Il Messico è e sarà sempre una sorpresa continua

Al di là dell’ultima vittoria Ferrari, con Carlos Sainz nel 2024, il Messico ha da sempre rappresentato una trasferta impegnativa per piloti e monoposto. Duemila-duecento-quaranta metri di altitudine non sono uno scherzo per via della rarefazione dell’ossigeno e soprattutto del surriscaldamento dei motori. Quindi aperture delle prese d’aria 'a manetta' e tentativo di abituarsi all’altezza del tracciato per tutti i componenti del team. Il circuito ha ospitato a più riprese le vicende del Mondiale di Formula 1 ed è intitolato ai due fratelli Rodriguez, tragicamente morti in gara: il primo nel 1962 proprio su questo tracciato, l’anno precedente alla consacrazione dello stesso campionato a mondiale, il secondo nel 1971 al Nosiring. Oggi rimodernato e particolarmente attraente, è sempre collocato alle porte della mega-città in un parco cittadino. Facciamo un piccolo passo indietro. Tornando da Magny Cours, durante una trasferta del campionato, ero in macchina con Giorgio Piola, anzi guidavo io la sua macchina. Era tardi, attorno alla mezzanotte, e improvvisamente prima di raggiungere Nizza, in autostrada, si illuminò a giorno una curva. Era un rilevatore di velocità che ci fotografò. “Belin - disse Giorgio in genovese - questa la paghi tu”. E poi vista la situazione, per sdrammatizzare il tutto, mi raccontò un aneddoto accaduto proprio a Città del Messico. In quegli anni un super hotel era all’interno del parco, e in quel luogo ci dormivano normalmente piloti, ingegneri e giornalisti. Piola , era senza vettura e quel giorno chiese un passaggio a Harvey Postlethwaite, progettista inglese della Ferrari e di tante altre monoposto innovative. Uscirono dal garage dell’hotel e Giorgio subito gli fece presente che in Messico bisognava guidare con prudenza per il grande traffico e soprattutto per la marea di poliziotti che erano soliti presidiare le strade. Alcuni irreprensibili, altri meno disposti a lasciar passare, se non dietro lauta mancia. Così disse che Giancarlo Minardi il giorno prima fu fermato e dovette consegnare il passaporto, restituito dietro 'cauzione' di 100 dollari. Insomma, è una prassi: a me e Lucio Rizzica, collega di Sky Sport, successe a Budapest, in Ungheria, una cosa simile. Così Giorgio e Harvey uscirono in strada, si fermarono a un semaforo e vennero subito stoppati dal poliziotto di turno. Nonostante le raccomandazioni di non consegnare il passaporto, fatte da Piola all’ingegnere, Postlethwaite consegnò al poliziotto non tanto il passaporto, quanto la patente. Prontamente accusato di aver infranto il codice, passando con il rosso , venne inscenata una discussione che terminò con la 'consegna' dei tanto agognati 100 dollari per riavere il documento. Così una volta pagato, con il semaforo verde, in direzione autodromo, all’ingegnere venne fuori con il classico accento inglese, in quasi perfetto italiano, “Giorgio lei ha portato sfiga…”. Una grassa risata per entrambi riempì la giornata dei due amici e rimase negli annali di quella Formula 1. Un po’ come quando Surtees vinse il Mondiale proprio in questo circuito, un’altra grande pagina ricca di ilarità di questo sport. Davanti a tutti, in quella fatidica gara messicana, c’era Dan Gurney con la Brabham-Climax, inseguito dai due piloti Ferrari, appunto John Surtees e davanti a lui in seconda posizione Lorenzo Bandini. Per Surtees era necessaria la seconda posizione per aggiudicarsi il titolo e diventare il primo storico pilota a vincere un Mondiale sia nelle due sia nelle quattro ruote. Ma Lorenzo Bandini non ne voleva sapere di lasciare passare il compagno di squadra, nonostante i richiami dal box. Poi l’intraprendenza e l’esperienza dell’inglese ebbero la meglio. Così al termine della gara, con il classico aplomb inglese John non disse nulla, se non che fece recapitare all’italiano un manuale di scuola-guida al box, in modo che potesse leggerlo e imparare a guidare. Infine come non ricordare Jo Ramirez, il messicano per anni al fianco di Ayrton Senna, come confidente, meccanico, ingegnere, direttore tecnico e sportivo, insomma un vero e proprio tuttofare in grado di supportare e aiutare nei momenti difficili il campione brasiliano. Era lui che gli strappava sempre un sorriso quando arrivava in pista con la sua Harley Davidson extra glide, casco a stelle e strisce e occhialoni da Easy Rider. Discreto, sempre molto gentile, Jo impersonificava il classico messicano colto e intelligente, ma anche focoso e poco avvezzo alla sottomissione. Spalleggiò anche Max Mosley durante il suo difficile periodo post “MosleyGate” e fece da paciere tra me e lo stesso Mosley in occasione di un’intervista rilasciatami dall’ex presidente FIA, subito dopo la scoperta dello scandalo nel quale era coinvolto. Sempre molto disponibile e pacato, si alterò leggermente a seguito di alcune domande che gli feci in diretta. Jo era lì che ascoltava e quando finimmo l’intervista ci prese entrambi sottobraccio, ci disse che non avremmo dovuto serbare roncare e che saremmo dovuti tornare a essere amici. Così fu, grazie al gran cuore messicano.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Il Messico è e sarà sempre una sorpresa continua

Biagio Maglienti