Dopo aver perso 11 delle ultime 15 partite, i Toronto Raptors hanno scelto Serge Ibaka per invertire la rotta: come cambia la squadra col congolese e in cosa li può aiutare?
Kyle Lowry lo aveva dichiarato già dopo la pessima sconfitta contro Detroit: “Qualcosa deve cambiare”. Detto, fatto: il giorno successivo, il GM Masai Ujiri ha completato uno scambio con gli Orlando Magic per portare in Canada Serge Ibaka, cedendo in cambio Terrence Ross e la prima scelta peggiore tra quella dei Raptors e quella degli L.A. Clippers. Una mossa attesa già da tempo per migliorare quella che era la posizione più debole tra tutte le contender, quella di ala forte al fianco di Jonas Valanciunas, ruolo nel quale si sono succeduti Paskal Siakam, Lucas Nogueira, Jared Sullinger e Jakob Poeltl nel corso della stagione. Nessuno di questi ha il pedigree di Ibaka, che nei suoi giorni ai Thunder è andato quattro volte in finale di conference in sei anni: esattamente dove vorrebbero tornare i Raptors, ora che le undici sconfitte nelle ultime quindici partite li hanno fatti sprofondare al quinto posto nella Eastern Conference, dopo una prima parte di stagione saldamente alle spalle di Cleveland.
Il crollo dei Raptors – Per quanto i membri della squadra abbiano provato a gettare acqua sul fuoco, il malumore all’interno dello spogliatoio dopo aver sprecato 16 punti di vantaggio nell’ultimo quarto contro i Pistons era palpabile, con DeMarre Carroll a lanciare velate accuse di protagonismo a Lowry e DeRozan (“Siamo così abituati a lasciare che gestiscano i palloni alla fine che finiamo per rimanere semplicemente a guardarli, mentre prima giocavamo a pallacanestro”) e lo stesso playmaker a dire in maniera passiva-aggressiva “Io non faccio altro che giocare a pallacanestro, e non prendo né decisioni dirigenziali né dalla panchina. Dico quello che penso dal cuore. Non stiamo rispondendo per niente bene alle avversità e in questo momento ci riesce tutto difficile”. Un periodo complesso nato da una sconfitta apparentemente innocua contro i Chicago Bulls l’8 gennaio (118-123 al supplementare facendosi rimontare 19 punti) che, da un record di 24-12, ha portato Toronto a perdere 12 delle successive 20 partite, di cui 11 nelle ultime 15. Sicuramente gli infortuni hanno avuto un ruolo importante in questo periodo di difficoltà – DeMar DeRozan ha saltato sette partite a cavallo di gennaio e febbraio, Patrick Patterson nel nuovo hanno ha disputato solo nove gare a fronte di 14 saltate – e hanno avuto l’effetto collaterale di spremere ancora di più le energie di Kyle Lowry (primo in tutta la lega con 37.7 minuti di media), ma un crollo del genere non può essere giustificato solo dalle assenze.
I problemi dell’attacco – Osservando il rendimento della squadra su entrambi i lati del campo appare chiaro che, a fronte di un lieve calo difensivo (dal 106.2 stagionale a 107.7 punti concessi nelle ultime 15 partite), è soprattutto l’attacco ad aver perso colpi, passando dal 111.3 stagionale (il terzo migliore della lega dietro Golden State e Houston) al 104.4 delle ultime 15 gare, sest’ultimo peggiore in tutta la lega. Un “ritorno sulla terra” in piena regola dopo aver viaggiato per i primi due mesi a livelli da miglior attacco di sempre (113.5 nel 2016, primi in assoluto), ritmo che però non poteva essere sostenibile troppo a lungo vista la scarsa efficienza delle conclusioni prese da alcuni suoi protagonisti, come i tiri dalla media-lunga distanza del miglior realizzatore di squadra DeMar DeRozan. In questa stagione quasi un terzo dei suoi tiri viene preso tra i 5 metri e la linea da tre punti, ma se nei primi mesi la sua percentuale su queste conclusioni si attestava attorno al 40%, nelle ultime 15 partite ha tirato col 32% – un peggioramento che coinvolge tutta la squadra, passata dal 52.6% di percentuale effettiva al 49.6% delle ultime 15, specialmente da tre punti (dal 37% stagionale al 32% attuale).
L’impatto di Ibaka – L’arrivo dell’ex Thunder e Magic, noto in carriera per essere soprattutto un eccellente difensore grazie alle doti di stoppatore e intimidatore che gli sono valse tre inclusioni nel primo quintetto difensivo della NBA, paradossalmente potrà aiutare i Raptors quasi più in attacco che in difesa. Il lungo spagnolo-congolese infatti possiede un profilo unico, in grado tanto di proteggere il ferro (anche se i suoi giorni migliori sono alle spalle e in questa stagione non è riuscito a migliorare la difesa dei Magic) quanto di aprire il campo, grazie a un 36.5% da tre in carriera che in maglia Orlando è salito fino al 38.8%. Un giocatore sempre più perimetrale (la distanza media dei suoi tiri è ai massimi in carriera) e sempre meno a suo agio nel mettere palla per terra (la percentuale delle sue conclusioni crolla all’aumentare dei palleggi), ma che può trovarsi bene in un ruolo in cui deve solo concludere e non pensare o creare, visto che notoriamente il pallone si muove poco nell’attacco dei Raptors (ultimi in NBA per percentuale di assist, 47%).
L’importanza del fattore campo – Pur con i suoi difetti, Ibaka rappresenta un miglioramento significativo per il ruolo di 4 nella rotazione di Toronto, e nei finali di partita Dwane Casey guadagna un lungo in grado di scalare nella posizione di 5 per giocare assieme a Patrick Patterson, e al trio di esterni Lowry-DeRozan-Carroll. Una strutturazione che aumenta le possibilità di cambiare sui blocchi in difesa – una qualità cruciale in vista dei playoff e ricoperta in maniera egregia dal suo ex compagno a Orlando Bismack Biyombo – senza compromettere le spaziature in attacco, visto che ora i Raptors hanno cinque giocatori in grado di colpire da fuori, almeno sulla carta. Prima di pensare alla post-season, però, bisognerà migliorare la posizione in classifica, perché affrontare i playoff senza il fattore campo potrebbe risultare fatale nella rincorsa alla finale di conference. Considerando che i Raptors l’anno scorso per due volte hanno dovuto far affidamento su gara-7 per passare il turno e hanno vinto le uniche partite contro Cleveland tra le mura amiche, conquistare almeno il terzo posto per avere il fattore campo almeno al primo ed evitare i Cavs al secondo diventa di fondamentale importanza per il resto della stagione. Un obiettivo alla portata, visto che Washington è distante solo due partite, mentre i Boston Celtics sembrano irraggiungibili a quattro partite e mezza di distanza.
Prospettive future – L’arrivo di Ibaka non è stato indolore, visto che Terrence Ross era un tiratore atletico che dava una dimensione diversa agli esterni del roster. Un sacrificio però sopportabile, visto che alle sue spalle è in rampa di lancio già da qualche tempo Norman Powell, che sembra pronto ad assumersi un ruolo maggiore nella second unit e soprattutto costa di meno (sotto contratto per il prossimo anno a un milione di dollari) rispetto al triennale da 10 milioni l’anno di Ross. La scelta ceduta nello scambio, poi, sarebbe stata di scarsa utilità ai Raptors visto che anche la loro stessa scelta attorno alla 20 del Draft 2015 (Delon Wright) non riesce a vedere il campo in questa stagione, pur essendo stato scelto perché “pronto subito”. Cedere degli asset per prendere Ibaka, però, significa anche prendersi l’impegno implicito di rifirmarlo in estate quando diventerà free agent, e considerando che lo saranno anche due pezzi fondamentali come Kyle Lowry (che andrà al massimo salariale) e Patrick Patterson (che ha un profilo da “playmaking 4” molto richiesto sul mercato), la proprietà dei Raptors si trova davanti a un bivio: o confermare in blocco la squadra entrando in luxury tax e pagando parecchio per mantenere il roster intatto, oppure uno dei tre è di troppo. Una decisione che verrà determinata da come si concluderà questa stagione, che i canadesi sperano – con l’aggiunta di Serge Ibaka – duri il più a lungo possibile per invertire la rotta dell’ultimo mese.