Squalo 40: auguri, Vincenzo Nibali

Qualche giorno fa si è fatto un regalo di compleanno in anticipo, risalendo in sella per partecipare al Tour de France Prudential Singapore Criterium e onorare l’ultima gara ufficiale di Mark Cavendish. Il britannico che ha salutato le corse vincendo in volata, e nella squadra delle leggende uno come Nibali non poteva mancare. Vincenzo da Messina, detto ‘Lo squalo dello Stretto’ per la vocazione all’attacco, compie 40 anni. Rivederlo pedalare in una gara, seppur poco più che un’esibizione, aumenta la nostalgia, assolutamente canaglia, tra gli appassionati della bicicletta. Ne eravamo già consapevoli nell’ottobre 2022, alla sua ultima corsa da professionista, il Giro di Lombardia . Sapevamo che negli anni il valore della sua carriera sarebbe apparso più chiaramente nella sua grandezza, che ne avremmo sentito la mancanza più con il trascorrere del tempo che nell’immediatezza del ritiro. Forse anche perché, suo limite e forse suo pregio, Nibali non ha mai voluto indossare i panni del personaggio mediatico, nazionalpopolare come si diceva una volta. Schivo, forse persino timido con il mondo esterno, non ha cavalcato l’onda dei propri successi, non li ha resi ‘instagrammabili’, social, non ha fatto autopromozione se non proprio quando ha smesso di correre. Ha semplicemente interpretato al massimo il suo ruolo sulla strada, quello di corridore che ha come legge morale quella di onorare la corsa sempre, che significa rispettare il pubblico a bordo strada, lungo le salite, dando tutto ciò che aveva per fare spettacolo in gara. Forse il più antico dei contemporanei e il più contemporaneo degli antichi, con quello sguardo un po’ malinconico e i modi da corridore d’altri tempi. E al tempo stesso con quella maniacale attenzione ai dettagli che si è imposta nel ciclismo di oggi. È stato tra i corridori italiani più vincenti di sempre, uno dei sette nella storia del ciclismo, a vincere tutti e tre i grandi Giri . Scusate se è poco, ma aggiungiamo il carico che queste vittorie, e in generale tutta la sua carriera, portano il segno dell’intelligenza. Sì, perché Nibali ha vinto non solo con le gambe e con un talento di altissimo livello, ma anche e soprattutto con la testa. Sono trascorsi dieci anni dal suo trionfo al Tour, nel 2014. Una Grande Boucle conquistata attaccando già alla seconda tappa, a Sheffield, con indosso la maglia tricolore di campione italiano. E costruita pezzo per pezzo grazie alla capacità di capire dove la corsa sarebbe stata decisa. La ricognizione con la squadra sulle strade della Roubaix e la successiva strategia nella tappa di Arenberg, la quinta di quel Tour, ne sono la dimostrazione. Chris Froome, l’avversario più temibile e tra i favoriti, cade e si ritira, Alberto Contador perde due minuti e mezzo. Vincenzo e i suoi invece volano sul pavé bagnato dalla pioggia. Poi il successo, il 14 luglio a La Planche des Belles Filles con Contador che cade e si ritira. Un altro trionfo sulle Alpi il 18 luglio, nel centenario della nascita del suo idolo Gino Bartali, e la gemma finale il 24 sui Pirenei ad Hautacam. Al suo fianco un compagno che è stato molto di più che un gregario, Michele Scarponi. Quel Michele che nel 2016 fu determinante nella pazzesca rimonta dello Squalo nelle ultime due tappe di montagna del Giro d’Italia. Scarponi è in fuga nella 19ª tappa, la Pinerolo-Rosul, si transita sul Colle dell’Agnello. Vincenzo deve recuperare sulla maglia rosa Steven Kruijswijk e su Esteban Chaves. L’ammiraglia non ha bisogno di dire altro, Scarponi si ferma ad aspettare il proprio capitano e quando lo vede, con la sua proverbiale simpatia gli chiede: “Squalo, che ci fai qui?”. Insieme ribaltarono il Giro. Il giorno successivo, a Sant’Anna, altra vittoria di Nibali e maglia rosa strappata all’ultimo. Con Vincenzo che, all’arrivo della tappa finale di Torino, farà un evidente gesto nei confronti di Scarponi come a dirgli: ”Senza di te non ce l’avrei mai fatta”. Un legame di amicizia interrotto solo dalla tragica morte di Michele il 22 aprile 2017 sulle sue strade di casa. Con Nibali che il giorno dopo vinse per lui il Giro di Croazia, una vittoria di lacrime e rabbia. E chissà come avrebbe commentato Scarponi, l’Aquila di Filottrano, quel regalo immenso che Nibali fece al ciclismo nel 2018, alla Milano-Sanremo, con l’attacco folle – quello sì davvero d’altri tempi – sul Poggio. I sette chilometri finali vissuti in totale apnea davanti al televisore, con tifosi e appassionati con il fiato sospeso a incitarlo da vicino e da lontano, per un’impresa che resta tra le più spettacolari degli ultimi decenni. Da vedere e rivedere per comprendere appieno la portata, la qualità e la fantasia di quell’azione. Certo, ci sono stati anche momenti sfortunati. La caduta nel momento decisivo al mondiale di Firenze 2013. L’Olimpiade del 2016, con una medaglia sicura e forse d’oro già quasi sul collo, ma sfumata per una scivolata in discesa sul terribile asfalto di Rio a pochi chilometri dall’arrivo. Il Tour 2018, con la tracolla di una macchina fotografica che gli si infila nella ruota anteriore. Frattura di una vertebra e addio sogni di podio al Tour che fino a quel momento parevano ancora possibili. A ripercorrere la carriera di Nibali, oggi che compie 40 anni, viene un misto di nostalgia e gratitudine. Perché c’è la consapevolezza di quanto sia difficile, nel ciclismo azzurro, trovare un suo erede che possa competere con i meravigliosi fuoriclasse di oggi. C’è però anche la riconoscenza per averci fatto vivere momenti vertiginosi pieni di gioie, vittorie e spettacolo. Buon compleanno, Vincenzo detto lo ‘Squalo’: con tutti i doni che ci hai fatto tu, che cosa potremmo regalarti noi? Un semplice grazie non basta.

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