De Angelis: "Nuova vita da team manager? Sono pronto! Contentissimo della mia carriera"

Da pochissimo, all’ultima gara a Valencia è arrivata anche la ‘chiamata’, la telefonata inattesa, ma in fondo inconsciamente cercata per tutta la vita dopo la fine della carriera da pilota: quella di Palo Campinoti, proprietario del team Pramac che l’ha voluto come team manager della nuova squadra in Moto2 sotto l’egida di Yamaha. Una sorpresa bellissima per un eterno ragazzo che con l’amore per le moto, le corse e i piloti ha riempito la sua vita. Con competenza, intelligenza e onestà. Bene, ma questa è il prossimo capitolo della carriera e della vita di Alex De Angelis. Cominciamo dall’inizio, allora. Se da giovane hai inseguito e vissuto il tuo sogno, hai soltanto sfiorato il grande successo, ma sei comunque stato uno di quelli buoni, di quelli che hanno vinto delle gare, che hanno deciso di smettere senza esserne costretti, che alla fine i ‘più’ sono stati ben maggiori dei ‘meno’ e se ancora oggi, a 40 anni, vai in giro col furgone per raggiungere circuiti in tutta Italia e anche in Europa dove guidi insegnando a chi lo desidera, come si guida in pista, beh vuol dire che la scelta fatta oltre 30 anni fa da quel bambino è stata giusta, azzeccata, bellissima. Sì Alex De Angelis, romagnolo/sammarinese figlio di Vinicio, un appassionato di corse e motori, fratello di William, pure lui pilota è un uomo felice, sorridente, soddisfatto. Anche dopo aver smesso nel 2020 ha continuato a collaborare con Ducati per sviluppare la moto elettrica e a guidare in pista, cosa che ancora gli piace più di ogni altra. Una carriera la sua, lunga un quarto di secolo che non lo ha saturato, anzi, anche se a volte ha dovuto pagare prezzi importanti, nel suo futuro ci sono comunque tute, caschi, piste, pieghe, staccate, gas, officine, olio, benzina per chissà quanti anni ancora. E ha pure una predilezione per le piste che girano in senso antiorario, ‘counterclockwise’, come Marc Marquez, tanto per dire. Prima di leggere ciò che ci ha raccontato Alex, vediamo una sintesi di quella che è stata la sua lunga e interessante carriera. Abbiamo detto che il babbo Vinicio è sempre stato un appassionato di auto e moto. I ragazzi De Angelis sono cresciuti praticamente in un’officina che guardava su una pista di minimoto. Difficile che crescessero senza un amore sfrenato, totale per il ‘mutòr’. Nel 1994/95 il via con le minimoto, poi il trofeo Honda e nel ’99 campione italiano ed europeo nella 125 con il Team Matteoni. Nel 1999 ha anche debuttato nel mondiale a Imola in quella che fu l’ultima gara delle GP su quel tracciato. Nel 2000 è diventato debuttante dell’anno con la Honda Matteoni, poi è passato in Aprilia col team di Lucio Cecchinello e nel 2002 ha conquistato il suo primo podio mondiale al Sachsenring, dove è salito per 6 anni di seguito, circuito antiorario, per l’appunto. Nel 2003 ha chiuso come vicecampione del mondo della 125 dietro a Dani Pedrosa, e l’anno dopo è passato in 250 con un’Aprilia ufficiale. Nel 2006 col team Aspar ha vinto la sua prima gara a Valencia e conquista ben 12 podi. Due anni più tardi Fausto Gresini lo ha chiamato in MotoGP dove fa 4° al Mugello e nel 2009 secondo ad Indy . La sua carriera continua in Moto2 dal 2010 al 2014 con il coinvolgimento nel terribile incidente nel quale ha perso la vita Tomizawa a Misano e sostituzioni in MotoGP. Nel 2011 ha vinto con la Moto2 a Phillip Island, pure lui circuito sinistrorso. Nel 2015 il terribile incidente di Motegi con la Art del Team Ioda Racing, i lunghi mesi di sofferenza e recupero in ospedale per poi tornare nel 2016 in SBK con la Kawasaki del team Pedercini, poi con un’Aprilia e infine il ritorno nel giro del mondiale con le stagioni in MotoE nel ’19 e ’20 e quindi la scelta del ritiro dopo 25 anni di gare corsi tutti al massimo. Alex la passione per i motori l’hai respirata in casa fin da bambino, con tuo papà che aveva delle auto da rally in officina... “Io abitavo con mio babbo e sotto casa c’era la sua officina con le auto, ma lì vicino c’era una pista di minimoto e perciò molto spesso passavamo in macchina con mio papà e vedevamo quelle motine girare. Così io e mio fratello William abbiamo provato. E prova una volta, prova due, prova tre, un giorno siamo tornati a casa da scuola e abbiamo trovato due moto nuove fiammanti sul tavolo! È stata una sorpresa fantastica: c’erano le porte di casa chiuse e quando abbiamo aperto quella della sala c’erano due minimoto sul tavolo! Una figata! Bellissimo!”. Quando hai cominciato a correre in minimoto? “Io sono del 1984, un po’ più vecchio di Dovizioso, Pasini, Simoncelli e tutto quel giro lì, ma ho corso con loro e ho iniziato un po’ più tardi, verso gli 8/9 anni”. Anche dopo hai più o meno percorso la trafila di tutti fino ad arrivare al Mondiale, giusto? “Sì, ho fatto il trofeo Honda e il campionato italiano, l’italiano e l’Europeo e poi il Mondiale. A parte i primi due anni che li ho fatti con un mio amico meccanico, poi ho corso nel team di Massimo Matteoni e ho fatto anche il Mondiale per 2 anni con lui”. Le minimoto, ma anche Matteoni è un punto fermo nella carriera di molti di voi. Cos’aveva di speciale? “Matteoni soprattutto credeva moltissimo nei giovani, ci metteva anima e corpo e anche se tu eri alle prime armi ti diceva che si poteva vincere: ‘tira fuori i ma**ni, andiamo là e vinciamo!’. Non che ci girasse molto intorno. Poi magari ti faceva volare basso, non ti permetteva di montarti la testa, ma non sopportava le parole ‘fare esperienza’. Lui era uno che andiamo lì e diamo la paga a tutti, con Matteoni si partiva sempre e soltanto per vincere, se non ci riuscivi te lo diceva chiaramente. Aveva un modo di fare che ti caricava anche quando te ne diceva di tutti i colori, cercava di trasformare la tua rabbia in grinta, si sentiva che se eri lì era perché lui credeva in te. Lui è stato pilota e quindi quello che ti diceva ti motivava”. Hai debuttato nel Mondiale in 125 a Imola, l’ultima gara del motomondiale disputatasi su quella pista storica. Era un circuito mitico e c’erano piloti mitici, gente che restava in quella categoria per tutta la carriera ed erano dei punti di riferimento assoluti. Ora invece le categorie minori sono di passaggio... “Sì, per noi ‘italici’ è stata una cosa importante essere lì, correre a Imola, una pista mitica. Era una figata pazzesca fare la prima wild-card: giravi con piloti che fino alla settimana prima vedevi in televisione, un’esperienza che porti dentro di te tutta la vita. Il risultato non è stato eccezionale: sono tornato a casa con un osso rotto, volevo fare bella figura al mio esordio. Non è andata così, ma aver corso a Imola è stato indimenticabile”. Non avrai ottenuto un grande risultato, ma avrai imparato “Quando corri nei campionati minori credi di saper correre, poi arrivi nel Mondiale e alla prima gara impari tutto quello che non avevi imparato in tutta la vita. Sei insieme a quelli forti e vedi veramente dov’è il limite, scopri che è molto più lontano di dove pensavi tu. Impari un sacco di cose: innanzitutto il metodo, arrivi e al venerdì mattina entri e vai forte, non stai lì a capire la pista, la moto, le gomme. Al Mondiale si fa un tempo al venerdì mattina che nei campionati minori non si ottiene neanche dopo 4 giorni di test. Si spreme tutto quello che hai, al massimo. Girando con quelli del Mondiale scopri che il punto di frenata, l’angolo di piega, le traiettorie sono molto diverse da quello che pensavi prima”. Insomma, è una scuola veloce, rapida in tutti i sensi “Direi proprio di sì”. Nel 2000 sei stato esordiente dell’anno... “Sì, è andata molto bene anche perché ho girato spesso su piste mai viste. Allora nei campionati minori non si girava in molte piste come adesso che c’è la ‘rookies-cup’ e si corre in Spagna e Portogallo. Allora nell’Europeo giravi su molte piste dove il Mondiale non andava. Allora era tutto nuovo a parte Mugello, Misano e Imola. Essere andato su piste come Phillip Island, Brno o Suzuka e aver fatto bene mi ha permesso di avere una moto ancora migliore per l’anno successivo. È un momento molto importante l’anno di esordio per i ragazzini che arrivano, perché si mettono in mostra e si confrontano con gli altri nuovi arrivati. Io poi mi sono appunto scontrato con quelli che erano forti in quella categoria da anni”. Nel 2002 il primo podio, con l’Aprilia, però “Sì, con l’Aprilia di Cecchinello e su una delle mie piste preferite, Phillip Island, dove ho fatto il podio per 6 anni consecutivi”. Insomma, un piccolo Marquez, pista che gira a sinistra in senso antiorario… “Sì, a lui come a me piace molto l’Australia, ma anche il Sachsenring. Mi sono sempre piaciute di più le curve a sinistra e le piste veloci. Anche se il Sachsenring non sembra, ha dei curvoni velocissimi dove riuscivo a fare la differenza come in Australia, dove ho vinto due volte”. Bello vincere a Phillip Island, eh? “Il festeggiamento lì non è un gran che, ma è una delle più belle piste del mondo. Un’altra pista che mi piaceva da matti, ma che per motivi di pericolosità non c’è più, è Suzuka. Una delle piste più complete, impegnative e belle del mondo che però dopo l’incidente di Katoh è stata giustamente tolta dal calendario. Andare a 16 anni, quando ancora non sai bene neanche come ti chiami, a correre a Suzuka e buttarti dentro a fare il Mondiale è tanta roba”. Nel 2003 sei stato vicecampione del mondo della 125 “Sì, vicecampione, primo degli italiani e delle Aprilia. Ha vinto Pedrosa con la Honda e se l’è guadagnato. Poi è arrivata l’Aprilia Rsa che ha fatto la differenza”. Nel 2004, invece, l’esordio in 250 “Non è stato proprio facile e neanche il secondo anno è stato semplice. Per andare forte con due e mezzo ci ho messo il 2004 e anche il 2005. In quegli anni vincevano quasi sempre Lorenzo e Dovizioso. Poi nel 2006 ho fatto 12 podi e la prima vittoria a Valencia partendo dietro… Un’altra pista antioraria”. Nel 2007 ancora 250, con Aspar Martinez. Uno che a scovare talenti è bravissimo... “Martinez è uno che sta nel motomondiale per lavoro, chiaro, ma ha sempre cercato di avere piloti per stare nei primi 3. Se c’era un pilota spagnolo forte bene, ma altrimenti Aspar prendeva chi andava forte. È uno dei team manager stranieri col quale mi sono trovato meglio, per lui l’importante è sempre stato far andare forte i suoi piloti, indipendentemente dalla nazionalità”. Ne scova tanti e buoni “Sì, lui cerca quelli che vanno forte, non quelli che portano soldi”. Però non è facile scegliere bene a quell’età, vero? “Lui però ha creato, come stanno facendo tanti altri, una struttura con tante persone che seguono i campionati minori. Lui così nei suoi dati ha già tutta la storia dei piloti di quei campionati minori dove ha anche dei team suoi”. Nel 2008 arrivi in MotoGP con Gresini “A differenza di 125 e 250, in MotoGP sono andato forte quasi subito. Al Mugello dopo essere passato ultimo al primo giro sono arrivato quarto in volata con Pedrosa, poi ho fatto altri quarti posti sul bagnato. Nel secondo anno ho fatto primo dei privati e secondo a Indianapolis, mio primo podio. Tra l’altro averlo fatto in Usa col povero Nicky Hayden, beh, sono cose che ti porti dentro…”. Sei ancora piuttosto giovane eppure ne hai fatte di gare… “Mi ricordo che non ero ancora proprio alla fine della mia carriera quando ho festeggiato i 250 GP. Ne ho fatti davvero tanti”. Nonostante gli ottimi risultati, nel 2010 sei tornato in Moto2 “Anche se ero stato il miglior privato e avevo fatto un podio, tutti mi hanno chiesto soldi per continuare in MotoGP. Io non ne avevo da portare, perciò sono dovuto tornare indietro e ciò ha significato un po’ la fine della mia carriera, perché sono andato con D’Antin che dopo 6 gare è fallito… In più è successo anche l’incidente di Tomizawa, dove sono stato coinvolto anche se non ho colpe. Insomma è andata così… Peccato perché al posto mio da Gresini è arrivato Simoncelli. Se fossimo stati insieme, sarebbe stato un dream-team, anche perché io ero un po’ più grande di lui, che arrivava da due stagioni fantastiche in 250. Ma probabilmente Honda non voleva due italiani nello stesso team. A me Marco piaceva molto, in 250 ci siamo scambiati tantissimi pareri, consigli e chiacchierate, perché come avevo fatto fatica io la stava facendo anche lui all’inizio, poi quando lui ha cominciato a vincere io sono andato in MotoGP e quindi non ci siamo mai scontrati direttamente in pista. Ma siamo stati amici fin dalle minimoto, anche se allora ci si vedeva meno fuori dalle piste, non era come adesso”. In un certo senso tu e lui vi assomigliate in quel ‘romagnolismo’ schietto e sincero “Io sono super genuino, come era lui. Quello che sembriamo è quello che siamo”. Nel 2011 hai vinto in Australia con la Moto2. Poi sempre in Moto2 fino al 2014, quando hai sostituito Colin Edwards in MotoGP “Ma era un CRT, non proprio un prototipo”. Poi nel 2015 l’incidente pazzesco a Motegi... “Anche quella non era proprio una MotoGP, ma una Open. Prima però avevo sostituito Ben Spies, che si era fatto male a una spalla, su una Ducati Pramac a Laguna Seca dove la Moto2 non andava e quindi ero libero. Ho fatto un’ottima gara finendo intorno al decimo posto dopo anni che non guidavo una MotoGP. Poi Spies si fece di nuovo male e mi chiesero se potessi finire la stagione con loro, ma Gianni Cuzari di Forward, che mi faceva correre con la Open, non mi lasciò libero e lì praticamente si chiuse la mia carriera di pilota. Peccato perché allora con Ducati faceva fatica chiunque ad andare forte e io ci ero riuscito senza test”. Comunque sia Imola, sia Phillip Island, Indianapolis, Laguna Seca sono circuiti antiorari. In fondo tante volte ti sono capitati al momento giusto... “Certo, anche se non è che sui tracciati con più curve a destra andassi piano. Però è fin dalle minimoto che preferisco le curve a sinistra perché hai le braccia incastrate tra le gambe e a destra fai fatica dare gas, mentre a sinistra è più facile”. Il tuo 2015 è però stato determinato dalla grande sfortuna dell’incidente di Motegi “Là mi sono fatto molto male: clavicola, scapola, sterno, 5 vertebre. Ho fatto un mese a letto di cui 3 settimane in Giappone. È stata veramente tosta”. Alla fine hai capito bene cos’è successo? “Il filmato non l’ho mai visto, anche se so che c’è, fatto dalle telecamere del circuito chiuso. Lo ha visto Capirossi. In uscita di curva la moto ha cominciato a pompare e impennare finché, quando ero ancora piegato, lo sterzo era girato a sinistra e ha toccato terra e mi ha fatto girare verso l’interno dove non c’è la via di fuga”. Dopo questo hai corso 2 stagioni in SBK. La prima con la Kawasaki di Pedercini, poi con Aprilia “Ero con Savadori, ma è stato un anno difficile perché era un’Aprilia clienti e non ufficiale e il supporto era davvero poco”. Insomma riassumendo la tua lunga carriera: sarebbe potuta andare anche meglio, ma ti sei tolto un bel po’ di soddisfazioni… “Ho fatto tantissimo, perché ho fatto due volte terzo, una volta secondo. Certo che se guardo tutto, adesso certe scelte non le avrei fatte, certe situazioni le avrei evitate, ma dopo son capaci tutti. Non ho portato a casa tutto quello che avrei potuto visto quanta differenza c’è stata tra quando avevo le moto ufficiali e quando invece no. Ma sono cose che fanno parte della vita. Alla fine sono contentissimo, soprattutto perché sono amico di tutti, posso entrare in qualsiasi box senza bussare. Questo mondo mi sta dando adesso tante altre possibilità: ho un mio team dove faccio crescere i ragazzini giovani, faccio i corsi di guida, sono collaudatore di Ducati per la MotoE e soprattutto mi ha chiamato Campinoti, senza che io andassi a chiedergli niente, per fare il team manager della nuova squadra di Moto2. Sono felicissimo di questa opportunità che mi dà la possibilità di tornare ad alto livello nel mio mondo”. Hai vissuto a lungo il tuo sogno e ti sei tolto delle soddisfazioni importanti da pilota, ma potrai togliertene altre ancora. Una bella vita, no? “Faccio sempre questo esempio: mi hanno pagato per fare quello che all’inizio io pagavo per fare da quanto mi piaceva. Credo che ciò ti renda una delle persone più fortunate del mondo”. Ti capisco perché, in piccolo, è quello che è successo a me. Sono stato felice di potervi raccontare e di conoscere tante belle persone come te “Ci vediamo poco, ma siamo amici”. Torniamo a te, dopo cosa hai fatto? “Ho fatto due anni la MotoE, ma quando scendevo dalla moto, mi toglievo la tuta e mi infilavo la maglietta di Sky e facevo un po’ quello che hai fatto tu, l’inviato dai box. Anche questa è stata una bella esperienza per me, mettermi nei panni del giornalista e raccontare quello che vedevo nei box, magari se c’era qualche aggiornamento. Me ne accorgevo di più e potevo dare un aggiornamento che magari molti non vedevano. Ho capito di aver davvero dato una mano in questo, mi è piaciuto. Ho aperto col mio amico Massimo Roccoli, che correva in minimoto con me, un team. Quest’anno avevamo 11 pilotini. Bello. Io ho un’altra moto e ogni tanto scendo in pista con loro, vanno forte, sono delle bestie!”. Tu hai corso in MotoE e sei stato collaudatore della Ducati di questo tipo di moto. È questo il futuro? “Non so se sarà questo in assoluto il futuro, di sicuro l’elettrico sarà una parte importante. A me piace la MotoGP com’è. Secondo me è giusto che ci siano entrambe, un po’ come quando vai in concessionaria e vedi un po’ di tutto, elettrico, benzina, diesel, ibrida… Secondo me è giusto avere delle elettriche in pista per sviluppare quelle che saranno le future stradali”. Ti piace il Mondiale di adesso o preferivi i tempi di 125, 250 e 500? “Se sei uno che ha corso con quelle moto, le hai guidate, amate e sviluppate, puoi soltanto dire che mancano e basta. Non c’è un’altra risposta. Quello che oggi mi manca tanto sono delle moto leggere. Oggi le moto sono molto pesanti e non parlo della MotoE, ma di tutte. Il peso è sintomo di pericolosità e di non-racing. Il racing secondo me è roba leggera: carbonio, titanio, magnesio e via… però i 4 tempi sono pesanti e oggi è così. La gente forse non si ricorda ma la 125 pesava settanta chili e la 250 arrivava a 100 o meno, la 500, dopo l’aggiornamento tecnico 130, ma prima era 115. Numeri molto lontani dalle categorie di oggi”. La 250 è un po’ l’ideale della moto da corsa, non credi? Potente, ma gestibile, veloce, divertente… “Io non ho mai guidato una 500 a due tempi, ma mi sarebbe piaciuto provare quei bicilindrici come l’Aprilia di Romboni e Reggiani o la Honda di Barros. Il 500 V2 doveva essere una cosa veramente figa, una 250 ‘cicciona’. Al Sachsenring se giri con una 250 ti diverti da matti, come a Valencia e tutte queste piste un po’ piccoline. Con la MotoGP usi tantissimi controlli, poca potenza nelle prime marce, non stai sfruttando quello che hai sotto il sedere”. La gara sprint invece? Ti piace? “Di sicuro da vedere è bella. Se sei uno spettatore a casa avere due gare, una al sabato e l’altra la domenica da guardare non è male. Però a sentire i piloti si lamentano abbastanza. Un po’ perché è pericolosa, perché devono fare molti chilometri nel week-end. Io non lo so perché non l’ho provata su di me, non posso dire. Dorna ha fatto questa scelta per lo spettacolo e in effetti ce n’è di più. Sono costretti a tirare tutti i turni, tutti i momenti e alla fine è quello che piace a chi sta a casa a guardare la tv”. Quali sono i piloti che ti sono piaciuti di più nella storia e adesso? “Beh, nella storia ho sempre avuto una particolare stima per Loris Capirossi. Un pilota deve avere come idolo sé stesso, bisogna essere sinceri, ma se devo ispirarmi a qualcuno, è Loris. Adesso, Marquez è Marquez e quindi non serve neanche dirlo, ma un pilota come Acosta è bello da vedere perché se un ragazzino arriva e va veramente forte significa che un pilota può ancora fare la differenza indipendentemente dal mezzo, se ci dai il gas ci dai gas, punto e basta. Mi fa piacere perché vuol dire che nel motociclismo il pilota fa ancora tanta differenza, più che in Formula1, dove pure il pilota conta”. In Superbike cosa ti piacerebbe vedere? “Direi delle vere stock, le moto che puoi comprare dal concessionario, adesso si chiama SBK, ma sono praticamente dei prototipi e hanno pochissimo, se non niente a che vedere con le moto di serie. Gomme, freni devono essere da pista per motivi di sicurezza, ma l’elettronica deve essere quella normale che oramai c’è su tutte le moto. Mi piaceva la categoria superstock che ora è sparita proprio”. Come hai vissuto il tuo addio? “Quando ho smesso l’ho deciso io. Avevo altre due proposte per continuare in MotoE, ma ho rifiutato. Se smetti perché nessuno ti vuole lo fai con un altro spirito. Però ho anche capito che avevo bisogno di qualcosa che mi tenesse impegnata la testa e mi desse un po’ di adrenalina, così mi sono iscritto per prendere il brevetto di volo con gli ultraleggeri. Ero stanco, stufo delle gare, ma non delle moto e così sto girando tantissimo in moto facendo dei corsi di guida, dove può venire chiunque con la sua moto o con una messa a disposizione da me. Mi piace portare in pista chi in pista è già andato, perché il primo giorno che ci vai ti concentri a vedere dove girano le curve, a imparare la pista. Invece preferisco che quando uno entra si concentri su di me, che sfrutti me al massimo. In Italia giriamo a Misano e al Mugello, Imola e Monza non sono disponibili. All’estero Brno, Red Bull Ring e d’inverno Jerez e Valencia. Bello tornare su piste che mi ricordano le mie gare e anche scoprirne di nuove dove non ero mai stato come a Mosca. Ma dal prossimo anno mi sa che dovrò dare tutta la precedenza alla mia nuova sfida col team Pramac di Moto2”. Bello vedere che da quando avevamo fatto quest’intervista a ora ci sia stata questa grande novità per Alex. Così lo ritroveremo sulle piste di tutto il mondo con un ruolo che già altri ex piloti come Alberto Puig, Davide Tardozzi, Gino Borsoi, Roberto Locatelli, Nico Terol stanno interpretando con successo.

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De Angelis: "Nuova vita da team manager? Sono pronto! Contentissimo della mia carriera"