Giro d'Italia, cosa aspettarsi dall'ultima settimana

Più che gli attacchi, le imprese, i guizzi dei corridori ha potuto una caduta nella tappa teoricamente più tranquilla e pensata solo per celebrare Gorizia e Nova Gorica capitali europee della cultura. Celebrare la caduta dei confini è la cosa più bella, buona e giusta che ci sia, i muri sono belli solo quando i bambini li scavalcano per giocare. Sabato invece sono caduti tanti corridori, purtroppo, complici la pioggia e un tratto di porfido, perfido. Un Giro che ha avuto una delle sue svolte nella frazione meno proibitiva, più tranquilla e apparentemente innocua: dà l’idea, tristemente concreta, di cosa sia stato il Giro #108 finora, salvo qualche sprazzo di classe e di bagarre. Chi ne ha fatto maggiormente le spese è stato Giulio Ciccone, il cacciatore di tappe e sin lì anche l’uomo di classifica della Lidl-Trek ha dovuto abbandonare la corsa: la forte contusione con vasto ematoma al quadricipite destro non gli ha consentito di andare avanti, nonostante il commovente arrivo di squadra al traguardo. Un vero peccato perché Giulio dava l’impressione di poter chiudere un Giro solido e al tempo stesso fantasioso, con una formazione che sta dimostrando di saper correre come poche, di inventarsi nuove gare dentro la gara. Sì, perché la Lidl-Trek, alla fine della seconda settimana, ha un bilancio fenomenale: sei tappe vinte, quattro in volata da quel fenomeno di Mads Pedersen, la cronometro Lucca-Pisa conquistata da Daan Hoole e la 15^ tappa di Asiago, con il Monte Grappa, firmata da Carlos Verona. Il 32enne spagnolo, dopo una fuga solitaria e spettacolare, ha voluto dedicare il trionfo al suo capitano Ciccone, prima di abbandonarsi all’abbraccio, strameritato, con la sua famiglia. Ma la caduta di Nova Gorica ha dato uno scossone alla classifica, certificato la leadership di Isaac Del Toro, rimesso in pista Simon Yates e lasciato lì nel limbo Juan Ayuso . Primož Roglič la prima vittima illustre. Le scorie si sono fatte sentire anche sul Monte Grappa e soprattutto sulla salita di Dori: altri secondi che allungano il distacco a 3 minuti e 53 secondi, da quinto a decimo in classifica generale. Più che alibi, lo sloveno ha subìto colpi, nel senso letterale della parola, che lo stanno limitando, anche se la sensazione – che, come tale, va presa, uno spunto di discussione quasi da bar – è che questo nuovo ciclismo, questa nuova epoca d’oro, abbia come protagonisti giovani sempre più precoci, forti e agonisticamente spietati; e che per i trentenni sia diventato sempre più arduo tenere il passo della nuova generazione. Se proprio vogliamo trovare un aspetto positivo, in casa Red Bull-Bora-hansgrohe, è la per certi versi sorprendente maturità di Giulio Pellizzari, che sta svolgendo il ruolo di prode scudiero del suo capitano Roglič in modo impeccabile. Intanto però guarda e impara, assimila conoscenze che in un futuro potranno essere utili a lui e al ciclismo italiano, da anni in cerca di un protagonista per le grandi corse a tappe. Ci auguriamo che Pellizzari lo diventi presto, prestissimo. Protagonista, per ora a metà, è stato invece Antonio Tiberi. Anche lui ha perso secondi preziosi, ha commesso un errore non da poco nella tappa del Monte Grappa, restando imbottigliato sul muro di Ca’ del Poggio costeggiato dai vitigni e passando buona parte di tappa a rincorrere e rimontare. Dalla sua ha però un compagno-chioccia come Damiano Caruso, sesto a 2’55’ in classifica e che più ancora che dargli una mano, gli sta svelando i segreti del mestiere e fornendo esperienza, resistenza . Che Giro sta correndo Caruso? Bisognerebbe evidenziarlo con ancora più forza: a 37 anni è la dimostrazione che quanto detto prima sui veterani in difficoltà nel tenere il passo dei giovani ha in lui una delle più ragguardevoli eccezioni. Poi ci sono i redivivi Egan Bernal e Richard Carapaz, che tra Monte Grappa e GPM di Dori hanno provato più volte a scattare, ad accendere la corsa. E questo è un altro bel segnale di vitalità, che dà speranza in vista dell’ultima settimana, ricca di salite. La ‘Locomotora’ del Carchi e il colombiano almeno ci hanno provato, per testare se stessi e gli altri. Bernal, in particolare, sembrava volesse risposte non solo dalle sue gambe, ma dal suo spirito e dalla propria mente, per capire se potrà ancora recitare un ruolo da protagonista. La prova generale c’è stata. Ora, nella settimana che più conta, si va in scena sul serio. Un altro che, sottotraccia, è in top 5 della generale e che, senza far tanto parlare di sé, né nel bene né nel male, è lì a giocarsi, per ora, le chance da podio, è Derek Gee. Chi invece è sempre sotto i riflettori è la UAE Emirates XRG. Ha Del Toro in maglia rosa e Ayuso, capitano designato per il Giro, terzo a 1’26’’. La squadra, per l’ennesima volta, si sta dimostrando un’autentica corazzata, con corridori che da altre parti sarebbero capitani e qui sono super gregari. Uno strapotere che irrompe inesorabile appena le strade s’inerpicano o le situazioni di corsa si fanno complicate. L’unica novità, frizzantina, forse persino imprevista dai dirigenti del team emiratino, è questo dualismo, nato in corsa, tra Del Toro e Ayuso. Le salite dell’ultima settimana, a partire dal tappone di martedì fino all’uno-due di venerdì e sabato, sanciranno giudizi perentori e spazzeranno via supposizioni, indiscrezioni, voci e opinioni. Ma se Del Toro confermerà il suo attuale stato di forma, la sua freschezza e la sua sfacciataggine ciclistica, e il team lo sosterrà anteponendo il successo di squadra a certe gerarchie designate pre-Giro, ci sarà parecchio materiale su cui discutere e appassionarsi. L’impressione, prima di quest’ultima settimana della verità, è che nella UAE Emirates comincino a esserci persino ‘troppi’ fenomeni, tanti galli nel pollaio. Tadej Pogačar è come Augusto, l’imperatore assoluto: è il corridore più forte visto almeno negli ultimi 40 anni, sul suo nome e sulle sue priorità non ci possono essere ampi margini di manovra. Ma dietro di lui quanto a lungo potranno ancora convivere, e continuare a crescere, due corridori di così grande talento e dunque legittime ambizioni? Il gran capo Mauro Gianetti ha carisma, capacità e polso fermo per gestire questi giovani fenomeni, entrambi latini, smaniosi di vincere e prendersi il loro posto nella storia del ciclismo. Ma non saremmo sorpresi se un eventuale dualismo innescasse un domino di ciclomercato. A voler essere originalissimi Del Toro sarebbe un colpo perfetto per una squadra che si chiama Red Bull, una mossa di marketing strepitosa. Ma questa è solo una boutade, ovvio. Torniamo alle cose serie: l’ultima settimana prevede tre tapponi di alta montagna e un semi-tappone . Sono tre-quattro tappe che possono totalmente ribaltare classifiche e gerarchie in apparenza consolidate. Si rifiata solo giovedì, da Morbegno a Cesano Maderno, tra la Brianza e l’hinterland milanese, prima delle tappe di Champoluc e Sestriere. Poi, domenica 1° giugno, sarà Roma. Festeggerà davvero soltanto uno dei tre sul podio, ma la fumata rosa arriverà, di fatto, il giorno prima: affacciati sul Colle delle Finestre. Buona fine Giro.

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