Pozzovivo si racconta: "Il Giro del 2026, i segreti della longevità, il futuro e Schwazer"

Quando descrive le tappe del prossimo Giro d'Italia e indica i possibili favoriti sembra appena tornato dal futuro. Sembra che nella sua testa il Giro del 2026 si sia già corso. Non ha dubbi, analizza tutto con una lucidità fuori dal comune e con la sicurezza di chi quelle tappe le conosce davvero bene. E non potrebbe essere altrimenti. Nella storia nessuno, oltre a Wladimiro Panizza, ha corso più Giri di Domenico Pozzovivo e quindi nessuno meglio di lui può commentare il programma appena presentato. Ma Pozzovivo è molto più di un recordman. È stato un corridore professionista dal 2005 al 2024 ed è un esempio di longevità. Nel 2019 ha superato un terribile incidente che sembrava aver messo fine alla sua carriera e invece ha continuato a correre per altri cinque anni. Ma anche nella vita 'normale' non è mai stato fermo. Si sta laureando per la terza volta ed è diventato padre: un'esperienza che gli ha "rivoluzionato la vita", svela a Sky Sport Insider. Nel suo primo anno da non professionista è stato l'allenatore di Alex Schwazer e per il futuro ha tanti nuovi progetti che è determinato a raggiungere. Insomma, Domenico Pozzovivo non ha ancora smesso di pedalare e, forse, non smetterà mai. Pochi giorni fa è stato presentato il percorso del Giro 2026: quale tappa la incuriosisce di più? “Sicuramente la tappa dolomitica: se fossi ancora in gruppo mi piacerebbe farla, perché è una tappa con salite e pendenze giuste per fare la differenza. E, anzi, credo sia l’unica tappa dove si potrà davvero fare la differenza. Le uniche salite pedalabili sono lo Staulanza e il Franzese, le altre sono tutta da 10% in su” E se dovesse cerchiare una tappa ‘alla Pozzovivo’ in questo Giro, quale sarebbe? “Io sono sempre stato un corridore da Appennini, quindi direi il Blockhaus: l'ultima volta lì mi sono giocato la tappa fino all'ultimo, siamo arrivati in sei corridori allo sprint finale. Ho dei bellissimi ricordi di quella salita, anche perché quelle intorno all’8-10% sono proprio le pendenze che mi piacciono: fai fatica, però spingendo riesci a fare la stessa velocità, non rimani piantato in mezzo alla strada” Tra i possibili partecipanti si parla di Vingegaard, Evenepoel e anche l’azzurro Pellizzari: chi vede come più adatto a questo Giro? “Penso che la cronometro fatta in quella maniera strizzi tantissimo l'occhio alla presenza di Remco – oltre a favorire un fenomeno che abbiamo in casa come Pippo Ganna – quindi, credo che Evenepoel possa essere abbastanza invogliato a partecipare a questo Giro. Ma, se ci dovesse essere anche Vingegaard, lo vedrei un gradino sotto. Al giorno d'oggi c'è un dominatore come Tadej Pogačar, un gradino sotto, e veramente vicino, c’è Vingegaard, e poi tutti gli altri sono abbastanza distanti. Se Vingegaard partecipa al Giro è nettamente favorito, anche se non è al 100%. Soprattutto con questo percorso, perché ci sono gli arrivi in salita, e poi lui nelle crono dei grandi Giri non ha mai mostrato pecche” Evenepoel quindi non potrebbe cercare di ottenere un grande vantaggio nella cronometro e poi difendersi nell’ultima settimana? “Provando a immaginare una sorta di ‘Fanta Giro’, non è impensabile che dopo la crono Remco abbia un vantaggio sugli altri, ma non penso così grande, perché prima di arrivarci ci sono la Blockhaus e il Corno alle Scale, che potrebbero già dare indicazioni importanti e che potrebbero dare un piccolo tesoretto a Vingegaard. E dopo è tutto da vedere… forse l'arrivo in salita di Pila è quello più adatto a Remco, perché è una salita lunga sullo ‘stile Tour de France’, poi però ci sono arrivi in salita impegnativi. Alleghe la vedo una tappa veramente molto favorevole a Vingegaard e poi c’è il doppio Piancavallo, che non è come fare due volte il Grappa – come facemmo noi –, ma è comunque una salita vera” E invece tra gli italiani su chi dobbiamo puntare? “La presenza o meno di Evenepoel ci farà capire quante speranze riporre in Pellizzari. Facendo eventualmente una corsa da leader, visto quello che ha dimostrato l'anno scorso, potrebbe tranquillamente ambire a un piazzamento in top 5 e, magari, anche avvicinarsi al podio. Per quello che ha dimostrato, sicuramente è quello su cui puntare tra gli italiani. Poi c'è da vedere Tiberi, ma – da quello che si è sentito fino a ora – l'anno prossimo sembrerebbe più orientato a fare il Tour. E poi bisogna vedere come si inserirà Piganzoli nel Team Visma, però sono convinto che loro riproporranno Yates al Giro, quindi non ci sarà tantissimo spazio. Anche per questo penso che per la classifica dovremo aggrapparci a Giulio Pellizzari” Al Mondiale in Ruanda i francesi hanno subito buttato nella mischia il giovane Paul Seixas, che ha ottenuto un grande risultato e che corre in un team francese che ha costruito un programma ad hoc per farlo crescere. L’Italia una cosa del genere non può farla perché non ha una squadra di livelo World Tour: è anche questo uno dei problemi del ciclismo italiano? “A questi livelli non penso. Mi spiego: se una squadra come la Red Bull investe su Giulio Pellizzari, non lo mette in secondo piano solo perché non è tedesco o austriaco, lo valorizza allo stesso modo perché è un proprio asset. I vari top team valorizzano i propri giovani a prescindere dalla nazionalità del corridore. Però senza dubbio il non avere una squadra World Tour in Italia limita i possibili sbocchi per i nostri giovani e tarpa le ali. Sicuramente in questa maniera qualche talento lo perdiamo, ma le punte grosse, come può essere un corridore che punta davvero a un grande Giro, arrivano lo stesso” Restando sui giovani, il francese Seixas è stato subito buttato nella mischia, mentre Finn – la nostra speranza azzurra per il futuro – ha deciso di fare un altro anno da Under 23: come valuta questa scelta? “In questo momento storico i corridori arrivano sempre prima al professionismo. E questo perché è cambiato l’approccio nelle categorie giovanili: si usano i misuratori di potenza già tra gli allievi e in alcuni casi già tra esordienti, quindi a 12-13 anni. Avendo questi strumenti di monitoraggio della performance da molto giovani, si riesce a capire meglio e molto prima i propri limiti e, di conseguenza, a lavorare sulle proprie pecche, sui propri difetti e sui i propri punti di forza. Fisicamente si è visto che certi sforzi sono sostenibili anche a 19-20 anni, la questione è quindi più mentale che fisica: non è facile gestire certe pressioni con una testa da adolescente o post-adolescente. Su Seixas si è scelto di prendersi questo rischio: correrà molte gare anche da leader e bisognerà vedere come sopporterà il tutto. Quella di Finn, invece, è una scelta che mi piace definire ‘smart’. Se guardiamo al ciclismo attuale, Pogačar correrà ad altissimi livelli ancora per almeno 3-4 anni, mentre Vingegaard 2-3: buttarsi nella mischia ora significa andare a scontrarsi con questi due fenomeni ancora al picco massimo della loro carriera. Quella di Finn è una scelta ‘furba’ perché gli consente di non ‘buttare’ anni buoni di carriera contro questi due campioni e di conservarsi un po’ per il futuro, dove la concorrenza sarà sempre alta ma non come ora” Con questa nuova precocità in futuro sarà possibile vedere altri Pozzovivo che corrono fino a oltre i 40 anni? “La vedo dura, secondo me il mio record del Giro d'Italia è al sicuro per tantissimo tempo . Il modo di approcciare lo sport è cambiato enormemente e già quest’anno abbiamo visto corridori che hanno smesso a 28-30 anni perché non avevano più stimoli. Iniziando presto a convivere con lo stress, inevitabilmente sei portato a smettere prima: se tiri la coperta da un lato, dall’altro si scopre. Secondo me sarà veramente difficile vedere carriere che vadano oltre i 30 anni tra pochi anni. Già adesso i corridori 35enni sono un'eccezione” Lo stesso Pogačar più volte ha fatto che capire che il suo orizzonte temporale come atleta è più ristretto… “I corridori di oggi sono consapevoli che la loro carriera durerà circa 10 anni e non 15 come una volta. Prima ti giocavi un Tour a 27-28 anni, adesso se lo giocano a 22. E infatti sempre più spesso la maglia bianca coincide con il vincitore della corsa. Io una volta ho anche lanciato una provocazione: bisognerebbe inserire una maglia per gli over 30 o over 32, perché adesso l’eccezione è la longevità e chi riesce a mantenere un alto livello anche con un’età più avanzata” Un’altra caratteristica del ciclismo di oggi sono le nuove metodologie di allenamento grazie alle quali vediamo delle prestazioni incredibili: quali sono le novità principali? “Sì, il ciclismo è sempre in evoluzione ma negli ultimi 4-5 anni sono stati fatti enormi passi in avanti: c’è stata una vera e propria rivoluzione. Basti pensare che un corridore che nel 2018 si giocava un Giro d’Italia, oggi farebbe fatica a entrare nei primi dieci. Un primo aspetto fondamentale è la nuova strategia dei carboidrati. Prima c'era la tendenza ad allenarsi in depressione di carboidrati, vale a dire ‘andando un po' a raschiare le riserve’, cercando quindi di stimolare i meccanismi dei grassi e del catabolismo proteico. Adesso invece per riprodurre al meglio determinate intensità si usa anche in allenamento una strategia quasi paragonabile a quella della gara. Il ‘gold standard’, ovvero il livello ideale, è assumere 120g di carboidrati l’ora, mentre prima – anche solo 10 anni fa! – si pensava che il limite fosse 60-70 e da un'unica fonte di glucosio. Mentre adesso, bilanciando glucosio e fruttosio, si riesce ad arrivare a quegli standard. Per farlo bisogna anche allenare il proprio intestino: non può farlo chiunque e da un giorno all’altro. Ed è un percorso che va fatto con gradualità, non si può arrivare direttamente a determinate assunzioni di carboidrati, perché si avrebbero problemi intestinali e alla fine si andrebbe anche a peggiorare la performance. Poi è stata rivista anche l’intensità degli allenamenti. Prima si facevano delle grandi sessioni di volume fino alle prime gare e non si toccavano mai valori di intensità fuori soglia; adesso invece si inizia già dalle prime uscite a lavorare tanto sull’esplosività. Questi due fattori, preparazione e nutrizione, hanno fatto e stanno facendo la differenza. Infine, c’è l’aspetto legato ai materiali. Prima l'approccio era: la bici più performante è quella più leggera. Adesso invece si sta meno attenti a quell’etto in più o in meno e l’obiettivo principale è rendere la bici efficiente nel trasformare la forza che si imprime sui pedali in velocità sulla strada. Un altro aspetto a cui si sta attentissimi è l'aerodinamica: un fattore essenziale e sempre più decisivo. Sono cambiate anche le coperture che si usano sulle ruote: hanno subìto un'evoluzione molto importante sia in temini di tenuta che di velocità” Un altro aspetto chiave è quello del recupero, giusto? “Senza dubbio, ed è legato al tema dell’alimentazione. In quel senso credo che, al momento, si sia raggiunto un livello oltre il quale è difficile andare, perché non penso si possa assumere più carboidrati di così, e dunque si stanno cercando nuovi margini per migliorare le prestazioni e renderle più sostenibili dal punto di vista fisico e mentale. E uno di questi margini migliorabili è proprio il recupero. Anche in questo senso è stato già fatto molto: sicuramente avrete visto quelle borracce di colore rosso che bevono i corridori a fine gara e vi sarete chiesti ‘cosa c’è dentro?’. È un concentrato di amarene: con quel dosaggio i flavonoidi riescono a contrastare lo stress sedativo che subito dopo un arrivo di una corsa è ai massimi livelli. Questo è solo un esempio, ci sono tante altre strategie utili per il recupero ma quella più innovativa è questa legata ai flavonoidi” Per tornare all’alimentazione, è bene spiegare che queste quantità sono indicate solo per atleti di alto livello: “Assolutamente! Non possiamo paragonare quello che fa un atleta nel massimo sforzo a quello che potrebbe fare una persona sedentaria. Anche a livello ormonale gli stimoli sono completamente diversi: avere la glicemia alta durante uno sforzo è una cosa fisiologica che viene ricercata, non produce danno, anzi. Avere invece una glicemia alta a riposo è, anche per un atleta, una cosa negativa. Non si possono fare paragoni sulle grammature di carboidrati tra atleti e tutti gli altri” Lei ha smesso di correre gare professionistiche un anno fa, ora la sua alimentazione è cambiata? È ancora molto attento a cosa mangia o si è ‘concesso’ qualche libertà in più? “Dico la verità: se me l'aveste chiesto prima di smettere, avrei risposto che non sarei riuscito a tenere lo stesso regime. E invece devo dire che in questo senso la mia vita è cambiata poco. Avendolo vissuto così per tanti anni, ormai questo è il mio stile di vita e non mi pesa farlo. Non sto faticando a mantenere lo stesso regime alimentare che avevo da corridore” Ma quest’anno ha anche vissuto un’esperienza nuova: è stato l’allenatore di Schwazer. Come è nato questo progetto e come è andata? “Devo ammettere che è stato un qualcosa di sorprendente anche per me. Alex mi ha chiamato a gennaio e mi ha proposto di allenarlo, mi ha spiegato che voleva me perché aveva visto come fossi riuscito a mantenere livelli alti anche con l’avanzare dell’età. A lui è stata tolta una parte importante e centrale della sua carriera, aveva deciso di smettere ma sentiva ancora qualcosa dentro e quindi ha deciso di continuare. Abbiamo iniziato a collaborare e l’obiettivo iniziale era scoprire i suoi limiti. Oggi non riesce più ad allenarsi come un professionista, non abbiamo mai superato le 10 ore settimanali, ma l’esperimento – se così possiamo chiamarlo – è davvero riuscito. Alex ha un fisico ancora integro e a volte la sua risposta ai carichi di lavoro è stata sorprendente: è riuscito a battere un suo record personale su 10 km vecchio di 14 anni abbassandolo di quasi un minuto. È stato qualcosa di notevole. Personalmente questa esperienza mi ha dato tantissimo anche dal punto di vista umano: lui ha vissuto tante situazioni brutte che l'hanno segnato, però la voglia di reagire non gli manca. Vedremo se l'anno prossimo riuscirà a ritagliarsi un po' più di spazio per lo sport, magari con l'aiuto di qualche sponsor. Se così fosse, non porrei troppi limiti a quello che può riuscire a fare” E lei invece che progetti ha per il suo futuro? “Mi piacerebbe riuscire a entrare in un team e curare l'aspetto della performance sotto le diverse sfaccettature. Vorrei mettere in collegamento la preparazione, la nutrizione e, perché no, anche la fase riabilitativa, un aspetto che si lega anche al recupero post allenamento e post gara” C’è un corridore in particolare che le piacerebbe allenare? “Giulio Pellizzari. Ha ancora tanti margini di crescita e sarebbe stimolante poterlo allenare” Pogačar permettendo, Pellizzari è l'italiano che potrebbe far tornare in azzurro un grande Giro? “Sì, promette davvero di poter arrivare a quel livello” Noi italiani abbiamo sempre avuto una grandissima tradizione di corridori da classiche, perché negli ultimi anni non riusciamo più a esprimere quello stesso livello? “Io credo sia una questione ciclica. È vero, in questo momento mancano i corridori per quel tipo di gara, però, se guardiamo alle crono, adesso abbiamo una grande abbondanza e per anni ci siamo lamentati di questa mancanza. Certo, il bacino da cui pescare si è ristretto e la concorrenza è aumentata, però resto convinto che sia solo una fase…” Si parla spesso di un ciclismo italiano in crisi e da riformare, lei pensa che anche questo sia legato a un fattore ciclico? “Non vedo una situazione completamente nera. Ma è importante seminare bene adesso per il futuro. Dire che è una questione ciclica non significa che vada tutto bene e che non si debba far nulla, anzi. Anche perché le altre nazioni si stanno muovendo molto bene per i prossimi anni e noi dovremmo cercare di adeguarci” Quali sono gli aspetti più importanti per migliorare il ciclismo italiano? “Io mi concentrerei sulle competenze di chi deve seguire le categorie giovanili. Oggi ci stiamo affidando alla passione eroica di gente che per tradizione ha sempre gestito squadre giovanili, ma non basta più. Ormai nel mondo del ciclismo la categoria degli juniores è la porta al professionismo e bisogna avere un approccio scientifico già da lì. È fondamentale. E di conseguenza la categoria degli allievi, che prima era quasi solo ludica, ora deve cambiare approccio. Bisogna già dare un'idea di come ci si allena, deve esserci un preparatore che ha studiato per fare quel mestiere e non una persona che lo fa solo per passione. Ma capisco che a livello economico non è sostenibile per ogni squadra giovanile avere un preparatore, servirebbe un aiuto federale per diffondere i metodi di allenamento nelle categorie giovanili, una sorta di ‘welfare della preparazione’. Bisogna aiutare chi ha meno” Un altro tema importante è quello della sicurezza stradale, in Italia siamo ancora molto indietro rispetto al resto del mondo… “Sì, questo è un fattore inibente alla pratica del ciclismo a livello giovanile perché i rischi, soprattutto per chi abita in zone molto urbanizzate, sono elevati. Mettere in strada un ragazzo nella situazione attuale può precludere a tanti di praticare il ciclismo. E la cosa che mi dispiace è che in Italia siamo davvero indietro sotto questo punto di vista. Bisognerebbe prendere esempio da altre nazioni, solo 10 anni fa la Spagna era nelle nostre stesse condizioni e oggi invece è riuscita a evolversi ed è una nazione in cui pedalare non è problematico come in Italia. Da noi manca la legislazione per punire in maniera adeguata chi non rispetta le leggi e soprattutto manca una formazione adeguata. Quando si va a studiare per la patente bisognerebbe insegnare anche come convivere in strada con i ciclisti” Nel 2019 lei ha anche vissuto in prima persona un incidente in strada, quindi sa bene di cosa parla: anche per questo in futuro le piacerebbe occuparsi del recupero dagli infortuni dei corridori? “Sì, aver subito un incidente del genere mi rende più sensibile a queste tematiche, anche se il mio incidente è nato da una ‘bravata’ dell’autista e non tanto da una mentalità sbagliata. Ma anche prima di quell’incidente mi è capitato di pensare ‘mi è andata bene questa volta’ e non è bello. Io mi considero davvero fortunato per come è andato quell’incidente: sono arrivato in Pronto Soccorso praticamente con il codice nero e in pericolo di vita, riuscire a uscirne sano e salvo e addirittura tornare a correre è un qualcosa di unico. E senza dubbio quell’incidente mi ha acceso una luce sull’attenzione al recupero dagli infortuni e sulla mentalità da avere in quei momenti. Ho capito che bisogna sempre avere cura di sé per poter dare poi il meglio in gara” Anche questo è stato uno dei suoi ‘segreti’ per riuscire ad avere una carriera così lunga? Prima, a proposito della longevità, ci ha spiegato dell’importanza di trovare sempre nuovi stimoli: lei ha mai faticato a trovarne? “Nella mia carriera avevo avuto altri incidenti, ma mai gravi come quello. Ogni incidente mi lasciava delle conseguenze fisiche, ma mentalmente mi accorgevo di diventare sempre più forte: ogni stop mi dava una carica in più per tornare al meglio e più competitivo. Nelle situazioni di calma è più difficile tirare fuori il meglio di sé, cadere serve a rialzarsi e a migliorarsi. Senza tutti gli incidenti vissuti in precedenza, non avrei superato quello del 2019. E paradossalmente quest’ultimo incidente mi ha allungato la carriera: al tempo pensavo di smettere entro circa due anni, e invece ho gareggiato fino al 2024” E quest'ultimo anno, senza gare da professionista, come è stato? Nel mentre è anche diventato padre: quanto è cambiata la sua vita? È riuscito ad ‘andare oltre il limite’ anche senza gareggiare? “In quest’anno la mia vita è cambiata completamente. Prima a casa non c’ero mai, perché o ero in ritiro in altura o ero impegnato in qualche corsa. Invece ora sono sempre a casa e ne sono contento, perché da quando è nata mia figlia Diana non mi sono perso neanche un giorno della sua vita. Per il mio stile di vita è stata una rivoluzione: è stata una nuova sfida che mi ha fatto superare nuovi limiti. Dal punto di vista fisico, come dicevo prima, non ho assolutamente ‘mollato gli ormeggi’: mi alleno meno rispetto a prima, ma il mio livello fisico è sceso di poco rispetto a un anno fa” Sta per laurearsi per la terza volta: in cosa sarà la quarta? “A un certo punto bisogna saper dire stop . Pochi giorni fa ho superato l'ultimo esame e questa volta potrebbe davvero essere l'ultimo della mia carriera accademica”

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Pozzovivo si racconta: "Il Giro del 2026, i segreti della longevità, il futuro e Schwazer"

Alberto Pontara