello elevato. E, inoltre, è la smentita di una tesi che in molti hanno sempre sostenuto, ovvero che la diretta televisiva porti via spettatori dallo stadio. L’anno scorso con noi è successo esattamente il contrario, abbiamo fatto un milione di tifosi in più. E perché? Perché siamo più visibili in tv, perché i tifosi si sono accorti di quanto sia bello il nostro campionato. Sono convinto che non sia come si dice e che il rapporto sia direttamente proporzionale: più possibilità hai di vedere un tipo di calcio, soprattutto se prodotto in queto modo, più hai voglia di andarlo a vedere dal vivo. A proposito di tv e di introiti dalla vendita dei diritti, non credi si debba procedere anche in Italia nella stessa direzione della Premier, che coi propri diritti cede anche quelli delle leghe minori, con evidente ritorno di tutto il movimento che incassa complessivamente di più? Credo proprio sia un modello vincente e sono stato io stesso a ricordarlo in uno degli ultimi Consigli Federali. Sarebbe giusto e importante cominciare a ragionare il più possibile di sistema secondo quella che è una massima quasi scontata ma quasi sempre mai applicata, almeno in Italia: divisi si è più deboli, uniti si è più forti. A mio modo di vedere uno dei problemi del calcio italiano è la frammentazione degli interessi, il fatto che si pensi solo a difendere il proprio fortino, che non si cerchi mai di ragionare in maniera complessiva. All’inizio del 2000 il calcio tedesco ha vissuto un momento drammatico e in quel momento la Bundesliga si è fatta carico del problema immettendo nel sistema calcio, a favore di tutte le altre leghe minori, centinaia di milioni di Euro. Questo si dovrebbe fare. Quando si perde a Berlino nel modo in cui l’Italia ha perso contro la Svizzera a venire sconfitta non è solo la Federazione, ma tutto il movimento. È tutto collegato, non si può pensare di isolarci nel nostro orticello, pensiamo ad esempio alla valorizzazione della Liga e del calcio spagnolo dopo l’exploit della Selecion di De La Fuente con Yamal e Nico Williams in copertina. Si vince tutti quando la Nazionale e il nostro movimento vanno bene. Uno dei fiori all’occhiello del tuo mandato è rappresentato da quella che molti conoscono come la riforma Zola. Ci inquadri intanto il senso e l’obiettivo della manovra? Lo sforzo degli investimenti delle società deve per forza di cose andare verso il settore giovanile ed è proprio in questa direzione che vuole portare la riforma: alimentare la crescita della base del nostro calcio. I club devono capire che bisogna investire sul talento e farlo bene, ma devono anche essere accompagnati in questo percorso e incentivati. E l’idea di Zola è stata quella di premiare di più non solo le squadre che utilizzano i giovani ma quelle che fanno giocare i propri talenti, quelli cresciuti nel settore giovanile. D’altronde, nessuno meglio di Gianfranco conosce la strada del talento che arriva dalla provincia e sa come riuscire a valorizzare le qualità dei giovani. Devo ammettere che ha svolto un grandissimo lavoro, ha ascoltato tutti i club, girando l’Italia e sedendosi a tutti i tavoli di lavoro che abbiamo organizzato con i diversi club e che, tra parentesi, in molti mi dicevano che non saremmo riusciti a concretizzare. E, invece, alla fine è venuta fuori l’unica vera grande novità nel panorama per la valorizzazione dei nostri giovani. Per chi non sa di cosa stiamo parlando, prova a spiegarci meglio in cosa consiste È di fatto una vera e propria rivoluzione copernicana nel contesto delle riforme per i giovani, che porterà a quadruplicare le risorse a disposizione per i club. Tutto parte dall’allargamento del concetto di minutaggio : fino a ieri tutti i giovani erano considerati uguali, sia che arrivassero in prestito da un club di A o B sia che fossero un prodotto del proprio settore giovanile. Invece, con questa riforma, i giovani cresciuti nel vivaio avranno un peso molto maggiore, che verrà contato anche fino al 400% rispetto agli altri, costringendo di fatto le società a investire sulla formazione in casa dei talenti. Poi ci sono altri fattori, come il pagamento dei formatori e degli impianti, ma è chiaro che la cosa che stiamo dicendo, per far sì che la riforma abbia il maggior effetto possibile, è che abbiamo bisogno di risorse per mettere contenuto nella riforma. È proprio questo il punto che mi preme maggiormente sottolineare: non si può ragionare in senso propositivo e di crescita riducendo la spesa, bisogna capire come e dove direzionare il flusso degli investimenti e ottenere gli incentivi necessari. Per crescere bisogna costruire. Stesso discorso vale per le società di Serie A, per crescere bisogna costruire dalla base. E in questo contesto si inseriscono perfettamente le seconde squadre, fenomeno che voi della Serie C avete accolto con grande entusiasmo. Dopo la Juve, l’anno scorso è arrivata anche l’Atalanta e quest’anno il Milan: cosa danno queste squadre al vostro campionato e cosa rischiano, eventualmente, di togliere? Le seconde squadre non sono una scelta della Lega Pro ma sono il frutto di una norma federale voluta da Fabbricini, il commissario dell’epoca, e soprattutto della visione del vicecommissario Billy Costacurta. Per noi sono una risorsa e anche un’opportunità. Dopo l’ingresso iniziale della Juventus nella passata stagione si è aggiunta l’Atalanta e ora anche il Milan , elemento che ha certamente aumentato la visibilità del nostro campionato, aggiungendo interesse anche per gli spettatori e trascinando probabilmente diversi tifosi di Juve e Atalanta a vedere le partite delle loro seconde squadre. Che restano, al pari della Serie C, la base del nostro calcio, il serbatoio dal quale poter attingere in momenti di difficoltà e il luogo ideale nel quale far crescere i giovani. Ma, proprio per questo, bisogna riconoscere ai club della Serie C una disponibilità totale e assoluta nell’aprire il proprio campionato a queste nuove squadre, che sono sempre più centrali anche a livello europeo. Non è certamente un caso se la Spagna che ha vinto l’Europeo aveva 20 giocatori sui 26 in rosa che hanno iniziato nelle seconde squadre, con 17 dei quali che hanno collezionato almeno 50 presenze nelle seconde squadre. I nostri spettatori evidentemente già lo sanno , ma per concludere proviamo a spiegare a chi ancora non l’ha vista perché bisogna seguire la Serie C Now su Sky Perché è la rappresentazione più fedele del calcio italiano. Un campionato che abbraccia l’intero paese da Trento a Trieste a Messina e Trapani, passando per 19 regioni e 60 città, con oltre 15 milioni di cittadini e 5 milioni di tifosi coinvolti. La Serie C fa parte della cultura del nostro paese, è un movimento di massa e una presenza capillare e non so se venga sempre compreso fino in fondo quanto sia importante il volume di questa categoria, oltre alla sua storia, alla sua identità e al fatto che sia la base della piramide, fondamentale per sorreggere i vertici. Di fatto è il primo passo per entrare nel calcio che conta.

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Marani: "Il calcio comincia con la C". Intervista esclusiva al presidente della Lega Pro