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MotoGP Tech, l'analisi tecnica della Yamaha M1: ecco perché non va

MotoGp

Giulio Bernardelle

(Foto: Getty Images)

MotoGP Tech - I mali della M1 sono tutti legati allo sviluppo portato avanti da due anni in qua; vediamo quali sono, settore per settore

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Da quando all’inizio del 2004 a Sepang Valentino Rossi salì per la prima volta sulla Yamaha M1 in un test privato organizzato apposta per il debutto del campione di Tavullia alla guida della moto giapponese, la Yamaha ha sempre avuto un ruolo di primo piano nello scenario tecnologico della MotoGP.

A quell’epoca dirigevo l’attività tecnica del team Honda Pramac; ero a Sepang perché avevamo provato fino al giorno prima, così ebbi l’occasione di seguire il primo contatto tra Valentino Rossi e la Yamaha M1 dai margini del tracciato malese. Posso dire di essere stato testimone di come la sintonia tra il Dottore e la M1 sia nata subito. Sarebbe bastato il sonoro delle moto di Rossi a confronto con quella del suo compagno di scuderia Melandri per capire come il primo, coadiuvato dalla squadra di tecnici ex-Honda guidata da Jeremy Burgess, riusciva ad utilizzare il motore in modo decisamente più fluido ed efficace.

Da allora è sempre stato un crescendo di prestazioni che ha permesso alla Yamaha M1 di rimanere costantemente al vertice della MotoGP, anche quando non è stato uno dei suoi piloti a vincere il Mondiale.
La M1 ha ottenuto una serie impressionante di vittorie ed i piloti Yamaha si sono aggiudicati il titolo ben 7 volte da allora: Rossi nel 2004, 2005, 2008 e 2009, Lorenzo nel 2010, 2012 e 2015, diventando così i compagni di squadra più vincenti della storia recente della MotoGP.

Tutto questo fino all’inizio della stagione 2017, quella che ha visto l’abbandono di Lorenzo passato alla Ducati ed il debutto incredibilmente veloce di Vinales arrivato dalla Suzuki.
Dopo le prime gare dello scorso anno qualcosa si è inceppato all’interno del reparto corse della casa di Iwata; la questione merita un’analisi approfondita in quanto non è così evidente quali siano i mali e in cosa possano aver sbagliato i tecnici giapponesi.

Un progetto armonico

Prima di iniziare, però, devo sottolineare che ho sempre ritenuto e ritengo ancora la M1 il progetto realizzato in maniera più armonica tra quelli che caratterizzano lo schieramento MotoGP. Il motore a 4 cilindri in linea trasversale permette di arrivare ad una grande compattezza in senso longitudinale, a tutto vantaggio della geometria della sospensione posteriore e quindi della dote di trazione meccanica della moto. La soluzione dell’albero motore contro-rotante, seguita con qualche stagione di ritardo da tutti in MotoGP, ha permesso di correggere in modo significativo i problemi di maneggevolezza che l’inerzia dell’albero motore di dimensioni generose poteva portare. La soluzione dall’albero motore “cross-plane” e la conseguente fasatura di scoppio di tipo “big bang” ha portato ad ottenere un’erogazione di coppia molto più facile da gestire per il pilota. Queste caratteristiche tecniche rappresentano dei capisaldi ancora validi ed assolutamente attuali; la riprova è la Suzuki che ha impostato la sua GSX-RR, la moto del ritorno in MotoGP, esattamente su questi stessi fondamentali.
I mali della M1 sono, quindi, tutti legati allo sviluppo eseguito da due anni in qua; vediamo quali sono, settore per settore.

Il passaggio all’elettronica unica

Nel 2016 è stata introdotta la norma che obbliga tutti i costruttori ad adottare lo stesso pacchetto elettronico, hardware e software. L’organizzatore della serie ha giustificato questa scelta dichiarando di inseguire il solito miraggio del contenimento dei costi di sviluppo e del livellamento delle prestazioni, ma ha lasciato stranamente non regolamentata la scelta della Piattaforma Inerziale. Questo oggetto è un componente di fondamentale importanza per il funzionamento di molti veicoli caratterizzati da un comportamento dinamico complesso, tanto che lo adottano anche molte moto stradali e tutte le MotoGP. Si tratta di un componente che è in grado di leggere ed inviare alla centralina elettronica di gestione una serie di segnali che permettono di determinare istantaneamente le inclinazioni del veicolo rispetto ai tre assi cartesiani e le tre componenti fondamentali dell’accelerazione che il veicolo sta avendo nel suo movimento. Questi sono dei parametri di input fondamentali per l’utilizzo delle strategie di gestione e di controllo dell’erogazione della coppia motrice. La scelta della Piattaforma è libera e lo è pure il software che ogni costruttore può caricare su questo componente. La cosa contrasta con lo spirito del nuovo regolamento che prevede invece che hardware e software siano uguali per tutti. Così, tanto per fare un esempio, un costruttore potrebbe potenzialmente aggirare uno dei limiti del pacchetto elettronico unico che è quello di non essere più auto-adattativo come invece lo erano i sistemi di gestione precedenti sviluppati da ogni Casa, andando a sviluppare un apposito software che modifica durante il corso del GP, in modo opportuno, i valori dei segnali inviati dalla Piattaforma alla centralina di gestione, proprio tramite un algoritmo implementato all’interno della Piattaforma Inerziale stessa. In MotoGP sta avvenendo qualcosa di simile e Yamaha è rimasta più indietro degli altri con lo sviluppo del software di questo componente, tanto da essere spesso in crisi in gara con la gestione del calo di prestazione della gomma posteriore: il suo sistema di controllo di trazione lavora peggio di quello Honda e di quello Ducati.

Il problema scomparirà il prossimo anno in quanto la Direzione Tecnica di Dorna è riuscita a trovare un accordo con i costruttori che porterà all’adozione di una Piattaforma Inerziale unica a partire dal 2019. Per quest’anno, però, bisogna che gli elettronici Yamaha si diano da fare in fretta per trovare una soluzione.

Il passaggio alle Michelin

La Yamaha è sempre stata famosa per la bontà dei suoi telai da corsa e la M1 è stata probabilmente la moto più ottimizzata per far rendere le gomme Bridgestone che si sono utilizzate fino al 2015.
Nel 2016 il ritorno alle Michelin non ha rappresentato un grosso problema, almeno inizialmente; in un anno di gare, però, la Michelin ha sviluppato notevolmente le sue gomme ed ora, soprattutto l’anteriore, è ben diversa dalla gomma di inizio 2016. Al di là delle prestazioni, sono state evolute notevolmente le carcasse che per arrivare a rendere in maniera ottimale richiedono delle rigidezze particolari ai telai.

Anche in questo settore di sviluppo tecnico la M1 è rimasta indietro rispetto a Honda e anche a Ducati; lo scorso anno si sono persi parecchi mesi utilizzando un telaio che aveva il motore riposizionato al suo interno alla ricerca di una maggiore maneggevolezza nei cambi di direzione, mentre quest’anno è soprattutto Vinales ad essere in crisi con il feeling con la gomma anteriore dimostrando di aver bisogno di qualcosa di più del semplice lavoro di sviluppo del setting che si fa durante i week-end di gara.

L’evoluzione del motore

Con il regolamento che prevede di limitare a 7 il numero di motori disponibili per la stagione per ogni pilota ufficiale e che ne blocca lo sviluppo meccanico, la scelta della configurazione che si fa alla fine dell’inverno è davvero importante. Il motore della M1, quest’anno sembra aver sacrificato una parte della sua proverbiale linearità di erogazione alla ricerca di una maggiore potenza massima e capacità di accelerazione. Si tratta sempre di un equilibrio molto difficile da trovare, ma nella Classe Regina conta principalmente non mettere in crisi il pilota nella guida, molto più che avere un motore strapotente. Il passato, anche recente, è pieno di esempi in questo senso.
Il problema è che se sono state sbagliate scelte fondamentali, tipo il diagramma di distribuzione, per correggerle devi aspettare un anno proprio a causa del regolamento in vigore.

La pianificazione dei test e dello sviluppo tecnico della moto

Tra il 2016 ed il 2017 il calendario di prove programmato da Honda e, soprattutto da Ducati, si è rivelato sicuramente più valido di quello Yamaha. Ci sono stati almeno un paio di episodi, come il test eseguito a Barcellona prima del GP della scorsa stagione che poi vinse Dovizioso, che hanno permesso ai principali rivali di Yamaha di ricavare un bel po’ più di parametri in più sul funzionamento delle gomme francesi. Quest’anno la pianificazione è migliorata, però i dati raccolti dagli altri sono stati più utili per meglio indirizzare l’evoluzione tecnica delle moto e del setting di base. L’impressione che si ha da fuori è che all’interno del reparto corse giapponese sia venuta a mancare la figura di un leader in grado di indirizzare in modo opportuno le scelte tecniche.

Il clima all’interno del box

Mentre Rossi riesce sempre a mostrare un grande accordo con la sua squadra di tecnici, Vinalez quest’anno si è lasciato andare in più di qualche occasione a critiche piuttosto dirette al lavoro fatto dal suo team durante i turni di prova ed al grado di messa a punto raggiunto dalla sua moto. Lo spagnolo è apparso a volte smarrito e lontano dall’aver inquadrato il problema. Questo non gli consentirà di essere così preciso nei commenti e negli indirizzi da dare ai progettisti Yamaha, ai quali non resta che affidarsi alle indicazioni di Valentino Rossi, il quale dovrà far sentire tutto il peso della sua esperienza e dei risultati che ha raggiunto in carriera per pretendere dei componenti evoluti e far vedere poi in pista che aveva ragione.

Ci sono tutti i presupposti perché la situazione possa essere raddrizzata, già nella seconda parte di questa stagione. In Yamaha, però, devono tornare ad essere più precisi nello sviluppo della loro M1 che non merita rivoluzioni, ma solo un’attenta e mirata evoluzione di alcuni fondamentali.