NBA, tutti i problemi dei Cleveland Cavaliers
NBADopo la pausa per l’All-Star Game, la difesa dei campioni in carica è la seconda peggiore della NBA: quanto possono migliorare in vista dei playoff?
Dice la storia della NBA che solamente una squadra negli ultimi 20 anni è riuscita a vincere il titolo pur avendo una difesa al di fuori delle prime 10 della lega. Quella squadra erano i Los Angeles Lakers del 2001, che dopo aver passato l’intera regular season a fare i conti con i litigi sull’asse Kobe-Shaq-Phil Jackson, arrivarono a inizio aprile con il record di 48 vittorie e 26 sconfitte. Da lì in poi però cambiarono marcia, vincendo tutte le otto partite rimanenti nella regular season e soprattutto 15 delle 16 disputate ai playoff, il miglior record mai realizzato nella storia della NBA. Eppure anche loro avevano dovuto affrontare infortuni, polemiche, crisi interne e sconfitte sonore (tra cui un secco -15 a Philadelphia, che poi avrebbero battuto in finale) nel corso della regular season, trovando poi il modo di mettere tutto da parte e giocare da squadra campione in carica dominando gli avversari. La stessa cosa che sperano di fare i Cleveland Cavaliers in questa stagione, che con un record di 47-27 si apprestano a lasciarsi alle spalle il peggior mese della carriera di LeBron James da quando era rookie: 6 vittorie e 10 sconfitte, con una difesa che non accenna a migliorare nonostante le promesse e le assunzioni di colpa dei giocatori.
I problemi della regular season — Da qualunque parte la si guardi, la difesa dei Cavs è un colabrodo: su base stagionale è 23^, peggio anche di quella dei Portland Trail Blazers; considerando solo il periodo post All-Star Game è addirittura penultima, davanti solo a quella dei Los Angeles Lakers che hanno vinto solo due delle 17 partite disputate dopo la pausa per il weekend delle stelle. E l’ottavo attacco della lega può sopperire solo fino a un certo punto, visto che il differenziale su 100 possessi segna un -2.9 che li pone al 21° posto della lega. Troppo poco per una squadra campione in carica, anche se i Cavs non sono mai stati noti in questi tre anni per avere una difesa straordinaria, specialmente in regular season. L’anno scorso James e soci erano solamente decimi per rating difensivo, due anni fa addirittura ventesimi — e non è necessario ricordare che in entrambe le stagioni sono arrivati in finale NBA. Ai playoff Cleveland ha più tempo e più energie per studiare un piano difensivo focalizzato su un singolo avversario per due settimane, identificando scientificamente quali tiratori lasciare liberi per togliere le opzioni preferite all’attacco avversario e “sfidando” quei giocatori a batterli prima di apportare degli aggiustamenti. A volte va bene (gli Hawks sono stati eliminati per due anni in fila passando sotto i blocchi e sfidando al tiro i vari Teague e Schröder, bloccando il loro attacco) e a volte va male (Iguodala nel 2015 vinse il premio di MVP sfruttando quella libertà concessagli, oltre che difendendo alla grande contro James), ma il sistema è quello. E durante la regular season — quando i Cavs hanno meno tempo per organizzarsi e soprattutto riducono al minimo gli allenamenti per preservare le energie — è più difficile metterlo in campo.
Concentrazione — Ad ogni modo, i Cavaliers pagano i difetti strutturali di un roster privo di ottimi difensori (al di fuori di Tristan Thompson, che però sta pagando fisicamente una stagione da centro senza alcun cambio per rifiatare), una regular season contrassegnata dai lunghi infortuni per Kevin Love e J.R. Smith (forse il difensore perimetrale più continuo di tutta la scorsa stagione, per quanto sembri strano dirlo…), dalle rinunce della scorsa estate a due giocatori dalla mentalità difensiva come Matthew Dellavedova e Timofey Mozgov (che tenevano più alta la concentrazione) e soprattutto dalla mancanza di disciplina difensiva di diversi membri della squadra, a partire dalle stelle. Pur avendo tanti veterani, i Cavs attraversano dei momenti di “buio” totale, in cui sembrano dimenticarsi come si ruota, come si esce sui tiratori e come si comunica sui blocchi lontano dalla palla — venendo completamente bucati da avversari in grado di aprire il campo e penetrare a canestro. Difetti che per la verità erano già riscontrabili in diversi momenti nelle scorse Finali NBA, ma che riuscivano a essere contenuti in periodi più brevi, trovando invece la giusta concentrazione quando davvero necessario (ad esempio tenendo a secco gli Warriors negli ultimi 5 minuti di Gara-7). Quando tutti i pianeti sono allineati e tutti sono sulla stessa lunghezza d’onda, i Cavs hanno una difesa in grado di fermare chiunque su singolo possesso: il problema è che nella regular season succede molto raramente, per non dire mai.
Niente di nuovo — In realtà i Cavs hanno già affrontato un periodo difficile a gennaio, rispondendo poi a febbraio con un mese da nove vittorie e due sconfitte. In attesa della partita di stanotte con Philadelphia per chiudere il tremendo mese di marzo, i Cavs sperano di aumentare i giri del motore con l’inizio di aprile in vista dei playoff. Di solito questo coincide con un incremento di impegno da parte di LeBron James, ma la notizia preoccupante per coach Lue è che il Re sta già viaggiando ad alti livelli ormai da qualche mese (pur senza toccare le marce altissime) ed è piuttosto il resto del roster a non riuscire a salire di livello. I rientri di Love e Smith, usati per lungo tempo come “scusante” per le scarse prestazioni dei Cavs, non hanno ancora avuto l’effetto sperato — anche perché il secondo si trova alle prese con una difficile situazione familiare, con le condizioni instabili della figlia nata prematura di cinque mesi, e la sua già volatile concentrazione è comprensibilmente diminuita — e l’attacco sta producendo meno tiri di qualità rispetto al passato, con un calo delle percentuali del 2% nelle conclusioni “aperte” col difensore a due metri o più. Quando i Cavs hanno perso il primo posto a Est a favore di Boston hanno fatto spallucce dicendo che era più importante arrivare ai playoff giocando la pallacanestro “giusta”. Eppure il modo in cui le squadre sembrano sovrastare atleticamente i Cavs, specialmente in transizione, deve in qualche modo preoccupare coach Lue, al quale sarà richiesto uno sforzo supplementare nella preparazione dei playoff per dare ai Cavs qualcosa in più a livello di coaching. Poi, per tutto il resto, ci penserà come sempre LeBron James, che si è già trovato in questa situazione — solo 4 volte in 13 anni di carriera ha chiuso col miglior record della conference — ma che dovrà compiere un’impresa ancora maggiore a quella dello scorso anno per confermarsi sul trono della NBA.