2024, l'Odissea nella leggenda di Tadej Pogacar

Facciamo l’elenco dei chilometri in fuga solitaria di Tadej Pogačar in questa stagione ciclistica conclusa con il Giro di Lombardia, corsa stravinta, dominata, sublimata dal 26enne sloveno da Klanec-Komenda: Strade Bianche, -81,1 km 2ª tappa Giro di Catalogna, -6,5 km 3ª tappa Giro di Catalogna, -7,3 km 6ª tappa Giro di Catalogna, -29,2 km Liegi-Bastogne-Liegi, -34,4 km 2ª tappa Giro d’Italia, -4,3 km 15ª tappa Giro d’Italia, -13,9 km 20ª tappa Giro d’Italia, -34,1 km 4ª tappa Tour de France, -19,3 km 14ª tappa Tour de France, -4,6 km 15ª tappa Tour de France, -5,4 km 19ª tappa Tour de France, -8,7 km GP di Montréal, -23,3 km Mondiale a Zurigo, -51,6 km di fuga solitaria Giro dell’Emilia, -37 km Giro di Lombardia, -48,5 km Il totale fa 409,2 km percorsi in solitudine, che diventano 459,2 se si considerano anche i primi 50 km di attacco sulle strade di Zurigo. Potremmo aver sbagliato di qualche metro ma ciò che conta è la sostanza del dato, la costante del pedalare spesso e molto volentieri da solo verso il traguardo. Questi i successi in stagione di Pogačar: Strade Bianche, 4 tappe e classifica finale al Giro di Catalogna, Liegi-Bastogne-Liegi, 6 tappe e classifica finale al Giro d’Italia, 6 tappe e classifica finale al Tour de France, GP di Montréal, Mondiale a Zurigo, Giro dell’Emilia, Giro di Lombardia. Fanno 25 trionfi nel 2024 , e se la quantità in sé è già ragguardevole, è da sottolineare soprattutto la qualità. Nessun corridore, nella storia del ciclismo, aveva mai vinto nella stessa stagione Giro, Tour, il Mondiale e due classiche monumento. E aggiungiamo, perché doveroso, il terzo posto alla Milano-Sanremo. Tadej con il Lombardia eguaglia il record di Fausto Coppi con quattro successi consecutivi nella “Classica delle foglie morte”. Potremmo continuare a snocciolare altri record del fenomeno sloveno. Quello che resta, oltre ai numeri, le statistiche, i primati sbriciolati, è la sensazione che ci sarà un prima e un dopo questo 2024 del ciclismo, e che ci sia un prima e un dopo rispetto a Tadej Pogačar. Così come abbiamo la certezza che ne arriveranno altri, di record. Nel palmarès gli mancano solo tre grandi corse: la Parigi-Roubaix, la Milano-Sanremo e la Vuelta, si accettano scommesse sul quando, non sul se, le farà sue. Fin qui i numeri. Ma guardando il calendario World Tour e come Pogačar lo ha affrontato, stupisce la precisione chirurgica con la quale la neo-maglia iridata, con la sua squadra, lo staff e gli inseparabili manager, ha pianificato la stagione, calcolando in modo preciso le corse e i periodi di riposo e di allenamento. La rinuncia ai Giochi Olimpici per preparare al meglio il Mondiale ne è un esempio illuminante. Nulla è stato lasciato al caso, gli obiettivi sono stati fissati e preparati con abnegazione e seguendo tabelle rigorose, senza badare al risparmio: rispetto ad altri corridori, anche del recente passato, che sceglievano poche e selezionate gare, Pogačar quest’anno ha corso relativamente parecchio. Insomma, torniamo al concetto precedente, non è tanto il quanto ma il come. Al Tour del 2023 era emersa qualche lacuna e lui con la squadra e il suo team ci ha lavorato, eliminando anche quelle piccole sbavature. È diventato ancora più dominante di quanto già non fosse, lavorando in primo luogo su se stesso. Alimentazione, allenamenti, piccole attenzioni quotidiane in più. Certo, la natura gli ha donato talenti che suscitano meraviglia e ammirazione. Ma lui ha saputi coltivarli, con un incessante lavoro quotidiano. In un recente podcast con Peter Attia, con la sua proverbiale trasparenza Pogačar ha spiegato il suo allenamento-tipo: “Mi piace lavorare in Zona 2, pedalo per 5 ore tra i 140 e i 150 battiti al minuto, a 320-340 watt medi”. Parole che hanno scatenato lo stupore generale di chi mastica di metodologie di allenamento e zone di intensità . Qualcosa di fenomenale, di assoluto. Dicevamo anche delle attenzioni. Al Mondiale di Zurigo, saltato un rifornimento, subito dopo ha chiamato l’ammiraglia per farsi dare una borraccia. Significa avere – anche in gara – una concentrazione maniacale sui dettagli, e tra questi c’è il fattore-alimentazione. Un altro degli aspetti sottolineati nell’intervista con Peter Attia. Fino a qualche anno fa si pensava che il massimo di carboidrati da assumere in corsa fosse di 40 g/h, ora si arriva a 120. Ma è stato lo stesso Tadej a spiegare: “Per arrivare a 120g/h di carboidrati ci ho messo un bel po’ di tempo, per abituare il mio organismo ad assimilarli”. Poi c’è il carattere. Pogačar è un ragazzo di oggi, spensierato e determinato. Con qualcosa in più rispetto agli altri: quasi non sente la fatica, soprattutto mentale. Sempre sorridente, anche in gara. Non ha lo sguardo sofferente di Jonas Vingegaard o momenti di rabbia come Remco Evenepoel . Correre in bicicletta gli piace, e si vede. Sempre. Non guarda al passato come paragone, ed è alla ricerca di nuovi traguardi. Ha la famelicità dei campioni nel voler sempre alzare l’asticella, vedere fin dove si può spingere, non per spocchia o per presunzione, ma per ambizione di voler superare il limite. E non si nasconde. Ci mette la faccia. Alla Strade Bianche sembrava scherzasse, alla vigilia, nell’annunciare un suo possibile attacco sul Monte Sante Marie, e poi ha attaccato proprio là. Conferma la partecipazione a Giro e Tour e lo fa chiarendo che la doppietta è un suo obiettivo. Rinuncia ai Giochi Olimpici di Parigi dicendo che l’altro suo grande obiettivo della stagione è il Mondiale, e qui è l’unica volta che forse stupisce anche se stesso, attaccando ai -100km e dichiarando, a fine gara, con grande candore, di essere consapevole di aver azzardato forse un po’ troppo. Al Lombardia non c’è stato neanche bisogno di chiederselo: sapevamo tutti che avrebbe attaccato sulla Colma di Sormano, il dubbio era su quale settore di salita avrebbe salutato tutti. Sente come una missione il voler regalare attacchi e spettacolo al pubblico, sa di dover dare quello che la gente si aspetta. Con un’attenzione soprattutto ai più piccoli, ai quali non manca di donare preziosi souvenir, anche durante la corsa. Si carica ascoltando in pullman musica un po’ “tamarra” e accennando qualche passo di ballo techno. Vive una vita serena con la sua inseparabile fidanzata Urška Žigart, concedendo qualche stanza di vita ai social ma senza esagerare, mostrando una quotidianità di assoluta semplicità, senza sfarzo, essenziale, eppure restituendo un senso di pienezza, di compiuta realizzazione personale, di pace con se stesso. Non si nasconde mai, lo ripetiamo. Quando gli chiedono di Eddy Merckx risponde sincero che non ama i paragoni con il passato, che lui vuole solo essere il migliore della propria epoca. Lo afferma non per noncuranza ma proprio per il grande rispetto che nutre per i grandi del passato. Ci ha poi pensato lo stesso Merckx a dichiarare che sì, Tadej è più forte di lui. Un’incoronazione che farebbe perdere la testa a chiunque. Con il “grande vecchio” da Cambiago, Ernesto Colnago che conferma le parole del Cannibale. E Colnago se ne intende, per lui i due sono come un figlio e un nipote. Pogačar ci mette la faccia anche quando gli chiedono del doping, l’ombra che sul ciclismo sembra essere una condanna preventiva a vita, come per nessun altro sport. “Ci saranno sempre invidie e sospetti, non posso farci nulla – ha detto alla vigilia del Lombardia – Storie di dominio ce ne sono ovunque, negli affari come nello sport. Dura qualche anno, finché non arriva un nuovo talento. Se metti a rischio la tua salute per dieci anni di carriera, è come buttare via la tua vita: non voglio correre il rischio di ammalarmi". Aggiungendo: “Il ciclismo è vittima del proprio passato, quando i corridori facevano di tutto per essere i migliori, anche a costo di rischiare la salute e la vita. Non solo i vincitori. Corridori di cui oggi nemmeno ricordiamo più il nome hanno problemi di salute o psicologici a causa di ciò che hanno preso trent’anni fa. Il ciclismo sta ancora soffrendo per quegli anni. Verso questo sport non c’è fiducia e non so cosa possiamo fare per riconquistarla. Dobbiamo solo correre le nostre gare e sperare che la gente cominci a credere in noi. Ma ci sarà sempre un vincitore, e il vincitore sta sotto i riflettori ed è sospettato di essere un imbroglione. Forse, tra qualche generazione, la gente dimenticherà il passato, scorderà Armstrong e ciò che succedeva all'epoca. Il nostro è uno sport già abbastanza pericoloso così com'è con gli incidenti…". Tadej ci mette la faccia per la sua squadra, sempre, quando vince e quando perde. Come dopo la crisi al Tour del 2023 sul Col de la Loze, nella tappa di Courchevel, quando perse 5’45” nei confronti di Vingegaard ma ringraziò comunque la squadra per avergli permesso di restare secondo in classifica generale. E quando trionfa le sue prime parole sono per l’aiuto ricevuto da parte dei compagni. O come quando si è presentato in sala stampa a parlare a nome del gruppo, dopo la decisione dei corridori di fermarsi e l’annullamento della Tre Valli Varesine a causa del maltempo. Poi c’è il gesto tecnico. Nessuno come lui sa pedalare in mezzo al plotone, sapendo sempre come e dove posizionarsi per correre meno rischi e spendere il meno possibile, forse solo il Vincenzo Nibali del Tour 2014, tra i corridori più recenti, in questo gli si avvicina. In discesa Pogačar pennella le curve mantenendo sempre grandi velocità, tanto che guadagna in picchiata quasi quanto sulle scalate. In salita è irresistibile, con uno schema che si ripete con impressionante continuità. Gli uomini della UAE Emirates si mettono in testa, ciascuno con ruolo e chilometraggi precisi di marcia in testa al gruppo. Pogačar indica ai compagni il ritmo da tenere, che inesorabilmente aumenta, fino a quando l’ultimo gregario si sposta e lo sloveno parte. E là avviene qualcosa di magico: non è tanto la sua fiammata a far male agli avversari, quanto il ritmo. È con quello che diventa devastante, chi prova a tenerlo finisce bruciato, esausto, salta come un birillo. Alla partenza del Lombardia c’era quasi una rassegnazione generale negli avversari: in ogni dichiarazione pre-gara c’era già la consapevolezza che la gara poteva vincerla solo Tadej. Gli avversari sono consapevoli che, quest’anno, il ritmo di Pogačar per loro non è sostenibile, neanche solo avvicinabile. Lo sa bene Evenepoel, che è un fenomeno e al Lombardia è arrivato secondo con oltre tre minuti di distacco. Tre minuti al campione olimpico su strada e a cronometro. Al Lombardia, di ciuffetti a sbucargli dal casco Tadej ne aveva quattro o cinque, un altro suo marchio di fabbrica. Migliaia di persone a bordo strada ne invocavano il nome, come una settimana prima al Giro dell’Emilia. Non è italiano ma al popolo del ciclismo, il meno sciovinista e “irredentista”, non importa: è fantastico vedere i video delle persone assiepate alla curva delle Orfanelle che, sotto la pioggia battente, urlano “Tadej, Tadej” come fossero allo stadio. Per qualche istante sembrava di essere al Camp Nou che intonava “Messi, Messi”. Erano in migliaia anche sul Ghisallo, sulla Colma di Sormano, sul San Fermo della Battaglia. È fantastico vedere i bambini a bordo strada sognanti, nella speranza di ricevere da lui un cinque o con l’ormai classico cartello colorato con la scritta: “Tadej mi regali la borraccia?”. Anche nei discorsi quotidiani il nome di Pogačar fa capolino come simbolo di strapotere. Un po’ come Michael Jordan all’epoca dei Chicago Bulls, come Ayrton Senna per la F1, come Valentino Rossi per la MotoGP. Qualcuno che sai essere l’essenza stessa di quello sport. Ha vestito tutti i colori del ciclismo, il giallo-Tour, il rosa-Giro, l’arcobaleno-mondo. E non si fermerà. L’Odissea nella leggenda continua. «E i pedali mutai in ali al folle volo, oltre l’umano», potremmo parafrasare senza vergognarci di scomodare Dante nella sua versione gucciniana . Perché per descrivere Tadej Pogačar, 26enne sloveno da Klanec-Komenda, serve attingere dall’epica. Non c’è altra strada, bisogna inchinarsi alla retorica, correndo il rischio di risultare barocchi e pomposi. Ma è forse persino necessario per riaffermare dove stia veramente l’epica, in un’epoca in cui siamo troppo abituati ai superlativi, in cui tutto diventa straordinario, meraviglioso , con il risultato che nulla alla fine lo sia per davvero. Il ciclismo ha il suo Ulisse, si chiama Pogačar.

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