Le mille vite di 'flash' Eddie Jordan

Nel 1948 Dublino era conosciuta soprattutto per gli ampi viali alberati di O’Connell Street che, anche al visitatore più disattento, non potevano non ispirare una sensazione di libertà, quasi a simboleggiare la fine di quel forte senso di oppressione vissuto dai cittadini irlandesi fino a un quarto di secolo prima, allo scoccare della fatale scintilla della guerra di indipendenza che avrebbe portato alla scissione dal Regno Unito. È nel clima temperato della primavera della giovane Repubblica che nasce Edmund Patrick Jordan, figlio di Paddy e di mamma Eileen, sorridente e orgogliosa mentre lo abbraccia per la prima volta nel suo letto del reparto maternità della Wentworth Nursing Home, che affaccia su Leeson St Up. Sotto lo sguardo curioso della sorella maggiore Helen e quello amorevole della zia, un’anziana Madre Rettoressa delle Sisters of Charity of Ireland fondate da Mary Aikenhead, sorella gemella del padre, contabile del ‘Consiglio dell’elettricità’ cittadino. Eddie, il bambino Quando non ha ancora compiuto un anno, al piccolo Eddie -come lo chiamano vezzeggiandolo con affetto i genitori- viene diagnosticata una forma di ‘malattia rosa’, la ‘malattia da calomelano’, altresì detta acrodinia infantile, una sorta di avvelenamento causato dal mercurio, e alla famiglia viene perciò consigliato di lasciare la capitale e trasferirsi in una località più salubre. Paddy ed Eileen Jordan così si rassegnano a cambiare vita e abitudini e traslocano nella contea di Wicklow, una ventina di chilometri più a sud, in una cittadina che affaccia proprio sul mare della costa orientale irlandese. A dieci mesi di età il piccolo Eddie per la prima volta sale su un treno della Dublin Suburban Rail, in direzione di Brì Chulainn, più comunemente chiamata Bray. Con la valigia piena zeppa di abiti di cotone e di speranze. E per fortuna col passare degli anni la salute di Eddie migliora, fra lunghe passeggiate con la zia Lilian nei week-end e una infanzia discretamente felice. Per i suoi amichetti e per i compagni di scuola il piccolo Eddie Jordan diventa, in breve tempo, ‘Flash’, visto che Jordan e Gordon suonavano quasi allo stesso modo nella cadenza tipica irlandese. Sulle prime un po’ svogliato, quando frequenta la Saint Anne’s Pre-School di Milltown, nella vicina contea di Kerry, poi forzato dai metodi molto persuasivi e decisamente rudi dagli insegnanti della Synge Street Christian Brother’s School, Eddie raggiunge nella pre-adolescenza un livello di istruzione realmente più elevato della media e per qualche tempo avverte una sorta di vocazione per la vita clericale. Ma gli passa in fretta, quindi sfugge alle pressioni dei genitori che lo avrebbero voluto odontoiatra e si iscrive al College of Commerce di Dublino per seguire un corso di contabilità di sei settimane. Tanto gli basta per farsi assumere alla Bank of Ireland di Mullingar, il vero epicentro commerciale e industriale delle Midland’s irlandesi. Quattro anni dopo è a Camden Street. Nel 1970, approfittando di uno ‘strike’ degli operatori bancari, che avevano incrociato le braccia per delle rivendicazioni sindacali, si trasferisce nell’isola di Jersey e vi passa l’estate intera. Lavora di giorno come contabile per una compagnia elettrica, ricalcando le orme paterne, alla sera e fino a notte fa il barista e frequenta l’altra metà del mondo, quello più mondano. Dove incomincia sul serio ad appassionarsi ai kart e a correre sul pistino di St Brelade’s Bay, relazionandosi con l’ambiente del motor club locale e convincendosi di poter fare anche il pilota. Perciò compra un kart e nel 1971 vince il campionato irlandese. Una volta entrato nel vortice dei motori, e soprattutto ritornato nella capitale, Eddie viene colto come da una illuminazione e comprende che la sua vera vocazione non è guidare pecorelle smarrite ma un mezzo a motore. E che oltre i go-kart c’è un mondo che merita di essere scoperto e vissuto. Eddie che non si ferma Nei tre anni successivi corre in Formula Ford e in Formula 3, sempre in Irlanda. Ma nel 1976, sullo storico circuito inglese di Mallory Park, poco distante da Leicester, si frattura la gamba sinistra. La cosa non lo frena, ma alimenta piuttosto la sua passione per quell’universo così affascinante. Una volta in piedi si presenta ai nastri di partenza della Formula Atlantic e vince tre gare il primo anno. Nel successivo -1978- fa suo il campionato irlandese. Nel 1979 decide di mettersi alla prova nella F3 britannica e con il ‘Team Ireland’ gareggia in squadra con Stefan Johansson, svedese, che diciotto anni dopo avrebbe vinto una 24h di Le Mans e in carriera avrebbe corso in undici stagioni 79 GP di Formula 1, guidando fra le altre anche per Tyrrell, Ferrari e McLaren. Proprio per quella McLaren per la quale Eddie nel 1979 -otto anni prima- fece alcuni test, affacciandosi anche nell’allora vecchia Formula 2. Non potendosi permettere sponsor, Eddie un giorno decide però di mettersi in proprio. Nel 1979 l’ex impiegato di banca con la vocazione da prete fonda l’Eddie Jordan Racing. Per qualche stagione frequenta le serie minori del Regno Unito e al volante fa alternare David Leslie, David Sears e James Weaver. Nel 1983 iscrive la scuderia al campionato britannico di F3 e schiera al via i piloti David Hunt e Martin Brundle, davanti al quale in quel campionato si affermerà un ventitreenne brasiliano al volante di una macchina del team West Surrey Racing, di nome Ayrton Senna. Quando nel 1987 al team approda come pilota Johnny Herbert, Eddie Jordan fa l’ultimo step del suo lungo apprendistato e porta a casa il titolo britannico di F3. Da lì in poi è solo una scalata continua: il titolo europeo di F3000 con Herbert e Martin Donnelly nel 1988, seguito dal bis l’anno successivo di Jean Alesi. Eddie capisce che è il momento della svolta e di pensare in grande. Non ci sono molti soldi, ma da contabile e in banca ha imparato come crearli, reperirli e farli fruttare. Eddie in Formula1 Nel 1989 alla sua corte arriva il capo-progettista Gary Anderson. Nel 1991, neppure tanto timidamente direi, Eddie bussa alla porta di Bernie Ecclestone e fa il suo ingresso in Formula1. Sono anni d’oro per lui e per la squadra. Eddie sa intessere relazioni importanti e ha occhio lungo. Nell’anno del debutto uno dei suoi piloti -il belga Bertrand Gachot, compagno di scuderia di Andrea De Cesaris- non può prendere parte al Gran Premio di casa per via di un arresto, avvenuto a causa di una condanna dopo una lite con un tassista avvenuta a Londra nove mesi prima. Il destino a volte aiuta a incrociarsi strade impreviste: sulla Jordan GP 191 sale un esordiente tedesco, tale Michael Schumacher. Che da lì incomincerà la sua straordinaria carriera. Nel 1998 Eddie Jordan ottiene il suo miglior risultato in assoluto in F1: a Spa Damon Hill e Ralf Schumacher arrivano primo e secondo. Lo ricordo arrivare al mio microfono con gli occhi lucidi, sorridente ma in lacrime, incontenibilmente felice. Quel momento non si replicherà: negli anni successivi, con Heinz-Harald Frentzen arriverà persino a litigare, mentre Giancarlo Fisichella vincerà una corsa rocambolesca in Brasile nel 2002, ma riceverà il premio con un GP di ritardo, privato della gioia del podio e dell’inno. Tra problemi con i motori, con gli sponsor, dissapori interni alla squadra e difficoltà economiche, la stella del Team Jordan inzia a tramontare a fine anni ’90. Le prestazioni di Nick Heidfield e Timo Glock non aiutano ed Eddie vende all’imprenditore russo-canadese Alex Shnaider e al gruppo Midland F1, che non lascerà tracce degne di nota. La lunga parabola di Eddie in F1, alla quale hanno partecipato anche Eddie Irvine e Rubens Barrichello, Jarno Trulli e Alex Zanardi e poi Moreno, Modena, Gugelmin, Apicella, Naspetti, Suzuki, Capelli, Zonta, Sato, Firman, Alesi, Brundle, Wirdheim, Pantano, Doombos, Monteiro, Montagny, Kiesa e Yamamoto termina qui. Eddie, l’imprenditore Ma c’è sempre quella passione a legare Eddie al mondo dei motori. Inizia perciò la sua terza vita dietro ai microfoni della BBC come opinionista, poi diventa columnist del mensile F1 Racing, lavora a una serie TV , viene eletto Presidente del WRC Rally d’Irlanda, fa l’opinionista e racconta le sue storie, gli aneddoti e i piccoli segreti di tanti anni di paddock. Torna in tv per Channel 4, lancia un proprio podcast , si propone per condurre Top Gear. E intanto fa il consulente nei tanti settori nei quali ha esperienza, dal petrolio al fitness. Azionista del Celtic, investe in hedge fund e partnership aziendali, capitalizza e diversifica i propri capitali, media su grossi affari, fonda JKO Capital , diventa consigliere tecnico della Citi Private Bank e Aspinall Capital Partners. Fonda un marchio di Vodka, ha quote in agenzie di Pr, di marketing, di recruitment, immobiliari, diffonde l’energy drink EJ-10. Prova a scalare società di calcio e rugby. Dove trovi il tempo per tutto questo rimane un mistero. La sua agenda è occupata fino a tutto il 2026. Un matrimonio alle spalle , quattro figli , proprietà a Wentworth, South Kensington, Monaco e Città del Capo, dove negli ultimi anni ha fissato la sua residenza. E ogni tanto rimpiange l’elicottero personale rimasto in Irlanda. Protagonista di ‘This is your life’, un documentario inglese girato nel 2000, avrebbe desiderato aggiornarlo ogni anno, poiché i suoi interessi aumentano esponenzialmente col passare del tempo. È un appassionato di nautica, un ottimo velista, possiede cavalli , gioca a golf e possiede una barca a vela di 45,3 metri e un Sunseeker Yacht da 32 milioni di sterline. Intenditore d’arte e collezionista, due volte PHD ad honorem, membro dei Royal Club di Golf e di Yacht, si svela nell’autobiografia del 2007 ‘An independent man’. Pluripremiato, filantropo, mecenate per la ricerca sul cancro infantile, Eddie è anche un eccellente batterista e nel tempo libero -ma quale?- va in bicicletta e suona. Fino al 2007 ha anche una band tutta sua e gira il mondo per locali con mini show degli ‘Eddie & The Robbers’. Non ho mai conosciuto una persona più eclettica e vulcanica in vita mia. Eddie, il riferimento Finché abbiamo frequentato contemporaneamente i paddock, la sua hospitality è sempre stata un punto di riferimento per tutti. In quindici anni, ospiti incredibili e ragazze meravigliose si sono alternate attorno alle sue EJ gialle. Da Miss Jordan a Rowan Atkinson e George Harrison. L’ultima volta che ci siamo incontrati mi ha stretto la mano e mi ha abbracciato e mi ha sussurrato: “Mi diverto come un ragazzino”. E non è difficile essendo al suo posto. Gli ho chiesto un bilancio della sua vita e mi ha risposto senza esitare: “Ho perso molto, ho guadagnato molto, ho vinto soprattutto la mia sfida di riuscire a resistere tanto in F1 con molti meno fondi dei grandi team”. Poi mi ha sorriso e mi ha detto che aveva delle prove con i ragazzi del suo gruppo, perché avevano un concerto a margine del Gran Premio e doveva andare alla batteria. È l’ultima immagine che ho, di qualche anno fa ormai. L’ultimo ricordo di un uomo che nel 2024 ha scoperto di essere malato. Un cancro alla prostata, poi estesosi alla vescica , alla colonna vertebrale e al bacino se lo è portato via. Ed Eddie ‘Flash’ Jordan dalle mille vite e dai mille impegni ci ha lasciati improvvisamente. A quasi 77 anni vissuti intensamente e freneticamente, nella sua casa di Città del Capo, in Sudafrica. Un proverbio del luogo dice ‘umuntu ngumuntu ngabantu’, che più o meno vuol dire ‘siamo ciò che siamo grazie agli altri’. Oggi molti sono ciò che sono grazie a Eddie Jordan. Un manager carismatico e vitale, uno degli ultimi grandi proprietari di Team indipendenti della F1. Un uomo speciale, dalla personalità unica e coinvolgente. Sempre gioviale, scherzoso, gradevole, genuino. Anche nei momenti peggiori. Il bello di Eddie Jordan era l’essere diretti. Non le mandava a dire e preferiva confronti franchi a falsità di maniera. Amava la competizione in tutte le cose. E sdrammatizzava. Non c’è più nessuno come lui oggi in F1, capace di calarsi anche nei panni degli altri e individuare soluzioni. Autentico.

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Lucio Rizzica