La pace di un campione

Un titolo tutto suo Ora che Marquez il titolo l’ha vinto bisogna soppesarlo. Ora che ha raggiunto a quota nove l’avversario di sempre Valentino Rossi, bisognerà anche provare a metterli un po’ in relazione, perché al di là di tutto Marquez e Rossi, che una parte del viaggio lungo trent’anni l’hanno fatta insieme, sono il segno di due ere, simili ma diverse per come sono diversi loro. Intanto Marquez ha sorpreso tutti, soprattutto quelli che dal 2025 si aspettavano che fossero botte e sorpassi continui tra lui, Pecco Bagnaia compagno di squadra e Martin campione del mondo in carica, poi uscente, poi uscito del tutto alla fine di una stagione disgraziata per molti versi. Non è successo niente di tutto questo. Marquez ha trovato la Ducati e il campo libero da avversari, ma ha anche generato da solo la libertà del proprio campo andando semplicemente più forte degli altri tutte le volte che poteva, cioè praticamente sempre. Senza screzi, senza disturbi indotti, senza bisogno di accendere le aggressività di un tempo; più maturo, equilibrato e potente di sempre. Perché si cresce, perché le ferite bruciano finché sono aperte e buttarci il sale sopra non aiuta. L’ha capito, ha optato per la strada delle guarigioni in tutti i sensi, ed è stato un passo avanti determinante. Oggi è campione del mondo una volta di più e dice “adesso, finalmente, ho la pace dentro”. E continua a ripeterlo “sono in pace, sono in pace, adesso sono in pace”. Il senso pienissimo di questo mondiale, di questo nono titolo e di questa pace, si capiscono solo ripassando la carriera. L’istinto lo premia, l’istinto lo batte Da Marquez arrivano messaggi chiari nella prima parte già impressionante della carriera, quando si affaccia in 125 con una sfrontatezza, una velocità e una fame di vittoria imbarazzanti per chiunque. Fa presto a diventare campione del mondo , a salire di categoria per strapazzarli tutti anche in Moto2 e poi ad arrivare in MotoGP per essere una bomba da subito . Quindi continuare sulla stessa linea. Non c’è da invidiare chi in quegli anni doveva affrontarlo in pista e contemporaneamente anche capire con quale forza spaccasse tutto intorno a sé. Il ragazzino deflagrava nell’era d’oro di Rossi, Lorenzo, Pedrosa e Dovizioso e a turno, con mosse diverse e vittorie diverse, scombinava i piani di tutti. Stava in piedi in situazioni in cui sarebbe stato normale cadere, gli si chiudeva la vena quando era meglio ragionare, più raramente ragionava quando si poteva chiudere la vena. Il suo istinto bestiale e magico era leggibile e controverso, difficile da tenere a bada persino per sé stesso. Tutto a manetta, senza fiato. Fino a cascare nel megadissidio del 2015 con Rossi e a pagarne pure le conseguenze in termini di consenso. Non entriamo qui nelle riflessioni sull’etica sportiva, ma un Messi che entra a gamba tesa nei piedi di Maradona che va in gol mentre è all’apice della popolarità non fa un favore né a Maradona né a sé stesso. Se a Marquez la faccenda sia pesata negli anni successivi bene bene non lo sappiamo, immaginiamo di sì, ma sembrava di no. Sembrava che non gli importasse granché; la priorità era quella di tornare a vincere subito, come da manuale del perfetto campione che se non è egoista e si fa prendere dai dubbi, dai sensi di colpa e dai rimpianti poi finisce che la pianta lì. Pensiamo che oggi farebbe diversamente, lo ha detto lui: “Si matura, si cambia. A trent’anni si è diversi da quando se ne hanno venti”. Un dramma terribile Si diceva che il vero avversario di Marquez in MotoGP, più ancora che quegli avversari là, fosse Marquez medesimo. Una banalità verissima che gli rovinò addosso a Jerez nel 2020, quando andando come un pazzo per divorare tutto cadde malissimo e si spaccò un braccio. Non era una frattura normale quella del suo omero, ma molte fratture insieme. E non se ne occuparono medici normali, ma medici che, per assecondare la fretta di rientro del cannibale che governava e influenzava tutto l’entourage con il suo carisma, lavorarono male e in modo per lui poco sicuro. L’ebbrezza da ritorno divenne un calvario di operazioni chirurgiche fallite, riuscite solo dopo quattro tentativi e qualche vuoto di buonsenso. All’osso malandato di Marquez si aggiungeva il vecchio pericolo della diplopia. Da qualunque punto lo si guardasse il panorama era mica bello. Marquez curava sé stesso, ma essendo di fatto assente dalle piste smetteva in automatico di curare la Honda che, per inciso, nel periodo buono aveva reso strana e vincente solo con lui sopra, togliendo di mezzo i pari marca. Ma al ritorno in pista la Honda divenne progressivamente anche per lui un oggetto inaffrontabile. Perché è vero che quelli così vincono anche in sella a un calorifero o a un phon, ma fino a un certo punto. A tutto c’è un limite, soprattutto quando ti ritrovi la Ducati che cresce di botto sfornando un’invenzione al giorno e azzeccandole tutte. Gp di Germania 2023: Marquez con la Honda cade cinque volte sulla sua pista preferita. Fino a lì ha dato tutto e anche di più. La carriera a rischio Il dubbio del ritiro, il sospetto interiore di un fine corsa globale si era fatto vivo nei giorni più bui del 2020 ed era stato per Marquez più di una suggestione. Dentro di lui restava fortissima la sensazione di non aver finito un lavoro, di poter dare ancora il meglio di sé. Che durò anni, tra alti e bassi, perché c’erano il braccio e la moto che erano due cavolo di problemi da risolvere. Il 2021 , il 2022 e il 2023 furono il segno della sua resistenza personale e solitaria ad un anonimato generalizzato che era imposto da evidenti ragioni fisiche e tecniche. Nonostante avesse chiuso settimo, tredicesimo e quattordicesimo i mondiali 2021, 2022 e 2023, per Marquez tornavano progressivamente vivi la considerazione di sé stesso e il progetto per il futuro. Marquez non rinunciava a Marquez, mentre il mondo – poco lungimirante - lo ignorava, come se per tutti la sua avventura fosse fallita male senza altre possibilità. Si, ciao… Resiste e progetta la rinascita Gigi Dall’Igna vede lungo e Marquez vide lungo guardando a Gigi Dall’Igna. Il tentativo estremo della Honda, che credeva ancora in Marquez, fu nel 2023 quello di provare a prendere Dall’Igna per dare un nuovo indirizzo tecnico alla propria competitività. Per l’ipotetico accordo Dall’Igna aveva in Marquez uno sponsor pazzesco. Ma finì che si accordarono per il contrario: non Dall’Igna in Honda, ma Marquez in Ducati. Per il pilota si trattava di rinunciare ai soldi della Honda, degli sponsor e al proprio team storico, pur di salire sulla moto italiana. Gli andava bene così, si poteva fare, i soldi erano un aspetto marginale rispetto alla sua natura di vincente assoluto che era rimasta solo ibernata. La forza di andare avanti a tentoni in una galleria iperscura fu finalmente ripagata dall’accesso al mondo Ducati attraverso il team Gresini, come compagno di suo fratello Alex. Il suo biglietto di ingresso nel mondo di Borgo Panigale era stampato. Mentre Bagnaia e Martin se la giocavano tra loro con la moto del 2024, Marquez vinceva tre gare con la più difficile 2023, calato dentro una squadra sbigottita per l’arrivo di una personalità di quel genere, ma pronto ad assorbirlo e a scoprirne i pregi: zero menate, zero protagonismi e capricci, grande collaborazione e un chiodo fisso per la vittoria. I dati di Marquez sulla 2023 si rivelarono così espliciti e strabilianti per gli ingegneri di Bologna che la Ducati si sentì di sacrificare Martin per prendere il 93 in rosso. È così che il cerchio si è chiuso. È così che se ne è riaperto un altro. Il Rosso e il Giallo, Messi e Maradona Il 2025 è stato un’indigestione di tutto quello che non era arrivato prima, la restituzione di quello che Marquez aveva perso. Un ritorno vero senza pietà per nessuno, nemmeno per lo spettacolo che ha risentito di un dominio grandioso, talmente tanto da farci cascare nel paradosso per cui lo spessore dell’impresa si perde nella sua ripetitiva qualità. E fa nove, come Rossi, che probabilmente è sempre stato il suo obiettivo, sia da quando si stimavano che – soprattutto - da quando hanno iniziato a detestarsi. Anzi, ci sta che in questo nono titolo, che potrebbe pure diventare il decimo nel 2026, ci sia anche del puntiglio personalizzato sui numeri di Valentino. Da eguagliare e da battere. Ora a titoli stanno pari. A vittorie globali è in vantaggio Rossi 115 a 99, ma di questo passo sedici vittorie si fa presto a metterle insieme. Tra la lunghissima era d’oro di Rossi e questa nuova era d’oro di Marquez è cambiato il tempo, sociale e sportivo, per cui uno resta Maradona e l’altro resta Messi. Uno ha vissuto una popolarità planetaria perché con il suo modo di fare e di vincere ha dato una spinta impressionante al motociclismo per tutti, mentre l’altro ha offerto una storia di resistenza e di rinascita in un tempo molto più dispersivo e polarizzato. Rossi era IL contenuto di molte domeniche, Marquez è uno dei tanti contenuti scrollabili su cui soffermarsi. Perché è diverso il contesto. Sono due fenomeni, che resteranno inconciliabili a vita. Rossi pensa che i suoi, senza Marquez, sarebbero stati dieci titoli e non la digerisce. Marquez va dritto contando sul fatto che il tempo forse guarirà le cose come è successo a lui, o forse no, ma nemmeno gli interessa. Rossi lasciò la Honda per la Yamaha mentre stava benissimo perché rischiava che i suoi risultati contassero solo per la bontà della moto, Marquez ha fatto il contrario - e ha fatto bene - passando da una moto diventata difficile come la Honda ad una moto vincente come la Ducati. E avendoci messo molto del suo ha generato il rischio legittimo che il brand del pilota sovrasti quello della moto. Ma stavolta Ducati sta al gioco. Ora gli avversari Già, la mancanza di Bagnaia in quello che doveva essere il mitico confronto 2025 fra lui che è il post-Valentino e Marquez, ha di fatto elevato Marquez sopra ogni cosa, Ducati compresa. Ma non è stato il vero Bagnaia, lo sappiamo bene, lo abbiamo visto in questi giorni della clamorosa doppietta in Giappone con una moto finalmente adatta alle sue mani, alle sue sensazioni. L’ingombro oggettivo di Marquez ha portato molti a pensare che le difficoltà di Bagnaia avessero a che fare con una distruzione interiore; che Pecco non avesse retto il colpo psicologico di un compagno così forte. Scopriremo, aspettando conferme, se chi lo ha pensato abbia fatto un torto a Bagnaia che tra le sue capacità ha quella di essere oggettivo nelle valutazioni, di riconoscere i meriti dei suoi avversari, di non nascondere i suoi fastidi . Ma ci sta che qualunque pilota della griglia debba presentarsi in partenza convinto di poterli battere tutti, compreso il marziano; e ci sta che qualunque pilota sia scocciato se al marziano non si avvicina nemmeno un po’. E’ obbligatorio e va specificato perché in troppi, in questo anno meraviglioso di Marquez, si sono dimenticati di cosa sia stato realmente capace Bagnaia nei momenti migliori che non sono nemmeno durati poco. Con Marquez che rimane il certificatissimo riferimento è meglio per tutti averli competitivi entrambi. E’ meglio per tutti avere competitiva tutta la griglia di partenza. Sarebbe bello, e non così impossibile, trovare spesso in bagarre Bezzecchi, Martin, Quartararo, Acosta, Alex Marquez e pure le case avversarie di Ducati che, fino al cambio regolamentare del 2027, potrà pensare abbastanza serenamente di poter prolungare ancora il suo ciclo vincente. Il capolavoro è concluso. Una vera storia di rinascita è compiuta e va mandata a memoria. Il talento ha vinto. La leggenda continua e Marquez continua a farne parte, senza nessun dubbio e molto in pace.

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Guido Meda