Il calcio nella Capitale oltre Roma e Lazio: la storia delle tante terze squadre romane

Chi è nata prima, chi porta il nome della città. La lupa che allattò Romolo e Remo, l'aquila delle vecchie legioni romane. La rivalità tra Roma e Lazio affonda nella storia e nella simbologia, gli sfottò tra tifosi vertono da sempre sulla più vitale delle questioni, essere la prima squadra della Capitale. Ogni tifoseria ribadisce la sua verità, con una solida certezza: essere le uniche due squadre della Capitale. Ma è proprio così? Sì, no, forse. Se a Roma non è mai esistito un terzo club che si sia mai spinto al livello dei primi due, c'è però un fervente microcosmo di società nel mondo dilettantistico e giovanile che in passato ha raggiunto grandi exploit. Storie di quartieri che sono riusciti a uscire dal Grande Raccordo Anulare. Dopo aver rilevato la proprietà dell'Ostiamare in Serie D, Daniele De Rossi nella sua prima conferenza stampa da presidente non ha escluso alcun tipo di scenario: “Diventare il terzo polo calcistico di Roma? Obiettivo ambizioso ma non impossibile, a Londra hanno tantissime squadre in Premier”. E anche se, come ha ricordato il diretto interessato, bisogna prima salvarsi e poi pensare a un ritorno nel professionismo in Serie C, avere un orizzonte aiuta a programmare meglio il futuro. L'Ostiamare assaggiò la C2 già tra il 1989 e il 1991, due stagioni prima di tornare a competere nei campionati regionali e poi risalire in D. Fu quasi una comparsa, soprattutto se paragonata a società che si sono concesse il lusso di puntare alla Serie B, di giocare in Coppa Italia, di non retrocedere mai e di disputare addirittura trofei internazionali. Lodigiani, più realtà che sogno “La Lodigiani giocherà in Serie A”, cantava per la prima volta Fabrizio Moro nel 2015 in ‘Alessandra sarà sempre più bella’, testo in cui immaginava un futuro utopico tra “automobili che andranno da sole” e “ricchi che andranno in ferie su Marte”. Difficilmente il cantautore romano poteva conoscere l'agenda di Elon Musk, ma sicuramente si era imbattuto nell'entusiasmo per quella squadra di calcio esplosa nel suo stesso quartiere, San Basilio. Da lì era partita negli anni Settanta la storia della Lodigiani, nata come squadra aziendale del colosso edilizio Lodigiani Costruzioni in seconda categoria e diventata un modello gestionale per decenni, capace anche di sopravvivere alle future difficoltà finanziarie della sua proprietà. Giocò allo stadio ‘Francesca Gianni’ di San Basilio fino al 1983, anno della promozione dalla D alla C2. Su quel campo, al termine della partita decisiva vinta 4-3 contro l'Orbetello, scortato dal fondatore e presidente Giuseppe Malvicini andò a festeggiare anche Nils Liedholm, diventato campione d'Italia una settimana prima sulla panchina della Roma. Iniziò così, con questa sorta di idillio cittadino e aggiungendo anche la Coppa Italia dilettanti, un'avventura nel professionismo lunga 22 anni, divisa tra 12 stagioni di Serie C2 e 10 di C1. Quest'ultima arrivò nel 1992 e fu festeggiata a Matera con 200 tifosi al seguito. La Lodigiani ebbe il merito di inserirsi nelle abitudini della città, diventando la protagonista del ‘sabato al Flaminio’, lo stadio in cui si spostò per giocare la Serie C nel giorno dedicatole, per non accavallarsi con gli impegni domenicali di Roma e Lazio. Già i colori sociali, metà bianca come la Lazio e metà rossa come la Roma, rendevano la Lodigiani una squadra equidistante dalle due principali, una realtà che rivendicava sé stessa e vedeva sempre più da vicino le cugine, non solo per la poca distanza che separa l'Olimpico dal Flaminio, 4 km percorribili in 10 minuti di auto. Una distanza colmata il 5 giugno 1994, giorno di Lodigiani-Salernitana. Nella prima stagione con i 3 punti per vittoria e l'introduzione di una promozione in Serie B attraverso la nuova formula dei playoff, la Lodigiani giocò la semifinale contro i campani all'Olimpico, scelto per ospitare i tanti tifosi previsti. Furono 23mila, di cui 15mila granata che si presentarono con uno striscione per omaggiare Agostino Di Bartolomei, suicidatosi il precedente 30 maggio con un colpo di pistola. Viveva a Castellabate, in provincia di Salerno, ma soprattutto era il capitano della Roma campione d'Italia nel 1983, lo stesso anno della promozione della Lodigiani in C2. Promozione che non arrivò quella volta, perché al pareggio per 1-1 all'Olimpico seguì la sconfitta 4-0 al ritorno. La Lodigiani visse poi stagioni di grande tranquillità, seppur abituandosi a lottare per la salvezza. La filosofia societaria non cambiò mai: valorizzare calciatori giovani, soprattutto del proprio vivaio, puntando a rivenderli a grandi cifre. Sostenibilità e player trading ante-litteram, prima che le idee prendessero la forma di sostantivi brandizzati. Dalla Lodigiani passarono Emiliano Moretti, David Di Michele e Luca Toni, 15 gol nel campionato 1998/1999. Se la ‘trasferta all'Olimpico’ per i playoff rimase il risultato sportivo più alto mai raggiunto, il più affascinante avvenne invece poco dopo, il 22 agosto, quando al Flaminio fu ospitata l'Inter per il primo turno di Coppa Italia. Il brutto campionato dei nerazzurri e l'ottimo dei biancorossi avevano permesso di creare questo insolito accoppiamento all'alba della nuova stagione. Con Bergomi capitano, fresco vincitore della Coppa Uefa pochi mesi prima, l'Inter vinse 3-0 con un'autorete di Roberto Sala e i gol di Pancev e Berti. Essere una delle poche squadre italiane ad aver fatto segnare Pancev non è di sicuro un motivo di vanto, ma a distanza di anni anche quel gol rappresenta per la Lodigiani una testimonianza in più della sua felice esistenza e dei traguardi tagliati. Una piccola perla nostalgica, così come la voce di Bruno Pizzul che commentò quella partita e che ancora si può vedere e ascoltare in rete. Il nome Lodigiani è scomparso dalla lista delle squadre di Serie C nel 2005. La squadra era retrocessa anche in Serie C2 qualche anno prima, ma nel frattempo qualcun altro aveva fatto strada. Luca Toni era diventato il centravanti titolare dell'Italia e nel 2006 giocò la finale dei Mondiali contro la Francia. In coppia con lui Francesco Totti, tre anni da giovanissimo alla Lodigiani dal 1986 al 1989, prima di essere comprato dalla Roma in cambio di 300 milioni di lire e due calciatori, Stefano Placidi e Gianni Cavezzi. Dalla Cisco all'Atletico, stelle e sondaggi La crescita di una squadra può poggiare su solide basi territoriali e organizzative, o essere soprattutto il frutto dell'ambizione di ricchi gruppi imprenditoriali. Dopo aver prima sostenuto la squadra del quartiere Tor Sapienza in Eccellenza e poi quella del quartiere Collatino fino alla D, l'azienda Cisco nel 2003 decise di aggiungere a quest'ultima la Lodigiani, trasformandola l'anno seguente in Cisco Lodigiani Calcio . Il cambio di denominazione causò le proteste di alcuni dirigenti e dei tifosi dell'ormai storico club, nonostante il raggiungimento della finale playoff per il ritorno in C1 persa contro il Ravenna. La frattura diventò insanabile nel 2005, quando la vecchia Lodigiani diventò a tutti gli effetti ‘Cisco Calcio’ e venne fondata altrove la ‘Nuova Lodigiani’ con sola attività di settore giovanile. Oggi esistono due realtà distinte: l'Atletico Lodigiani in Serie D con sede al Francesca Gianni e la Lodigiani Calcio 1972 in Eccellenza con sede a La Borghesiana. La nuova Cisco Roma restò al Flaminio con ambizioni intatte di salire in Serie C1, testimoniate addirittura dalla firma di Paolo Di Canio, in rosa dal 2006 fino al ritiro nel marzo del 2008. Arrivarono però solo piazzamenti e delusioni fino al 2010, anno della promozione grazie ai playoff vinti contro Brindisi e Catanzaro. Il salto fu stimolato da un nuovo cambio di proprietà, con i costruttori Mario e Davide Ciaccia al timone. Si impose un restyling: il nome Cisco, foriero di liti e incomprensioni, venne abrogato per lasciare spazio a uno scelto dai tifosi con un sondaggio sul sito della società, anche per cercare di ricucire quel sentimento popolare in parte venuto meno dopo l'addio della vecchia Lodigiani. Le opzioni furono Atletico Roma, Roma Capitale, Parioli Roma, Urbe Capitolina e Roman Football Club. Vinse il primo nome, che accompagnò le sorti della squadra dai nuovi colori bianco-blu solo per la stagione successiva. Nonostante una scintillante campagna acquisti che portò Roberto Baronio, Mauro Esposito e Daniele Franceschini, il cammino della squadra si interruppe ai playoff, in finale contro la Juve Stabia. Come per la Lodigiani, le speranze si infransero contro una campana. Si infransero in ogni senso, perché l'estate successiva la Figc respinse l'iscrizione dell'Atletico al campionato e la società andò incontro al fallimento. Di quel sogno d'un sondaggio di mezza estate soltanto il giovane bomber Daniel Ciofani arrivò a sfidare Roma e Lazio, segnando anche un gol all'Olimpico contro i giallorossi con la maglia del Frosinone nell'anno del suo esordio in Serie A. La squadra mai retrocessa “Quanno sei arrivato in cima poi solo scenne”. Così il Freddo avverte il Libanese nella prima stagione di Romanzo Criminale: una rilettura romana del mito di Icaro, colui che aveva osato volare troppo vicino al sole prima di vedere le sue ali di cera sciogliersi. La storia del calcio è sempre stata piena di uomini che compiono il passo più lungo della gamba per salire il più velocemente possibile la piramide. Un rischio che non ha corso il Banco di Roma, squadra dell'omonimo istituto di credito fondata nel 1970 in Prima Categoria e arrivata già nel 1978 in Serie C2. Giallorossa come la Roma, giocava nel centro sportivo di Settebagni in un campo con circa 7mila posti in tribuna, un lusso per l'epoca e la categoria. Giocò due volte all'Olimpico. La prima nel 1975, quando vinse la finale di Coppa Italia Dilettanti contro la Larcianese, guadagnandosi il diritto di giocare una competizione mitologica, la Coppa Ottorino Barassi, intitolata all'ex presidente della Lega Dilettanti e organizzata dalla Figc e dalla Federazione inglese: dal 1968 al 1976 si sfidarono le vincenti della Coppa Italia Dilettanti e della FA Amateur Cup. Il Banco di Roma venne sconfitto nel doppio scontro dallo Staines Town: quella volta andò male all'Olimpico. Ci si consolò nel 1978 con la promozione nella neonata Serie C2. Sarà il massimo della storia del Banco, finita nel 1983 dopo una serie di tranquille salvezze. La società preferì ritirare la squadra di calcio per concentrarsi su quella di basket, appena diventata campione d'Italia: arrivarono anche la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale nel 1984. Una scelta lungimirante, in cui il coraggio di non investire nel più attrattivo ma costoso calcio regalò finalmente alla città eterna una squadra campione d'Europa e del mondo . In compenso il Banco calcistico può fregiarsi per sempre del titolo di squadra mai retrocessa. Altri pionieri e ultimi tentativi Prima e a differenza del Banco di Roma, la Coppa Ottorino Barassi venne giocata e vinta dall'ALMAS Roma nel 1969 contro il North Shields . ALMAS è l'acronimo di Appio Latino Metronio Associazione Sportiva. Fondata da un gruppo di commercianti del quartiere Appio-Latino nel 1944, indossa da sempre i colori bianco-verdi ispirati al Celtic e ha giocato in Serie C2 dal 1978 al 1982. La sua casa è il campo Sant'Anna di via Demetriade, a pochi passi dal parco dell'Appia Antica, dove gioca ancora in Prima Categoria e nel quale è transitato un discreto numero di talenti, da Vincenzo D'Amico e Giuseppe Giannini fino ai più recenti Giampiero Pinzi e Lorenzo Pellegrini. La storia è poi disseminata di altri nomi più lontani nel tempo, dal Casalotti alla Tevere Roma, dalla Chinotto Neri all'Albatrastevere fino alle più recenti Lupa Roma e Racing Roma, realtà col vizio di essere poco radicate nel territorio. La prima è stata in Lega Pro dal 2014 al 2017, la seconda solo nel 2016/2017, quando diedero vita a un insolito derby professionistico. Erano due società nate altrove, a Frascati e ai Castelli Romani, che avevano trasferito la sede legale a Roma per poi incappare in veloci retrocessioni, fallimenti o altri spostamenti di città. La Lupa giocò addirittura le partite casalinghe a Tivoli e ad Aprilia. La carenza di strutture è un altro limite che rende oggi Roma una città troppo piccola per tre squadre di alto livello nonostante un'estensione di 1.287 km². Quelli di Londra sono 1580.

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Bernardo Cianfrocca