Il paradosso dell'indispensabilità

Per duemiladuecentoquarantasette minuti sono stati una coppia. In campo non sono pochi, l’equivalente di venticinque partite. Nella vita reale sarebbero un giorno e mezzo. Dybala e Lukaku, insieme, sono stati praticamente un’avventura. E in fondo come immagine ci sta: i grandi amori, anche nel calcio, sono un’altra cosa. Al di là del tempo trascorso insieme conta lo spazio condiviso. Paulo Dybala e Romelo Lukaku sono stati come la spina della corrente elettrica e la sua presa nel muro di una stanza buia: appena accostati, sono stati capaci di suscitare scintille nel cuore dei tifosi e accendere la speranza di tornare ad essere grandi. Quanta energia sia poi realmente passata attraverso il loro contatto è difficile valutarlo. Quei minuti insieme, in realtà, sono stati diluiti in 35 partite ma ne avrebbero potuto giocare 52 se gli infortuni non avessero tormentato prima l’uno e poi l’altro, pizzicando i muscoli di quei corpi così diversi, che condividono solo la data di nascita: 1993. Quando sono stati in campo in contemporanea, Lukaku ha segnato 16 reti, quattro su assist di Paulo, che con Romelu al suo fianco ne ha realizzati 11 , beneficiando di appena due passaggi di Lukaku. Che non siano più una coppia insomma non è un assurdo, anche se poi le ragioni sono essenzialmente economiche e non tecniche. Eppure, più che un assurdo, oggi rappresentano un paradosso: incarnano, ancora in coppia, il concetto di indispensabile e il suo contrario, come in un dizionario delle esperienze umane che per ogni definizione ci propone il suo senso e l’esatto opposto. Il romanista, forse ancora per poco, è il manifesto vivente del concetto più diffuso in qualsiasi ambito professionale, ovvero l’idea che tutti siano utili e nessuno indispensabile. Si può fare a meno di chiunque, anche se quel chiunque è oggettivamente il più bravo della combriccola, ma se è anche il più costoso e il meno continuo si deve riflettere. Che la Roma ragioni così, che anche De Rossi possa condividere i principi di questa logica, sta nella storia del club e anche in quella del suo allenatore, per il quale un giorno lo stesso club ha deciso che non fosse più indispensabile, benché lui sentisse di poter dare ancora tanto. Nel mondo del lavoro funziona così. Chi lo rinnega però, nella stessa piazza, ne contesta proprio la premessa: che il calcio sia un lavoro come un altro, un’azienda come un’altra, un settore industriale al pari degli altri. Antonio Conte invece contempla la categoria del necessario. E Lukaku ne è l’esempio perfetto: per giocare non bastano la palla e undici giocatori, ma serve Big Rom. L’amarezza nebulizzata nell’aria della sala stampa di Castelvolturno, alla vigilia del debutto, chiarisce quanto ritenga inaccettabile che quell’unica vera richiesta fatta al suo arrivo non sia ancora esaudita. Lukaku è semplicemente indispensabile. In questi giorni di riferimenti biblici sui giorni della creazione, Romelu ci appare come Adamo, l’unico attaccante sulla faccia della Terra, senza andare a scomodare i comandamenti, anche se la parafrasi è facile facile: "Non avrai altro centravanti al di fuori di Lukaku". E dire che una delle stagioni più esaltanti del Napoli, Scudetto a parte, è stata quella in cui l’allenatore di allora il centravanti dovette inventarselo con un altro ragazzo belga che non aveva il fisico di Romelu. Ma quanta classe. Eppure, persino Ciro Mertens, meraviglioso attaccante dello spazio, trascinatore della squadra in campo e della gente al Maradona, non si è rivelato indispensabile per il Tricolore. Non a caso il suo nome è tornato come termine di paragone in queste ore inquiete per metà Capitale, in cui qualche certezza si sta sgretolando sotto i colpi delle clausole di rinnovo. Roma sta attraversando una rivoluzione di sistema e non deve chiudere gli occhi, ma guardarla in faccia. È passata in dodici mesi dal "giocapauloealtridieci" alla panchina di Cagliari, forse anticamera di un Terminal di Fiumicino. Lì, come ovunque, serve equilibrio. Pensare di fare a meno di un giocatore si può. Forse anche volerlo a tutti i costi. Pensare di fare a meno della bellezza, e che la bellezza si declini in un solo modo, no. Quella sì, che per accendere la luce in certe stanze buie, è davvero indispensabile. P.S: L’allenatore che inventava centravanti per necessità era lo stesso che si lamentava, forse troppo, delle condizioni di certi terreni della Serie A. Quanta ragione gli avremmo dato già alla prima giornata. Ecco cosa rientra davvero nella categoria del necessario per giocare bene a calcio, il campo, tutto il resto chissà…