Valence 2025, l’Europeo galattico di Tadej, Remco e Paul

«’cause you’re a sky, ’cause you’re a sky full of stars I’m gonna give you my heart ’cause you’re a sky, ’cause you’re a sky full of stars ’cause you light up the path». – A Sky Full of Stars «Non ho mai visto così tanti ritiri ai campionati . Io ho smesso cinque anni fa, ed è quasi un altro sport». – Serge Pauwels, Ct Belgio Tu sì che Valence Per i francesi Valence è una classica tappa verso le vacanze estive o il successivo rientro a casa . Tra maggio e settembre è infatti pressoché impossibile trovare, pure a tariffe da emiri, un posto-letto nel capoluogo dipartimentale della Drôme, adagiato sulla riva sinistra del Rodano, regione Rhône-Alpes . Eccezionalmente, quest’anno il tutto esaurito si è prolungato al primo weekend ottobrino. Perché capita forse una volta al secolo di poter assistere – dal vivo – a ciò a cui, poi, s’è in effetti assistito. L’epifania di fenomeni transgenerazionali capaci di riscrivere – meglio: stravolgere – canoni e leggi di uno sport ultracentenario. In mezzo scorre il fiume Il Rodano non è solo il fiume che separa i dipartimenti, Drôme e Ardèche , organizzatori della decima edizione dei Campionati europei su strada . È il Rubicone di un passaggio epocale i cui contorni ed effetti sono in divenire e che comprenderemo appieno solo in un futuro ancora remoto. Troppo criptico e per iniziati? Allora andiamo giù dritti. La settimana con la doppietta euromondiale in ciclo-copia di Tadej Pogačar, i tre podi con tanto di Tripla Corona di Remco Evenepoel e il bronzo europeo in linea del 19enne Paul Seixas, la 'Grande Speranza Gialla' dei francesi come erede di Bernard Hinault , va oltre gli annali e la leggenda. In questo momento storico siamo contemporanei di due fuoriclasse fuori del tempo che stanno ridefinendo i confini della loro disciplina: Pogačar e, nel salto con l’asta, Armand 'Mondo' Duplantis. Come i rispettivi predecessori Eddy Merckx e Sergei Bubka, sono i Michael Jordan del proprio tempo. Ci sono, e sempre ci saranno, un prima e un dopo di loro. E, lebronianamente, ne "siamo tutti testimoni". «Astronomique. Même un départ de Liège-Bastogne-Liège ne réunit pas ces cinq, six mecs» – Thomas Voeckler, Ct Francia strada, pre-Europeo 2025 «Se al Mondiale c’era solo un posto disponibile sul podio, stavolta neppure quello». – Marco Villa, Ct Italia strada, pre-Europeo 2025 Flop alla TriStar Pictures E dire che al via dell’Europeo di Drôme-Ardèche 2025 c’erano tutte le premesse per assistere a qualcosa di persino più storico rispetto a quanto appena celebratosi al campionato del mondo in Ruanda giusto la domenica prima. Mai a questi livelli si erano affrontati, e verosimilmente tutti al top stagionale, il vincitore degli ultimi due Tour e iridato uscente , il campione euromondiale e olimpionico a cronometro e il fresco vincitore, il 14 settembre, della Vuelta a España . In una classica monumento era successo al Giro di Lombardia 2021, vinto da Pogačar con Vingegaard 14° a 2’25” ed Evenepoel 19° a 3’13”. L’ultima volta invece risaliva alla Freccia Vallone 2022, trionfo del belga Dylan Teuns e nessuno dei Big Three in top 10: Pogačar 12° a 7”, Evenepoel 43° a 51” e Vingegaard ritirato. Un precedente, letto col senno di poi, premonitore. Dopo la rinuncia a Kigali 2025, il primo mondiale africano della storia e che pure sembrava disegnato per lui, il danese, vinta da ragioniere il Giro di Spagna , aveva finalmente accettato la convocazione per gli Europei. A 28 anni suonati, la sua prima con la nazionale maggiore danese. E guarda caso, proprio sulle strade dove – nel 2022, alla La Drôme Classic – ha vinto la sua unica corsa di un giorno fra i suoi 42 successi in carriera. Ma siccome tra le umane cose, persino per i semidei, la perfezione non alberga, qualcosa nella presunta Grande Sfida all’OK Corral fra i tre fuoriclasse convenuti a miracol mostrare nel sud della Francia, qualcosa è andato storto. O meglio, qualcuno: Vingegaard, saltato 109 km dal traguardo. E superato in tromba su un’ascesa non impossibile da una quarantina di corridori. «Speravo in qualcosa di più, ma a volte non si ha la giornata giusta. E per qualche motivo non l’ho avuta. Non so se per via di un programma impegnativo, o semplicemente perché non ero al top della forma. Ma di sicuro non è stata una delle mie giornate migliori». – Jonas Vingegaard A neppure metà gara addio al presunto terzo incomodo fra i dioscuri Pogačar, appena confermatosi campione del mondo e alla prima uscita con la seconda maglia iridata consecutiva, ed Evenepoel, che nella prova in linea di Kigali, dopo l’oro a cronometro sul nostro Filippo Ganna, s’era dovuto accontentare – in lacrime per la frustrazione – dell’argento, a 1’28” dallo sloveno. Onta lavata e la più dolce delle rivincite dopo che il belga, un’altra domenica prima, lo aveva ripreso e sverniciato contro il tempo pur partendogli 2’30” dietro. Su un tracciato, quello europeo, che lo stesso belga e diversi addetti ai lavori avevano definito persino più duro di quello mondiale, in teoria c’era quindi da aspettarsi un altro brutale spettacolo: Pogačar-Evenepoel-Vingegaard tutti contro appassionatamente su e giù per 3306 metri di dislivello in “soli” 202,5 km anziché i 5475 in 267.5 di Kigali. E così è stato. Un altro massacro, stavolta senza afa equatoriale: 30 arrivati su 164 in Ruanda , 17 su 97 nel sud-est dell’Esagono . "Un plateau spaziale – lo aveva definito alla vigilia il Ct francese Thomas Voeckler – Nemmeno una Liegi-Bastogne-Liegi riuscirebbe a riunire quei cinque o sei". Chiaro il riferimento a un parterre de roi mai così ricco: non solo gli scontatissimi 'Big Three' , ma anche il portoghese João Almeida, secondo alla Vuelta e lui pure presto ritirato, e Mads Pedersen, protagonista di una magica stagione epperò fuggito a ruote levate una volta visionata l’asprezza del tracciato. Infine, ma non per ultimo, il predestinato Paul Seixas, convocato in tempi non sospetti per il back-to-back mondiale-europeo degli élite. Da junior a pro’, 19 anni e non sentirli per il vincitore, il 29 agosto, del Tour de l’Avenir . Anche per il Ct azzurro Marco Villa, alla sua seconda gara con la nazionale maschile su strada dopo il mondiale, il podio appariva scontato. Vingegaard a Kigali non c’era, ma alla partenza di Privas sì. La gara però avrebbe detto altro, anche se, ahinoi, Villa ci avrebbe comunque preso. Solo che il terzo incomodo sarebbe stato un imberbe riccioluto e brufoloso che, sul podio, si sarebbe fatto un selfie dando le spalle alle due leggende che, fin lì, "guardavo in televisione". Azzurri tenebra Prima di entrare nei dettagli della corsa, una premessa. Deve far riflettere, dopo i draconiani tagli federali al budget e l’accorpamento dello staff tecnico per la costosa spedizione in Ruanda, il fatto che la nostra nazionale – tra forfait volenti o nolenti – abbia portato all’Europeo solo cinque anziché i nove corridori a cui aveva diritto. Già si fa fatica a mandar giù il boccone di accontentarsi di portarsene sei. Ma addirittura irriguardoso, per la maglia azzurra e la competizione, e del tutto irricevibile che non si sia nemmeno riusciti a convocarli, fra veti più o meno incrociati da parte di team bramosi di punti UCI per evitare la retrocessione dal World Tour e atleti stessi poco o punto disposti a immolarsi su percorsi così proibitivi anche solo per un piazzamento. In più la sorte non ci ha aiutato con i vari guai fisici di Antonio Tiberi, Giulio Pellizzari, lo stesso Giulio Ciccone – un miracolo di garra e classe il suo sesto posto al mondiale, pagato con il malanno che gli ha poi precluso la partecipazione all’Europeo. Per nostra fortuna, oltre ai veterani Alberto Bettiol e Diego Ulissi, fra i cinque chiamati – preconvocato in tempi non sospetti – c’era Christian Scaroni, capitano unico e protagonista di una gara eccezionale chiusa con un prezioso e meritatissimo quanto doloroso quarto posto. Più che giustificate le sue lacrime al traguardo, ma davvero – lui come pure Cicco al mondiale – non avrebbe potuto fare di più: arrivare a un passo dal podio a 4’04” dal vincitore, dopo aver resistito il più possibile a inseguire con Evenepoel e Seixas prima di arrendersi nel finale all’ultimo allungo del francese, vale quasi quanto una medaglia. Un sogno, il metallo pur meno pregiato, solo sfiorato e che tre anni fa era inimmaginabile. «Ragazzi, è finita» – Messaggio di Renat Khamidulin, general manager Gazprom-RusVelo Nel marzo 2022, il mese dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, Scaroni e i suoi compagni alla Gazprom-RusVelo ricevettero da Renat Khamidulin, ai tempi general manager del team, un messaggio inequivocabile: "Ragazzi, è finita". Per uno di quegli strani, orwelliani doppiopesismi vigenti nella bizzarra fattoria che popoliamo, esistono animali 'più uguali' di altri. E così, mentre giusto per non far nomi la Israel Premier-Tech – senza sanzioni né embarghi – continua a poter correre , la russa Gazprom-RusVelo – per le imposizioni ma non i salvacondotti del CIO – dovette chiudere i battenti. E così, dall’oggi al domani, scesero di bici in 28. Più l’indotto. «È finita» finché non è finita Non fosse stato per l’azzurro di cui – pro bono – lo vestì l’allora Ct Daniele Bennati, Scaroni in tutta probabilità avrebbe smesso e sarebbe finito chissà dove . Invece, pur senza ingaggio, Christian non smise di crederci. E finalmente nel 2025, a quasi 28 anni e dopo tre all’Astana, sta raccogliendo i frutti di quanto seminato. Sua l’unica vittoria italiana al Giro: il 27 maggio a San Valentino mano nella mano col compagno di squadra Lorenzo Fortunato, a sua volta in maglia non azzurrina del club ma blu di miglior scalatore, e dopo 142 km di fuga. A febbraio la Classic Var in Francia, prima tappa e classifica generale al Tour des Alpes-Maritimes. A marzo il secondo posto al Trofeo Laigueglia battuto in volata da Juan Ayuso, lo spagnolo che nel finale all’Europeo sarà il primo a staccarsi nel quartetto a caccia – si fa per dire – di Pogačar. A luglio, ancora piazzato, alla Clásica Tierras del Ebro a 46” dal fenomeno messicano Isaac del Toro e terzo allo sprint alla Vuelta a Castilla y León dietro gli spagnoli Haimar Etxeberria e Jesús Herrada. Ad agosto, podio nella tappa di Målselv e nella generale della Arctic Race of Norway . A settembre, al GP Industria & Artigianato altro secondo posto in volata, preceduto ancora da del Toro; e vittoria al Giro di Romagna con 51” sullo spagnolo Iván Cobo. Lungimirante e fermo, il 27enne bresciano di Botticino Sera, nel rispondere “no, grazie” alla convocazione all’ultimo momento per il mondiale dopo il forfait per febbre di Giulio Pellizzari. Non per caso, dei primi quattro all’Europeo solo Scaroni non ha corso il mondiale. "Avevo studiato il percorso, l’ho sognato e metabolizzato. Ma ci ho provato: mi spiace per la medaglia sfumata" ha detto sul traguardo di Guilherand-Granges. Lucido come nel rifiutare i cambi e nel salire del proprio passo per non bruciarsi al sole di quei marziani. Menzione d’onore anche per l’altro azzurro in top 10: quel Gianmarco Garofoli , nono a 5’59”. Undicesimo a 6’55” Marco Frigo, che dopo aver dato tutto prima di ritirarsi all’esordio iridato, all’Europeo ha fatto persino meglio: argento con la staffetta mista dietro la Francia e primo uomo designato da Villa per le fughe-chiave nella prova in linea. Già ai -177 km, aveva portato via lui il primo gruppetto, seguìto a ruota dallo sloveno Matevž Govekar come stopper per Pogačar. Val d’Enfer e ritorno Il gruppo si sciroppa cinquanta chilometri in linea prima dei due circuiti . Il primo di 34,7 km, il secondo di 17. Tre salite lunghe e sei brevi ma ripide. Dalla partenza si scala subito il Col du Moulin à Vent , ideale trampolino – dopo lo scollinamento – per fughe-bidone. Davanti, i passistoni neerlandesi Daan Hoole e Mathijs Paasschens e il ceco Mathias Vacek, pur sapendo di non avere speranze, o forse proprio per questo, spingono come se non ci fosse un domani. Dietro, la Slovenia controlla passiva e chiude – senza forzare – ogni azione, anche la più velleitaria. Ai -168 km, nel tratto di pianura ad alta velocità, fiammata di Bettiol. Ai -122 km, sfiorato un possibile colpo di scena: Romain Grégoire, co-capitano di casa col baby-prodigio Seixas e Pavel Sivakov, scivola in discesa. Ripartirà, e alla fine sfilerà – per tre secondi – la top ten a Frigo. Ma si intuisce già che non lotterà per il podio. Dai -109 km fa corsa dura il Belgio, con Remco allineato e coperto in scia al terzetto sloveno Govekar-Pogačar-Mohorič. Ed è lì, sulla seconda di tre ascese del Col de Saint-Romain-de-Lerps che si spegne Vingegaard. La fuga ha 1’56” sul gruppo, e la corsa del danese – di fatto – è già finita. E ai suoi detrattori non par vero ricordare il suo scarno pedigree nelle gare di un giorno . E in particolare nelle sei monumento disputate : 14° nella 'Classica delle foglie morte', non per niente detta il 'mondiale di ottobre', del 2021. Ai -105 km, altra accelerata dei belgi. Domen Novak, prezioso scudiero di Pogi, ha già speso tanto, resta agganciato ma si sfila parecchio. Un altro km e si muove la Francia con la terza punta Sivakov, alla cui ruota si portano subito Evenepoel, Pogačar, il danese Mattias Skjelmose, Ayuso, Seixas, lo svizzero Jan Christen. In discesa guida a tutta Evenepoel, mentre dietro riemerge a tomba aperta Mohorič – uno che planando in picchiata come un nibbio vinse una indimenticabile Sanremo. Ai -97 km è ancora Bettiol a chiudere sui big, e per un attimo tira dritto. Anche qui, è Mohorič che gli si accoda. Ai -92 km è un altro azzurro, Garofoli, a scuotere il plotoncino che ora è a 39” dai battistrada. E lì va in difficoltà un altro grosso nome: il portoghese João Almeida, fresco secondo alla Vuelta. La duplice buona notizia in chiave-Italia è che sulla micidiale selezione fatta col secondo dei sei passaggi sulla Val d’Enfer , Scaroni non solo è presente ma sembra pedalare agile. Almeno per un altro km, prima che Remco suoni la sveglia. Scaroni e Garofoli adesso sembrano appesantiti. Intanto è prossimo al capolinea il maltese Andréa Mifsud, coraggiosamente al vento sin dal fugone del mattino. Idem, ai -90 km, per Paasschens, mentre Louis Vervaeke rientra con tre compagni per aiutare capitan Evenepoel, involontariamente quasi lanciato dal ritorno di Garofoli. Ai -89 km si accodano davanti Sivakov e Christen. Un chilometro dopo, giusto in tempo per la bagarre finale, rientra Scaroni scortato da Frigo e Garofoli. Ai -86 km , fuga annullata. Nei 27 di testa l’Italia veleggia a forza-3 contro cinque francesi, quattro belgi e tre danesi . E soltanto uno sloveno: Tadej, che per l’occasione, oltre al solito Richard Mille RM 67-02 con cinturino giallo-Tour al polso , sfoggia inediti guantini. Per lui una novità non per i colori – quelli dell’arcobaleno, ça va sans dire – ma perché non li porta mai. Ai -78 km si torna a salire e Seixas, a proposito di zavorra da dover portar su, si alleggerisce svuotando la borraccia. Ai -77 km Pogačar allunga davanti. È più una progressione che uno scatto o un attacco. Ayuso gli va a ruota ma subito annaspa. Restano da soli Tadej e Remco. Come da pronostico. Solo che fino al traguardo manca ancora un’eternità. Pogi per un attimo va su en danseuse, Remco sale seduto poi si alza pure lui. Alle loro spalle, Seixas. Ai -75 km – segnatevelo – e di colpo, come ai -66,6 km di Kigali la settimana addietro, Evenepoel si sposta e si stacca. Tadej lo rivedranno sul podio: a 31” Evenepoel, a 3’41” Seixas, felice come un bambino nell’esultare all’arrivo coinvolgendo il suo pubblico e sul podio nel farsi un selfie con quei due alieni. Sai l’invidia dei compagni al suo ritorno tra i banchi alla EM di Lione, la top business school che tra i suoi brillanti studenti vanta il golden boy del ciclismo francese e ora, in una settimana, pure europeo e mondiale. Non più solo terra di gran vitigni, il Beaujolais. I due salgono insieme, Seixas lo passa e Remco gli sta a ruota. Ai -73 km li raggiungono Scaroni e Ayuso. L’azzurro, in coda, ci dà dentro di spalle, è l’unico in piedi dietro il terzetto belga-franco-spagnolo. Appena la strada spiana, Remco scalpita: ha un altro passo, troppo superiore; gli altri non lo reggono, e con esso i suoi modi. Una scena vista mille volte. E all’Europeo già a Trento 2021, con tanto di beffa finale che Remco subì allo sprint da Sonny Colbrelli, quell’anno magico pure campione tricolore e re – da matricola – nel fango ottobrino della Roubaix del Covid. Fu, quello, il quarto trionfo continentale in fila per gli azzurri dell’allora Ct Davide Cassani dopo Matteo Trentin a Glasgow 2018 , Elia Viviani ad Alkmaar 2019 e Giacomo Nizzolo a Plouay 2020. Quanto ai mancati cambi che tanto fanno infuriare la fumantina superstar belga, non glieli rifiutano per calcolo: è che gli altri di birra nelle gambe non ne hanno più. O non ne hanno quanto lui: un conto è tirare a lungo ai 48 km orari, tutto un altro è farlo ai 52 di Evenepoel. Ai -72 km, il margine dello sloveno balla sui 27-29 secondi. Ai -70 km il quartetto insegue a 30” mentre il gruppo, con Frigo e chiuso da Garofoli ha dentro anche quattro francesi , viaggia a 1’21”. Con mezza squadra a tirare dietro, non può farlo là davanti Seixas, che difatti non collabora. Almeno fino a quando, sporgendosi dall’ammiraglia, gli si accosta il Ct Voeckler per gridargli che "si assume" lui "la responsabilità". Interpretiamo: prima tu aspetta che rientrino i tuoi, poi, vista la malparata , vai a prenderti da solo il bronzo. In discesa va giù forte Ayuso. Ai -66 km Pogi ha 32” sui quattro dell’Ave Maria e 1’42” sul plotone con Garofoli e Sivakov. In assenza di radioline, tocca ora all’ammiraglia azzurra, con Mario Scirea al volante, farsi sentire: per dire a Scaroni che l’azzurro e gli altri tre hanno ora 1’20” sui due Jack Frusciante usciti dal gruppo: il danese Skjelmose e il lettone Toms Skujiņš, compagni alla Lidl-Trek e dunque più che disposti a collaborare per rientrare. Tempo e spazio ci sarebbero: mancano 4 giri, cioè tre volte il circuitino da 17 km e 4 ascese della Val d’Enfer. Ai -62 km Seixas ancora non tira e intanto Scaroni sembra crescere alla distanza. Ayuso, udite-udite, dà un cambio a Remco, che si sfila apposta per 'costringere' gli altri a girare. Christian loro concede una tiratina pro-forma, ma è più che altro un cambio simbolico. Evenepoel neanche parla più, ma cosa pensa si capisce eccome. Ai -60 km, perso qualcosina nel tratto piano contro quel mostro di aerodinamica che è Remco, Pogačar veleggia con 23” sul poker e 1’46” sul gruppone. Adesso però anche Seixas tira, e nel km successivo Remco torna davanti ai tre; presto saluterà la sgradita compagnia. Ai -58 km il leader inizia l’ascesa al 9,3% della Val d’Enfer, se non la fa a tutta, quasi. Dei quattro dietro, l’unico che non si alza è Ayuso. Ai -51 km, a tre giri dalla fine, Pogi ha già riguadagnato: è a 40”. Siamo ormai in fondo. Ai -5 km Scaroni tiene finché può la ruota di Seixas, Ayuso è out. L’azzurro, in piedi, regge un altro km, Seixas va su agile ancora in sella poi si alza anche lui. Tadej fa una smorfia in favore di telecamera, ora ha 59” su Remco e 3’40” sul terzetto. Ai -40 km qualche scemo di turno del villaggio globale in mondovisione sferra a Pogačar pacche sulle spalle, e a lui come ad altri in gara appiccica sulla schiena volantini, poi spariti alla stessa velocità con cui lo sloveno fende le due ali di folla. Ai -38, nel tratto duro prima della cima e con 1’20” da recuperare, Remco si stufa e saluta i tre compagni di caccia. Ai -3 km, su un altro pezzo spaccagambe, farà altrettanto Seixas con l’ultimo rimasto, Scaroni. Ayuso, già staccato, arriverà sesto a 4’21”. In mezzo al duo Lidl-Trek: Skujiņš a 4’16” e Skjelmose a 5’01”. La Francia padrona di casa, oltre al leader Seixas sul podio, piazza nei primi dieci pure gli altri capitani: Sivakov 8° a 5’55” e Grégoire. E con Prodhomme 12° a 7’18” e Aurelien Paret-Peintre 16° a 8’20 ben cinque 'bleus' fra i soli 17 superstiti. Roba da Sallanches 1980 e che verosimilmente rivivremo in Alta Savoia sulla terribile Côte du Domancy da ripetere venti volte nel mondiale 2027. Ambasciatore iridato quel Bernard Hinault che vi trionfò. Seixas avvisato… «Paul, ce n’est pas une sélection, c’est un projet» – Thomas Voeckler, Ct della Francia a 'L’Équipe' Sul 18enne Paul Seixas convocato per il mondiale élite Tutto si potrà dire dell’ispido Voeckler tranne che non porti risultati. Il suo bacio a Seixas in zona mista è una delle istantanee cult di questo Europeo. "Paul non è solo una convocazione, è un progetto" aveva motivato il Ct a 'L’Équipe' la scelta di portarlo al mondiale dei grandi, che il 18enne ha poi chiuso al 13° posto a 9’07” dal campione del mondo. A quell’età, detto sommessamente ma con chiarezza, Pogačar non era – neppure alla lontana – a quei livelli. Ma ciascuno ha i propri tempi, e solo il futuro ci dirà cosa ci riserveranno. In questi, dai -2 km Tadej si concede alla platea: esulta a sinistra verso la moto-camera e sorride, poi nel tratto transennato, si volta a destra e mostra il pugnetto. Vittoria #106 in carriera, la 18ª in stagione su 48 giorni di corsa. Chiude sotto le cinque ore: 4h59’29” alla media di 40,570 km/h e 89 pedalate il minuto, con un dispendio di 4496 calorie e dopo 98 km in fuga di cui gli ultimi 75 in solitaria. Come nel 2024 al Giro dell’Emilia, maglia iridata inaugurata alzando subito le braccia e dopo un’azione a lunga gittata. Per lucida follia, fino a neppure un decennio anni fa e specie nelle grandi corse, l’epitome del suicidio tattico annunciato. Nel ciclismo moderno che lui più di tutti ma non da solo sta riscrivendo, la sua tredicesima coronata dal successo. Le sue 13 fughe epocali Un alieno al comando Attacco Corsa e stagione Piazzato e distacco -81,1 km Strade Bianche 2024 Toms Skujiņš a 2’44” -75,0 km Europei Valence 2025 Remco Evenepoel a 31” -66,6 km Mondiali Kigali 2025 Remco Evenepoel a 1’28” -51,7 km Mondiali Zurigo 2024 Ben O’Connor a 34” -49,2 km Strade Bianche 2022 Alejandro Valverde a 37” -48,4 km Lombardia 2024 Remco Evenepoel a 3’16” -39,0 km T20 Plataforma de Gredos, Vuelta a España 2019 Alejandro Valverde a 1’32” -37,8 km Giro dell’Emilia 2024 Thomas Pidcock a 1’54” -36,5 km Jaén Paraiso Interior 2023 Ben Turner a 49” -35,0 km Liegi-Bastogne-Liegi 2025 Giulio Ciccone a 1’03” -34,4 km Liegi-Bastogne-Liegi 2024 Romain Bardet a 1’39” -34,1 km T20 Bassano del Grappa, Giro d’Italia 2024 Valentin Paret-Peintre a 2’07” -31,0 km Lombardia 2023 Andrea Bagioli a 52” In grassetto le classiche monumento. "Non è che mi piaccia sempre andare via da solo", spiegherà al traguardo il suo attacco nel terzo passaggio sul Col de Saint-Romain-de-Lerps . "Avevo già perso diversi compagni, alcune nazionali erano in superiorità numerica e mi sembrava rischioso restarmene in quel gruppetto". Più convincente il suo compagno di nazionale Matej Mohorič, peraltro mai banale: "Nel prepararmi anche mentalmente per la gara, sapevo che sarebbe durata 120 km perché lui poi sarebbe partito. Tadej ci aveva detto che voleva fare corsa dura, che avremmo dovuto spingere forte in salita e che lui avrebbe cercato di attaccare all’ultimo passaggio su quella più lunga. Non era sicuro che se ne sarebbe andato da solo o se avrebbe portato qualcuno con sé". Lo stesso Ct sloveno, Uroš Murn – suo l’incarico più facile e ingrato: se vince è grazie al fenomeno, se perde è per colpa sua – ha fatto notare che "se si guarda quando scatta, si vede che lui 'aspetta' Remco varie volte. Evenepoel però non è riuscito a tenere quel ritmo, così Tadej ha deciso di dare il massimo. Poi, ha controllato la gara". Lettura condivisa e quasi auspicata dal Ct belga, Serge Pauwels, dopo che la sua squadra aveva fatto l’impossibile per isolare Pogačar in una gara 65 km più corta rispetto ai 267,5 del mondiale di Kigali: "Non temevano di lasciare Remco da solo con lui, perché col vento e i tratti pianeggianti pensavamo avrebbe speso meno energie". Era un piano perfetto, solo che non ha funzionato. E tutto per una maglia con i colori e le stelle di questa povera, decadente Europa che lui, avendo già quella iridata, non potrà indossare che in allenamento. Più che nuovo Cannibale, l’ennesimo elogio alla follia di un Erasmo da Komenda su due ruote a pedali.

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Valence 2025, l’Europeo galattico di Tadej, Remco e Paul

Christian Giordano