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Dakar 2018: il Day 10 è di Peterhansel e Walkner. Per Van Beveren infortunio e ritiro

Motori

Piero Batini

Peterhansel Dakar 2018 (Getty)

Durissima la tappa da Salta a Belen, Peterhansel (Peugeot) riesce a spuntarla vincendo davanti a De Villiers (Toyota) e Sainz che rimane in testa nella generale. Nelle moto Walkner (KTM) si aggiudica lo stage 10 e diventa leader in classifica per il ritiro dello sfortunato Van Beveren, secondo Quintanilla (Husqvarna), terzo Farres Guell (KTM). L'italiano Botturi out. Per seguire la regina dei raid, Eurosport canale 210 della piattaforma Sky, tutte le sere dalle 23.30

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È la tappa del caos. O dell’apocalisse. Da Salta a Belen, decima tappa il giorno dopo l’annullamento della nona. Siamo da capo. Se per un giorno piloti e equipaggi erano stati graziati e avevano potuto godere di una giornata supplementare di meritatissimo riposo, l’indomani è spietato. Non tanto per le distanze, comunque ormai vicinissime alla soglia degli 800 chilometri in un clima improvvisamente torrido, quanto per la speciale in due tronconi per un totale di 370. Caldo, piste di polvere, spesso ricavate o scelte nei letti sconfinati dei fiumi che in questo periodo sono per lo più in secca. Le cornici del tracciato variano, bellissime, tra vigneti e dune di sabbia, e canyon rocciosi di colori che vanno dal rosso al verde, dal grigio al tetro nero. Solo tetra, terrificante, è la decima tappa del raid. Il livello di durezza di questa edizione non accenna a calare. Probabilmente tra tre o quattro giorni si dirà che chi è arrivato sin lì non avrà più nulla da temere, ma l’audience sarà decimato e sconvolto. Questo è sicuro.

Il punto sulle moto e sugli italiani

È importante chiarire subito una cosa. La rivoluzione che ha stravolto la classifica della gara della moto potrebbe non essere ancora arrivata al suo momento di tregua, tanto meno di pace. I concorrenti all’arrivo mentre scriviamo sono poco più di settanta, la classifica è irriconoscibile. Altri ritiri, importanti, affettivi, altri incidenti, ritardi clamorosi, hanno cambiato ancora una volta la faccia della Dakar Perù-Bolivia-Argentina. La numero 40, memorabile nelle intenzioni celebrative e indimenticabile negli sconvolgimenti sportivi e ogni giorno al confine con il dramma, continua a dare il peggio di sé.

Solo un accenno di sintesi. A Salta era in testa Adrien Van Beveren. Al secondo posto c’era Kevin Benavides. Al terzo Mathias Walkner. I tre migliori erano in un fazzoletto di cinque minuti. Poco più. Poi Price, Barreda, Meo.
A pochi chilometri dall’arrivo cade in volata Adrien Van Beveren. Il francese poteva controllare la corsa. Aveva da far fuori Kevin Benavides, d’accordo. Un osso duro, pilota di Casa. Dura ma possibile. Un po’ troppo forte nel letto del fiume, ormai in braccio al pubblico sovreccitato di Belen. Un sasso sotto la sabbia. Ci sta anche quello, eccome. Adrien vola via e si fa male. Clavicola, costole, commozione cerebrale. Out. Anche la Squadra Yamaha è azzerata.
Via libera a Benavides. Basta il cognome, il fratello Luciano è già fuori. Si corre in casa, ma a volte non basta. L’argentino si perde e lascia in pista più di quaranta minuti. Lasciamo perdere gli spiccioli. Una disfatta.

Alessandro Botturi. Anche lui. Come Van Beveren. Solo meno veloce, più prudente. Ma non basta. Stesso sasso. Scoppia la ruota anteriore. Qualche costola, un colpo bassissimo del destino al morale. Non ci voleva. E in questa tappa di questa Dakar sembra essere la regola. Alberto Bertoldi dov’è? A Belen si arriva tardi, o non si arriva. I motivi sono chiari. È la tappa più micidiale del Rally. Riguardo gli altri italiani: Cerruti conclude 20° davanti a Gerini che si piazza appena dietro, più giù troviamo Ruoso (37°), Vignola (49°) e Metelli (55°).

E avanti. Price, cinquanta minuti al pascolo. Barreda, quaranta. Perché? Per i sassi sotto la sabbia, abbiamo detto. E se si corre nel letto del fiume, secco, i sassi sono tutti lì, invisibili. Ma anche perché c’è da navigare molto. Ora ci sono quei dannati waypoint nascosti, specie di timbri virtuali che devi andare a prendere con precisione. Solo che il commissario con il timbro in mano lo vedi, anzi si fa vedere, il timbro GPS non lo vedi. Fa bip se ci salti sopra, come una mina, altrimenti non ti considera nemmeno. C’è chi è contento di impiegare dieci minuti a trovarli, chi non si dispera per mezz’ora. Gran senso di mal comune.

Il punto sulle auto

Peterhansel, il fuoriclasse dei fuoriclasse, ben assistito dal fratello di carriera automobilistica Cottret, vince e non sbaglia un colpo. Eppure non dev’essere un’impresa facile, se ci si è intestarditi ad azzerare il ritardo per cui ora c’è Al Attiyah al secondo posto. Oggi la Dakar impossibile fa vedere anche questo. Si parte dietro e si vince, come un tempo. Si parte davanti, si sta davanti e si vince lo stesso. Non è nuovo che “Peter” vinca un’altra tappa, che scavalchi l’Al Attiyah bonificatore di campi minati virtuali, e che torni al secondo posto in un battito d’ali. Sainz, naturalmente, si frega le mani. Lo hanno penalizzato facendolo passare da bullo o da disonesto, e non appena può lo spagnolo risponde con il volante in mano. Terzo, pian piano, solo una volatina nel finale. In testa più sicuro, cala il numero delle tappe da disputare, il suo vantaggio cresce invece di diminuire. Non c’è niente da fare, queste Peugeot continuano a spiazzare. Inarrivabili.

Tanto di nuovo e di difficile. Purtroppo è nuova anche la psicosi da waypoint mancato, o preso con troppo tempo speso nella ricerca. Nessuno è in grado, insomma, di controllare la gara con elementi concreti. Uno arriva lì, ma dove sono gli altri? Di solito diventano matti nel fiume, e tu vai a palla sull’argine, ma sei fuori dal road book, non puoi vedere quei sassi, all’improvviso, grandi come tavolini. Magari la loro parte la fanno anche i MapMen, figure che mentre dormi, nell’ombra del motorhome studiano il percorso. Si fanno tutta la tappa su Google Map, e al mattino ti dicono dove devi andare, dove devi stare attento. Purtroppo per tutti il percorso ora è opera di Marc Coma, che ne sa una più del diavolo e come metterti nei guai.
La psicosi funziona così. Una perdita di tempo mette tensione. Una grande perdita di tempo genera panico. E la risposta al panico è la manetta. Ma il panico è contagioso, come l’errore.

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