Davide Rebellin, il campione che non ha mai smesso di pedalare

Ancora un altro anno e poi smetto, lo aveva detto e poi fatto, Davide Rebellin, a 51 anni compiuti. Il 16 ottobre del 2022 alla Veneto Classic, sulle sue strade, aveva smesso. Ma non aveva appeso la bici al chiodo, quella bici che era stata la sua vita, perché di quell’oggetto, due ruote, dei pedali e una sella o ti viene la nausea e non la vuoi vedere più nemmeno in foto, oppure ne resti innamorato per sempre. E vivere senza pedalare per Davide Rebellin era impossibile. Usciva tutti i giorni, tranne a Natale quando stava con la famiglia, allenamenti lunghissimi anche di sei o sette ore e poi la palestra perché “con l’età diventa fondamentale”, rafforzamento e stretching. Sempre per stare in sella e pedalare per andare lontano e poi tornare, per alzare le braccia al cielo nelle vittorie e per togliersi i cattivi pensieri dalla testa nelle sconfitte sulla strada e nella vita. Perché la vita di Davide Rebellin non è stata certo delle più semplici. Anche in quel 30 novembre del 2022 Davide pedalava per passione e per scacciare le nuvole nere che aveva in testa. Il giorno prima era andato in banca per chiedere un prestito, come racconta la seconda moglie e ultima compagna di vita Françoise ‘Fanfan’ Antonini: aveva perso il ricorso contro l’Agenzia delle Entrate per delle tasse non pagate. Gli veniva contestata una residenza fittizia a Monte-Carlo, come successo a molti sportivi, ma lui nel Principato ci viveva e ci aveva persino trovato l’amore in Françoise, amante delle pedalate anche lei, incrociata una volta durante un allenamento nel 2012 e mai più lasciata. Monaco, terra d’elezione di tanti ciclisti. Dove, anche grazie a un clima mite tutto l’anno, si pedala bene, spesso in compagnia dei migliori del mondo, su percorsi spettacolari con vista mare e in relativa sicurezza. Anche per quello, oltre che agli ovvii e legali benefici fiscali inutile nasconderlo, il veneto Rebellin, una vita in giro sulle due ruote ovunque, aveva scelto di vivere lì. Lo aveva fatto nel pieno della sua lunghissima carriera, cominciata con i primi risultati rilevanti nel 1991 e finita solo 31 anni dopo. Quel 1991, con quei due risultati e non solo, mette Rebellin sulla mappa dei ciclisti di un certo rilievo. Nel 1992 va a Barcellona alle Olimpiadi da dilettante ed è la punta della squadra azzurra insieme a Mirco Gualdi e Fabio Casartelli. La squadra italiana va in fuga con Gualdi, Casartelli rientra, Rebellin fa gioco di squadra e non attacca. Il brianzolo vince allo sprint, campione olimpico. Se ne andrà, anche lui in bici e anche lui troppo presto, nel 1995 durante il Tour de France lungo la discesa del Col del Portet d’Aspet per una caduta tremenda. Torniamo a Davide: non vince ma il suo cammino è segnato. Proprio nel ’92 passa professionista con la GB-MG Maglificio Doni, la squadra di Franco Chioccioli , Franco Ballerini e Mario Cipollini . Davide viene visto, in quegli anni, come corridore da corse a tappe e grandi giri anche grazie ai piazzamenti nei primi anni di carriera. Nel ’96 vince al Giro a Monte Sirino e veste la maglia rosa per sei giorni chiudendo la corsa al sesto posto. Paga sempre un calo di rendimento nella terza settimana quella decisiva. Sarà un po’ una costante nella sua carriera. Nelle gare più brevi e in quelle in linea invece le sue gambe e la sua testa lo fanno emergere. Nonostante gli anni che passano. Vince una Tirreno – Adriatico nel 2001: ha trent’anni e invece che calare trova la sua dimensione. Nel 2004 compie un’impresa mai riuscita prima in uno sport che ha una storia centenaria: vince in una settimana le tre classiche delle Ardenne, Amstel Gold Race, Freccia Vallone e Liegi - Bastogne – Liegi. Davide Rebellin, sorriso timido ma aperto, carattere sempre mite, interviste schiette ma sempre sottovoce, a fine stagione in classifica di Coppa del Mondo sarà secondo solo a Paolo Bettini. Poi ancora annate di ottimi piazzamenti sempre nelle Ardenne ormai casa sua. Nel 2008 conquista la Parigi – Nizza a conferma che le corse a tappe di breve durata e le corse in linea sono il suo pane. All’Olimpiade di Pechino centra un argento battuto in volata dallo spagnolo Samuel Sanchez. Sarà però un argento amaro. Oltre un anno dopo, quando ha già lasciato la Gerolsteiner squadra di fatto sciolta per i numerosi casi di doping, i campioni sanguigni prelevati a Pechino e analizzati con nuove tecniche risulteranno positivi al CERA, un EPO di nuova generazione. Deve restituire la medaglia e scontare due anni di squalifica. Nel frattempo, lotta professando la propria innocenza. La squalifica resta ma il 30 aprile 2015 verrà scagionato in tribunale dalle accuse di doping perché il fatto non sussiste. Il CONI, per bocca del Presidente Malagò, dopo la sua morte parlerà persino di un possibile “recupero della medaglia” vista l’ambiguità della positività di Pechino. Davide è affaticato da tutta la vicenda ma risponde come ha sempre fatto, con la sua mitezza, il suo sorriso e, soprattutto, pedalando. Non molla il professionismo nonostante l’età , le porte chiuse in faccia, le mancate risposte di squadre e colleghi. Il ciclismo sta cercando di liberarsi del pesantissimo fardello degli anni ’90 e del primo decennio del nuovo millennio, del doping sistematico, delle irruzioni delle forze dell’ordine negli hotel dei ciclisti, delle valigie di farmaci e sostanze proibite, dei corridori pompati come cavalli da corsa. Se risulti positivo, non importa quanti dubbi ci possano essere sulla sentenza e sui metodi di rianalisi di campioni vecchi di anni e conservati nemmeno in maniera perfetta come accaduto a Rebellin, diventi un paria, un reietto. Severo, brutale, dirimente ma, in fondo, comprensibile. Davide allora, in un mondo di caste, ricomincia dal basso la sua scalata, da piccole squadre e piccoli ingaggi. Ma torna a vincere: nel 2011, a 40 anni compiuti, con la maglia della Miche – Guerciotti centra la Tre Valli Varesine e poi un trofeo Melinda. Sono gli ultimi due acuti di una lunghissima e vincente carriera. Rebellin non pensa al ritiro anche spinto dall’entusiasmo dei tifosi che lo ammirano e lo sostengono ma intanto fa progetti per il futuro che non potrà mai essere troppo lontano dalla bici: allenatore, istruttore, dei corsi per giovani ciclisti e un’attività da rappresentante di integratori naturali, qualcosa insomma in cui la sua esperienza e il suo carattere buono possano fare la differenza. Magari un figlio, anzi sì, quello sì, si può fare anche se uno corre. Ma nel 2014 Fanfan lo perde al terzo mese. “Ci riproveremo” si dicono i due. Davide non riesce e vederla triste, le sta accanto, non si arrabbia mai nemmeno tra i guai finanziari e giudiziari. “Una sola volta – racconta lei – l’ho visto piangere, ma poi ha preso la sua bici ed è andato a pedalare, come sempre”. Intanto arrivano annate di squadre e corse minori, ancora qualche vittoria in gare di secondo piano, ma con un buon successo alla Coppa Agostoni nel 2015. Davide è sempre in sella, millemila chilometri l’anno, con la stessa passione, la stessa pacatezza, lo stesso sorriso. Arriva ai 50, poi ai 51. E pedala, Davide, pedala. Come sempre. Anche dopo il 16 ottobre 2022 data ufficiale del suo ritiro. Pedala per passione, per gioia e per scacciare i brutti pensieri e le preoccupazioni che lo inseguono, che a volte si staccano di ruota ma altre lo battono in volata. E pure quel 30 novembre Rebellin pedala. Nel suo Veneto, dove era anche per parlare con i suoi avvocati per quel ricorso del fisco che lo aveva messo alle strette. Pedala finché un camionista tedesco, Wolfgang Rieke, non lo uccide. Perché Rebellin viene ammazzato su una statale da un mezzo più grande, più potente, più pesante e veloce di lui. Lasciato lì, senza un soccorso, un aiuto, un briciolo di umana compassione. Come capita a troppi sulle strade di tutto il mondo e a dirlo sono, purtroppo, i numeri. L’immagine della sua bicicletta spezzata, accartocciata al lato della strada è di una violenza devastante e assordante. Devastante come una vita che se ne va troppo presto, devastante come l’idea di non vedere più il suo sorriso, devastante come il sapere che non è da qualche parte a fare quello che gli riusciva meglio e amava di più: prendere la sua bici e pedalare. Andare lontano e poi tornare.

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Simone De Luca