Che sia la Vuelta buona?

Bocciati a maggio o luglio ? Rimandati a settembre . Il giudizio lo espresse una volta un professore dei diesse, Eusebio Unzué, gran mogol della Banesto di Indurain e dal 2011 deus ex machina della Movistar. Il Giro di Spagna è una sorta di esame di riparazione per chi ha fallito, o magari neppure si è presentato, agli appelli d’Italia e di Francia. L’albo d’oro, come il registro delle assenze, in questo senso, gli dà ampia ragione. Naturalmente da quando, nel 1995 , la maggiore corsa spagnola è stata spostata da aprile a settembre, proprio per non fare concorrenza alla nostra ‘Festa di maggio’. E figurarsi a quella francese di luglio. E infatti sono tanti, e grossi, i nomi che ce l’hanno fatta: subito Laurent Jalabert, appena giù dal podio nella sua Francia e in cima allo stesso in Spagna nel 1995; il back-to-back 1996-97 dello svizzero Alex Zülle, prima di crollare al cospetto del Pantani doppiettista Giro-Tour l’anno dopo; lo spagnolo Abraham Olano, ‘gemello’ diverso del connazionale Miguel Indurain, il controesempio che invece ha vinto due Giri e cinque Tour, peraltro tutti consecutivi, ma mai la corsa di casa; poi Alberto Contador, con il bis post-affaire-clenbuterolo per cui gli fu revocato il Tour 2010; il nostro Fabio Aru, secondo al Giro 2015 proprio alle spalle del Pistolero madrileno e primo a quella Vuelta davanti a Joaquim ‘Purito’ Rodríguez; e nel 2016 Nairo Quintana terzo alla Grande Boucle vinta da Chris Froome, poi a sua volta secondo sul podio spagnolo con lo stesso ‘Condorito’ e l’altro colombiano Esteban Chavez. Ma in tempi recenti forse nessuno più di Primož Roglić, con la sua hat-trick filata ha esemplificato al meglio il teorema unzuéiano. A ogni successo in maglia roja , una delusione giallo-rosa da riscattare. E puntualmente riscattata. Terzo al Giro nel 2019 con i primi cinque giorni in rosa, due successi di tappa e qualche scintilla in corsa, reciprocamente evitabile, con Vincenzo Nibali , aveva poi staccato a 2’33” l’Imbatido murciano Alejandro Valverde e a 2’55” un certo Tadej Pogačar. Il giovane connazionale al debutto in un grande giro e che l’anno dopo gli sfilerà – per 59” – il Tour al penultimo giorno nella cronoscalata di La Planche des Belles Filles. Quella in cui a Roglić tutto andò storto. Già dal casco. Nel 2020 l’ex saltatore con gli sci si era poi consolato con la seconda Vuelta in fila, per appena 24” su Richard Carapaz, ancora in forma spaziale dopo aver vinto uno storico oro olimpico nella prova in linea ai Giochi di Tokyo. Era il 24 luglio. Già, perché in piena èra da Covid-19, quell’anno il Tour si corse dal 29 agosto al 20 settembre e la Vuelta dal 20 ottobre all’8 novembre. Ma per i delusi da Grande Boucle pur sempre di esame di riparazione si trattava. In ultimo, ma solo in ordine di tempo, il trionfo del 2021. Forse la dimostrazione di maggior supremazia di Roglić in Spagna, a prescindere da numero di tappe vinte e distacchi. E arrivato dopo la caduta – l’ennesima nel ricco faldone di strisciate dello sloveno – e il ritiro alla nona tappa del Tour. Se alla Vuelta 2020, lunga ‘sole’ 18 tappe, la maglia roja era stata solo sulle spalle sue e di Carapaz, nel 2021 l’avevano indossata pure l’estone Rein Taaramäe, il francese Kenny Elissonde e il danese Odd Christian Eiking, nessuno dei quali con reali chance di sfoggiarla a Madrid. Quanto ai distacchi, i 4’42” sullo spagnolo Enric Mas e i 7’40” sull’australiano Jack Haig parlano da soli. Il copione sembrava destinato a un inevitabile sequel nel 2022, ma Roglić – essendo Roglić – ne aveva poi interpretata una versione tutta sua, se possibile ancora più dolorosa. E stavolta senza redenzione. Caduto al Tour, e non partito alla 15ª tappa, era finito giù anche alla Vuelta, e non partito alla 17ª. In roja a Madrid era così arrivato il belga Remco Evenepoel, alla prima affermazione in un grande giro e alla facciazza di chi non lo riteneva adatto alle corse di tre settimane. Sul podio con lui i due poli opposti delle grandi speranze spagnole: a 2’02” il solito Mas, nato per non vincere , a 4’57” l’astro nascente Juan Ayuso. La Vuelta 2024 ci dirà se la caduta dell’11 luglio a Villeneuve-sur-Lot, che ha costretto Roglić a non partire l’indomani nella 17ª tappa al Tour, sarà stata ‘riparata’ a settembre con un podio finale. Roglić, e come lui il suo compagno Alexsander Vlasov , saranno infatti al via. E la cosa non era scontata. Alla fine, il loro diesse Rolf Aldag ha detto che ci saranno, ma che tutto dipenderà da come avranno recuperato da quegli incidenti. Non per mettere le mani avanti, ma certo non la migliore delle preparazioni possibili. Eppure, senza i ‘Big Three’ Pogačar-Vingegaard-Evenepoel – il podio del Tour – per il neonato trinomio Red Bull-Bora-Hansgrohe è l’occasione della vita. In particolare, per Roglić: l’unico in attività che potrebbe già agganciare lo spagnolo Roberto Heras, con quattro successi finali il recordman all-time della Vuelta. A dargli una mano, al di là di possibili ambizioni personali, “Dani” Felipe Martínez, secondo e primo degli umani dietro l’alieno Tadej al Giro. Il mondo al contrario Tempo un anno però non solo è cambiato il mondo, è cambiato il mondo della Visma. Nel 2023, ancora abbinata Jumbo come main-sponsor, era la squadra più forte e vittoriosa nel World Tour. Imbarazzante il dominio esercitato sui tre grandi giri: mai nella storia la stessa squadra li aveva vinti nella stessa stagione. I gialloneri ci sono riusciti con Roglić al Giro, Vingegaard al Tour e lo statunitense Sepp Kuss alla Vuelta, scortato – altro inedito assoluto – sul podio madrileno dai suoi stessi teorici capitani: Jonas secondo e Primož terzo. Le squadre di ciclismo però sono Gruppi Sportivi, concetto diverso e non assimilabile a “scuderie”, ergo certe decisioni prese da “muretto” di rado vengono recepite, e accettate, dai diretti interessati, con il relativo e richiesto spirito aziendalista. Lì, infatti, s’è di fatto sancito l’addio di Roglić, che a 34 anni sapeva di dover migrare per almeno poter ambire a vincere il Tour. Chance altrimenti preclusagli da separati in casa con Vingegaard. Dodici mesi dopo, associata alla Lease-a-Bike, la jella più perniciosa si è abbattuta sulla corazzata olandese, risorta come araba fenice sulle ceneri della discussa Rabobank . Incidenti, cadute, ritiri in serie hanno trasformato i ‘Calabroni’ da quasi Invincible Armata a una sorta di ‘Calimero del circuito pro’, con il sommo epigono nel troppo spesso ‘solo’ piazzato Wout Van Aert. Un fuoriclasse – completissimo – al pari dei ‘Big Three’ senza però il killer instinct naturale del Vincente per antonomasia, e suo perenne rivale sin dall’età prepuberale, Mathieu van der Poel. A proposito, la Vuelta 2024 sarà il secondo grande giro in carriera per WVA, che sin qui ha corso ‘soltanto’ al Tour: sei partecipazioni, con due ritiri. La formazione al via è comunque fortissima, con i rientri di Uijtdebroeks e van Baarle, e la batteria di super gregari come il nostro Edoardo Affini, Robert Gesink, Steven Kruijswijk e Attila Valter che lavoreranno in primis per Van Aert e Kuss. Quest’anno però il ruolo di faro del movimento appartiene alla UAE Emirates, che anche senza la superstar Pogačar e lo scalpitante predestinato Ayuso può schierare in questa Vuelta un superteam, co-capitanato da Adam Yates e João Almeida, protagonisti, specie il portoghese, di uno splendido Tour corso al servizio di Pogačar e pure concluso in top ten: quarto Yates, sesto Almeida. Con loro anche lo statunitense Brandon McNulty, i solidi Pavel Sivakov e Marc Soler, il nostro Filippo Baroncini all’esordio , il redivivo Jay Vine lui pure dopo la spaventosa caduta ai Paesi Baschi del 4 aprile e però già vittorioso l’8 agosto a Pampliega nella quarta tappa della Vuelta a Burgos; e soprattutto la Grande Speranza messicana Isaac Del Toro, al debutto in un grande giro dopo aver vinto il Tour de l’Avenir 2023 e incantato tutti al suo primo anno da pro’. Quanto a squadroni, o ex tali, deve riscattare una stagione sin qui così così la Ineos Grenadiers, che si affida anch’essa a due co-capitani: lo spagnolo Carlos Rodríguez, quinto al Tour 2023 e settimo quest’anno, e il neerlandese Thymen Arensman, quinto alla Vuelta 2022. Nelle crono, occhio al bimbone-prodigio Joshua Tarling, il gallese medaglia di legno – con lacrime e concausa una foratura – dietro Remco, Ganna e Van Aert ai Giochi di Parigi 2024 e sicura superstar nel prossimo decennio di prove contro il tempo. Underdogs e cacciatori di tappe L’etichetta potrebbe stare stretta o larga, a seconda, per sicuri talenti ancora parzialmente inespressi come lo scalatore irlandese Eddie Dunbar nella Jayco-Alula di Alessandro De Marchi e Filippo Zana; il crono-grimpeur danese Mattias Skjelmose , maglia bianca allo Svizzera e neocampione nazionale a cronometro e atteso alla conferma da leader per le tre settimane dopo aver fatto terzo, a 23 anni, allo Svizzera e ai Paesi Baschi e quarto alla Parigi-Nizza; e infine Antonio Tiberi, splendido quinto al debutto e maglia bianca al Giro che alla Vuelta, la sua terza consecutiva, sarà pilotato da compagni di grande esperienza e acume tattico come Damiano Caruso e l’australiano Jack Haig, terzo nel 2021. Tra i cacciatori di tappa, più che per la generale che abbiamo visto non essere cosa sua, un Giulio Ciccone insieme deluso per la mancata top ten al Tour ma anche rinfrancato dall’essersi finalmente messo alle spalle una serie interminabile di problemi vari , e sempre occorsigli in vista di momenti importanti. ‘Cicco’ però dovrà farsi spazio nella Lidl-Trek dello stesso Skjelmose e di Tao Geoghegan Hart, il londinese vincitore del Giro 2020 che nella corsa rosa un anno fa ebbe quel terribile incidente da cui ha faticato a riprendersi. Il nono posto finale al Romandia è stato un segnale positivo, ma i ritiri al Delfinato e alla Burgos con in mezzo il Tour saltato fanno di questo 79° Giro di Spagna il più unzuéiano degli esami di riparazione. Chissà che senza Tadej, Jonas e Remco sia, anche per lui come per Roglić e gli altri big rimasti nella starting list, la Vuelta buona. Corridori in cerca di autore Non per infierire sul povero ricco Unzué, ma la sua Movistar sta diventando un caso di specie, per non dire clinico. Spesso criticata per le tattiche di corsa a volte incomprensibili ai più , nella gara di casa la multinazionale spagnola non potrà nascondersi: e il solo farsi vedere non basterà più. Come non sarà sufficiente, al maiorchino Mas, l’ennesimo eventuale piazzamento. Secondo nel 2018 dietro Simon Yates da grande promessa del ciclismo nazionale, e poi alle spalle dei fenomeni Roglić ed Evenepoel , stavolta avrà l’appoggio – si spera – del rigenerato Nairo Quintana, di Einer Rubio e di Oier Lazkano. La Spagna non vince la Vuelta da dieci anni: l’ultimo, Albertino Contador nel 2014. E senza Ayuso alla partenza, molto se non tutto lascia pensare che la striscia negativa proseguirà per almeno un’altra stagione. Lasciare la Movistar ha invece fatto benone a Mikel Landa. Il basco, finalmente sgravato da responsabilità di leadership mai state nelle sue corde , non solo si è dimostrato un perfetto uomo-squadra per il Remco Evenepoel debuttante al Tour ma è addirittura finito quinto nella generale. Lo stesso miglior risultato ottenuto alla Vuelta, giusto un anno fa. “Il landismo – una sorta di filosofia del non-vincente di successo – non cambierà”, ha dichiarato lui stesso a El País. “Forse avrei potuto vincere di più, ma non lo cambierei”. A 34 anni, un bis della epica vittoria di Andorra nel 2015 – la sua sola alla Vuelta – sarebbe però tanta, tantissima roba. Anche per i landisti più irriducibili. Rinfrancato dal quarto posto al Giro, e da una super stagione della Decathlon AG2R La Mondiale del geniale diesse Vincent Lavenu, c’è attesa per Ben O’Connor. Dopo i deludenti Tour 2022 e 2023, il ventottenne australiano deve “decidere” e soprattutto dimostrare che cosa fare da grande. Secondo all’UAE Tour e al Tour of the Alps e quinto alla Tirreno-Adriatico nella prima metà di stagione, saprà ripetersi nella seconda? Come piano-B, ma per le tappe e specie dove si sale per davvero, gli ‘eroi’ di un giorno come l’austriaco Felix Gall e lo scricciolo francese Valentin Paret-Peintre, spettacolare vincitore a Bocca della Selva quest’anno al Giro. Alla seconda tappa, salendo verso Oropa, l’improvvido ‘Big Ben’ fu l’unico che – novello Icaro – provò a rispondere a un attacco di Pogačar, prima di saltare. “Sono stato stupido: se ti avvicini troppo al sole, ti bruci”. Lezione imparata? Uno che ha capito tutto è Richard Carapaz. Poche vittorie ma pesantissime. E quando punta un obiettivo, che sia un Giro una medaglia , un tappone e una maglia al Tour 2024, difficile che la ‘Locomotora del Carchi’ lo sbagli. La caduta allo Svizzera poteva compromettergli questa stagione e di certo gli è costata la dolorosa e polemica mancata convocazione con l’Ecuador per i Giochi di Parigi. Ma ora tutto quel che viene – per dirla con Thomas Ceccon – è cioccolata. Fosse il secondo podio dopo il piazzato del 2020 ed esserci già salito a Giro e Tour , sarebbe ancora più squisita. Percorso moderno senza garagismi La Vuelta #79 riparte da là dove, nel 1997, tutto – le ormai finanziariamente irrinunciabili partenze estere – era cominciato: Lisbona, nel limitrofo Portogallo. Seconda volta che succede. Si comincia e si finisce con due cronometro individuali di 12 e 22 km una fatica lunga 21 tappe in tre settimane con due giorni di riposo di lunedì – standard ASO ormai inderogabile – e 3304,6 km di tantissima montagna, poche chance per i fugaioli e rare volate . Disegno moderno con tappe nervose e tutte entro i duecento km . Alla quarta il primo dei sei arrivi in salita, al Pico Villuercas. Lo spauracchio sarà il Cuitu Negru alla 15ª, il 1° settembre, vigilia dell’ultimo riposo. Subito dopo, in un’edizione senza il terribile Angliru, l’altro classico ricorrente è il traguardo ai Laghi di Covadonga. La classifica però la deciderà il trittico conclusivo: Alto de Moncalvillo alla 19ª, il Picón Blanco alla 20ª e appunto la crono finale madrilena. La corsa la fanno sempre i corridori, okay. Ma in generale, l’impressione a priori è che persino ASO si sia stufata delle improbabili rampe ‘di garage’ viste in troppe delle ultime edizioni. Il più delle volte, tanta fatica per il nulla cosmico della generale. E almeno in questo, sì: quella 2024 è già la Vuelta buona.