Anche un secondo posto a sorpresa può far arrabbiare

La trasferta australiana è sempre stata un qualcosa di speciale. Al di là del fuso orario che ti proietta in un mondo totalmente diverso, c’è la pista dell’Albert Park che si snoda velocissima in questo sobborgo di Melbourne. Infatti, la cittadina australiana ha uno sfogo sul mare, con belle spiagge e tanti locali, un business district e poi questo parco enorme con al centro un lago. È un po’ la valvola di sfogo degli abitanti di Melbourne, anche se a dire il vero la città non è così incasinata da dover avere necessariamente un posto tranquillo. Il Gran Premio solitamente si disputa durante la festività nazionale di San Patrick, regalando ai fans del motorsport qualche giorno di vacanza in più. In pieno business district c’è il Crown Casinò, aperto 24 ore dove normalmente gli amanti del gioco d’azzardo spendono ore e ore a dilapidare i propri patrimoni, grandi o piccoli che siano. Il GP d’Australia del 2010 vide un Robert Kubica protagonista di una super gara. Al via il polacco partiva solo in nona posizione, ma un leggera pioggerellina alla partenza e un contatto tra Schumacher, Alonso e Button alla prima frenata aprirono le porte al pilota Renault per una rimonta pazzesca. Robert è sempre stato in carriera un vero calcolatore. Mi ricordo a Singapore, una notte che entrammo in pista a correre a piedi, facemmo tre o quattro giri e al termine di ogni giro di pista staccava il tempo sul giro e ragionava su come migliorare il successivo. La sua testa era settata per questo ragionamento, qualsiasi sport facesse. Anche in bici le scalate erano tutte scandite dal cronometraggio. Figuriamoci in gara, per uno sport che ne è stata ed è tuttora la sua professione. Quel 2010, quindi, con partenza ad handicap e safety-car in pista per alcuni giri, fu l’opportunità per cercare di vincere o arrivare a podio. Avendo un ottimo rapporto con lui, esultai per quella seconda posizione. Quando lo incontrai nel paddock scambiammo alcune parole, ma non lo vidi estremamente felice e mi diede appuntamento per uscire alla sera a mangiare o a divertirci. Ci incontrammo in down-town e dopo una breve cena ad un ristorante giapponese, dove per altro assistemmo ad una piccola e curiosa, oltre che simpatica, discussione tra Giancarlo Fisichella e il manager di Kamui Kobayashi, che non voleva pagare il conto, Robert mi disse di fare qualche giocata a Black Jack al casinò. Accettai anche se né io né lui avevamo tanto questa passione. Sì, avevamo organizzato qualche partitella a texas-hold’em in circuito, ma solo per passare il tempo, con Fisico, Liuzzi, Sutil, Alonso, ma niente di più. Al Casinò a Melbourne era più un voler far passare la notte, per via del fuso orario. Successe anche a Tokyo, dove facemmo fare il giro di mezza Tokyo alle due di notte, al taxista perché volevamo andare a giocare a bowling in un posto che Barrichello aveva consigliato a Robert, con il risultato che trovammo il sistema di farci quasi arrestare dalla polizia che ci chiese i documenti che non avevamo. A Melbourne andò proprio male al Casinò; io mi fermai a qualche dollaro e Robert dopo averne spesi un centinaio, mi confidò che quando “inizia male”, la giornata difficilmente si riprende. Beh, gli chiesi perché; un secondo posto al GP era buona cosa e vabbè al gioco si perde e si vince. Ecco pronta la risposta: “ho provato a vedere se era vero, ma tu lo sai che oggi potevo vincere?”. E mi spiegò che dopo la partenza con botto e successiva safety-car, aveva fatto tutti i conti e deciso di continuare in pista per uno stint molto lungo. Ai box al contrario lo richiamarono molto prima e lui che avrebbe voluto restare in pista ancora fece finta di nulla, fino a quando lo obbligarono al rientro e al cambio gomme. Ma a questo punto Button era imprendibile e si dovette accontentare del secondo posto. Capii immediatamente del perché al termine della gara non fosse così felice, capii anche perché volle andare a giocare a Black Jack, insomma, fece tutti i ragionamenti possibili per capire se quel GP d’Australia del 2010 era un’occasione persa o guadagnata. Se poi aggiungiamo che a Melbourne Robert non ha mai avuto, sempre per dei casi particolari, le chance importanti per vincere, beh il gioco è fatto e come dargli torto. La prova del nove lo aveva definitivamente convinto e… forse aveva convinto anche me.

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