Nell’intervallo della partita con Boston, Detroit ha celebrato il campione NBA nel 2004 ritirandone la maglia numero 32, come già fatto con Chauncey Billups e Ben Wallace
La NBA ha una capacità speciale di celebrare la propria storia, e ad ogni cerimonia di ritiro della maglia non manca di ricordarcelo – anche quando i protagonisti in questione non hanno interrotto il proprio connubio proprio in termini idilliaci. “Quando me ne sono andato da Detroit non l’ho fatto in buoni rapporti” ha raccontato Rip Hamilton, a cui i Detroit Pistons ieri sera hanno ritirato la storica maglia numero 32 dopo il tumultuoso addio nel 2011 a seguito di sette settimane di panchina consecutive. “E mi sono maledetto ogni singolo giorno passato nello spogliatoio di Chicago [che con Detroit ha una rivalità risalente alla fine degli anni ‘80, ndr] con la maglia dei Bulls addosso. Mi dicevo: questo non sono io. Io sono un Piston. E lì mi trovavo in una squadra contro cui mi ero scontrato fino a poco prima. Indossare la maglia dei Pistons è una cosa che va oltre la pallacanestro”. Un'emozione che si poteva leggere sul volto della grande guardia tiratrice da Connecticut, in particolare quando il compagno di mille battaglie Chauncey Billups ha preso la parola per dire “Siamo arrivati qui nello stesso anno: ci siamo conosciuti come amici e ora siamo fratelli. Ho apprezzato ogni singolo momento in cui abbiamo giocato insieme. Ti voglio bene, amico. Congratulazioni”.
La squadra del 2004 – Insieme a Rip e Billups erano ovviamente presenti anche gli altri quattro membri del quintetto storico della squadra campione nel 2004, vale a dire Ben Wallace (il cui numero 3, così come l'1 di "Mr. Big Shot", è già stato ritirati dai Pistons) oltre a Tayshaun Prince e Rasheed Wallace. I cinque hanno passato insieme la nottata precedente fino alle 4 del mattino, ricordando i bei tempi andati nella stanza d’albergo di ‘Sheed. Presenti anche gli altri membri di quelle squadre (da Lindsey Hunter a Mehmet Okur fino a Antonio McDyess) e gli allenatori più importanti della carriera di Hamilton, vale a dire Larry Brown e Jim Calhoun, con i quali Rip ha vinto il titolo NBA e quello della NCAA – un risultato che solamente altri 44 giocatori nella storia possono vantare. Le persone presenti non sono state però l’unico motivo di ricordare i momenti più belli della sua carriera: Hamilton ha raccontato di essere scoppiato a piangere tre volte prima ancora di arrivare al Palace of Auburn Hills. “Abbiamo fatto lo stesso identico percorso che facevamo nei giorni delle partite, e non sono riuscito a trattenermi. È stato speciale, era come se fossi tornato indietro nel tempo. Come a dire: ‘Ehi, stasera giochiamo contro i Lakers per il titolo NBA’”.
I giorni migliori – E che serie giocò Hamilton in quella occasione, chiudendo con 21.4 punti di media (miglior realizzatore di squadra), 5 rimbalzi e 4 assist, schiantando la L.A. dei quattro tenori con Shaq, Kobe, Malone e Payton. L’attuale allenatore dei Pistons Stan Van Gundy, che ai tempi allenava i Miami Heat, non ha mancato di ricordare quanto fosse difficile da marcare Hamilton nei suoi anni migliori: “Non lo si poteva tenere sotto controllo. È uno dei migliori tiratori in uscita dai blocchi che io abbia mai visto – e sono in questo giro da 25 anni. Era davvero difficile da seguire non solo per le doti realizzative, ma perché possedeva qualsiasi soluzione nel suo arsenale”. Il suo movimento continuo e incessante lo facevano sembrare instancabile (“Era uno scherzo della natura” la definizione di Billups) e faceva impazzire ogni difesa, riuescendo a segnare tra i 17 e i 20 punti di media per un decennio intero e aiutando i Pistons a raggiungere sei finali di conference consecutive, diventando il miglior realizzatore ai playoff della storia di Detroit e guadagnandosi tre convocazioni per l’All-Star Game dal 2006 al 2008.
Ringraziamenti – Hamilton ha passato molto del suo tempo a ringraziare tutti quelli che lo hanno aiutato, ma un pensiero speciale lo ha avuto per il proprietario storico dei Pistons, il defunto Bill Davidson. “La gente non sa che Mr. D non era solo un proprietario: era un nostro fratello. Veniva in spogliatoio ogni singolo giorno a parlare di basket e di business, invitandoci a casa sua per cena. E non era costretto a farlo: era un miliardario. Eppure lo faceva perché ci voleva bene e voleva restare in nostra compagnia”. Nel momento conclusivo della cerimonia, Rip Hamilton ha ricordato quando da bambino aveva messo per iscritto i suoi obiettivi nella vita: “Scrissi che volevo diventare un giocatore NBA, che volevo vincere il titolo NCAA, e poi che volevo farlo anche nella NBA. Ma neanche in quella occasione mi sarei mai immaginato di scrivere che un giorno il mio cognome sarebbe finito sul soffitto di un’arena. Grazie a tutti”.