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NBA, l’obiettivo di Davis: “MVP all’All-Star Game”

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Il big man dei Pelicans a tutto campo: "Sono io il miglior lungo NBA tra quelli più giovani - dice - e da New Orleans non me ne voglio andare". Perché crede ancora nei playoff, e intanto progetta di dominare l'All-Star Game di casa

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A meno di una settimana dall’All-Star Game NBA — nuovamente di scena a New Orleans, per la terza volta negli ultimi dieci anni — c’è un giocatore che vuole fare della partita delle stelle la sua vetrina personale, approfittando dell’opportunità (la seconda dopo quella del 2014) di esibirsi davanti al pubblico di casa. Si sta parlando, ovviamente, di Anthony Davis: “Il mio obiettivo domenica è quello di scendere in campo e provare a vincere il titolo di MVP”, afferma senza mezzi termini il n°23 dei Pelicans, affamato di successo in una stagione ancora una volta avara di soddisfazioni di squadra. “Voglio essere aggressivo, voglio giocare come se fosse una normale partita di regular season, impegnandomi anche in difesa e mettendo in mostra tutto il mio repertorio offensivo. Nel 2014 non ho avuto tanti minuti a disposizione [10 punti con 5/6 al tiro per lui in nemmeno 10 minuti di gioco, ndr] ma sono sicuro che questa volta sarà diverso, mi divertirò molto di più sia in campo che fuori, visto che in città il weekend delle stelle coincide col Mardi Gras e il clima di festa è davvero totale”. 

Bandiera Pelicans — Diverso invece il clima che si respira all’interno dei suoi New Orleans Pelicans, che avevano illuso tutti due stagioni fa (45-37 il record finale) ma non sono mai stati capaci di confermarsi con l’avvento di Alvin Gentry in panchina. Dopo un’annata da soli 30 successi lo scorso campionato, la squadra guidata da Anthony Davis è ora ferma a quota 23 vittorie e 34 sconfitte, teoricamente ancora in lotta per l’ottavo posto a Ovest e una chance di playoff (il record di Denver è 25-31, ma col nono e decimo record ci sono Sacramento e Portland) ma non in linea con le ambizioni di una superstar come Davis: “Infortuni — spiega lui — diventa dura vincere le partite quando molti dei tuoi migliori giocatori sono fuori. Dobbiamo trovare un modo, però, perché sono convinto che la nostra squadra possa competere per i playoff. Dobbiamo solo restare sani ed essere un po’ più costanti nel nostro rendimento, perché la nostra inconsistenza ci è costata molte vittorie quest’anno”. Da vero comandante, Davis non sembra assolutamente intenzionato ad abbandonare la nave, anche quando questa naviga in acque non certo facili: “Neppure per idea, potete scriverlo: io da qui non non ho nessuna intenzione di andarmene. Le voci di un mio possibile trasferimento ai Lakers insieme a Russell Westbrook? Non presto nessuna attenzione a queste voci, non so neppure chi ha messo in giro una voce del genere. Io sono un giocatore dei Pelicans”. Uno che magari gradirebbe che — con la trade deadline fissata per il 23 di febbraio — in Louisiana lo raggiungesse qualche rinforzo. Se anche fosse così, Davis non lo dice: “Non è il mio compito pensare al mercato, ci pensa il front office a valutare l’opportunità o meno di fare degli scambi. Io non devo vendere niente a nessuno: se qualche giocatore vuol venire a giocare qui a New Orleans è liberissimo di farlo. Il mio compito è solo quello di scendere in campo e giocare a pallacanestro”.  

Il lungo più forte della lega — Lo sta facendo anche quest’anno in maniera divina, solamente lontano da quei riflettori inclini a illuminare maggiormente i giocatori che fanno parte di squadre vincenti. Anthony Davis è l’anima e il cuore dei New Orleans Pelicans (settimo in tutta la lega per usage rate, da lui passano il 32.7% dei possessi di squadra) e al massimo in carriera per punti (27.7), rimbalzi (11.9) e assist (2.2). Secondo miglior stoppatore dell’intera lega (2.47 a sera), quinto miglior marcatore e sesto miglior rimbalzista, è già stato capace di collezionare 36 doppie doppie in stagione, pari al totale fatto registrare in tutto lo scorso campionato. “Tra i più giovani mi considero il miglior lungo della NBA, credo che questo debba essere il mio atteggiamento mentale”, dice lui senza falsa modestia. “Non credo ci sia nessuno più forte di me, anche se Kristaps Porzingis, Karl-Anthony Towns e Joel Embiid sono sicuramente dei big men in grandissima ascesa e dall’ottimo futuro”. Lui — in un certo senso prototipo di quella figura di lungo al centro della rivoluzione NBA degli ultimi anni — ammette di sentirsi più a suo agio nel ruolo di 4 che in quello da centro che è attualmente costretto a ricoprire ai Pelicans: “Per la squadra che abbiamo ora — lo dicono i risultati ottenuti — è più utile che giochi da 5 per cui mi adatto, ma io mi sento più a mio agio se posso giocare da 4”. Una tendenza sempre più diffusa, anzi ormai consolidata, quella che vede tutti i big men NBA allontanarsi sempre più da canestro: “Vero, si tende a giocare di più sul perimetro, tutti cercano di aggiungere l’arma del tiro da tre punti al loro arsenale: non esistono più i lunghi tradizionali — dice Davis — anche se resistono comunque giocatori capaci di far male anche dal post basso, spalle a canestro, gente come me e Dwight Howard, che mettono grande enfasi anche sulla difesa”. 

Il mix perfetto — Ecco cos’è Anthony Davis, un micidiale mix di tradizione e modernità, il classico total package capace di dominare su entrambi i lati del campo e pericoloso offensivamente nelle due dimensioni del gioco, dentro e fuori. Un giocatore che tiene un occhio rivolto al passato (“Mi sono ispirato molto a Dirk Nowitzki, ho studiato tantissimi suoi filmati, per capire il modo in cui crea spazio tra sé e il difensore, come utilizza il suo corpo, come gioca dal gomito ma anche dal post basso”) e uno verso il futuro (“Giannis Antetokounmpo è davvero forte: sa condurre il gioco in transizione, creare per sé e per gli altri, contribuendo in molti modi al bene della sua squadra”). Nella speranza che — già dal prossimo weekend dell’All-Star Game, nella sua New Orleans — il presente possa finalmente appartenere a lui. Se lo merita.