L'ultima intervista stagionale dell'ala dei Thunder manda segnali allarmanti sulla disponibilità del giocatore a recitare il ruolo richiestogli in Oklahoma: "Ho sacrificato tutto per provarci, ma sono diventato chi sono giocando come ho sempre fatto"
Le cifre più immediate raccontano così la prima regular season di Carmelo Anthony in maglia Thunder (78 partite): 16.4 punti di media prendendosi 15 tiri a partita in 32 minuti, realizzandoli con una percentuale appena superiore al 40%. Tutti minimi in carriera. Poi sono arrivati i playoff, sei partite e l’eliminazione al primo turno contro gli Utah Jazz, nonostante il vantaggio del fattore campo: sempre 32 minuti sul parquet, 11.8 punti di media con 12 tiri a sera – anche questi tutti minimi in carriera. Sommando rendimento personale e di squadra, ovvio che il numero 7 di OKC non possa essere contento: “Penso che tutti sappiano quello che ho sacrificato per essere qui – dal fatto di aver fatto trasferire qui la mia famiglia alla mia decisione di sacrificare quello che è stato il mio stile di gioco da sempre per il bene della squadra, per fare in modo che potesse funzionare. Ma ora è giusto che pensi se davvero voglio essere questo tipo di giocatore, se davvero voglio finire la mia carriera giocando così, sapendo benissimo quanta pallacanestro ho ancora dentro, quanto posso ancora dare a questo gioco. E non solo: quanto a lungo voglio ancora continuare a fare tutto questo è un altro pensiero che prenderò in considerazione quest’estate”. Parole forti, per molti versi amare, di un giocatore deluso dall’esperimento che – volentieri o controvoglia – ha scelto di accettare giocando al fianco di altre due superstar come Russell Westbrook (l’MVP NBA in carica) e Paul George, per un allenatore, Billy Donovan, che dal primo giorno ha chiesto al suo nuovo arrivato di cambiare il proprio stile di gioco. La sfida? Diventare un 4 tattico capace di allargare il campo con il tiro da fuori, soprattutto sugli scarichi, invece di fare della sua pallacanestro di isolamenti e uno-contro-uno il marchio di fabbrica del suo gioco in maglia Thunder. Esperimento che oggi, a stagione conclusa, può dichiararsi sostanzialmente fallito. È vero, Anthony ci ha provato, stabilendo massimi in carriera per triple tentate (474, più di 6 a partita, come gli era successo solo nel 2012-13 in maglia Knicks) e realizzate (169), tirando di più – ma peggio – direttamente dalla ricezione (il 42% abbondante delle sue conclusioni, contro il 30% scarso della sua ultima stagione in maglia Knicks), con il 35% dei suoi tiri scoccati da tre senza aver effettuato neppure un palleggio (contro il 20% di solo un anno fa). Ma dalle parole rilasciate dall’ala di OKC a fine anno, emerge la convinzione che questa trasformazione del suo gioco, a questo punto della sua carriera (15 anni nella lega), non lo convinca assolutamente. “Sono diventato chi sono giocando come ho sempre fatto, per cui credo che la sfida ora sia trovare il modo di implementare questo mio stile di gioco con quello degli altri, senza voler togliere niente a Russell [Westbrook] o a Paul [George]. Dobbiamo capire come vogliamo giocare”, la minaccia neppure troppo velata di Anthony, rivolta a staff tecnico e dirigenza Thunder. In pratica: ho provato a sacrificarmi io, e non ha funzionato. Ora è il momento che lo facciano gli altri, per permettermi di tornare a esprimermi come so.
La situazione contrattuale e il futuro di ‘Melo
Tra le dichiarazioni di fine stagione di Anthony, infatti, anche l’ammissione che la parte più difficile della sua prima stagione in maglia Thunder sia stata “la sfida a farmi diventare un giocatore diverso da quello che sono sempre stato”. “Non penso di poter essere efficiente in questo nuovo ruolo”, ha fatto sapere. “Sono stato disponibile a provarci ma penso di poter portare di più alla squadra se mi viene dato un ruolo diverso, sapendo di poter ancora incidere parecchio”. Il fit tecnico di ‘Melo nella pallacanestro dei Thunder di coach Donovan è quindi messo in discussione dallo stesso giocatore, una situazione che potrebbe far pensare alla volontà dell’ex Nuggets e Knicks di cercare fortuna altrove. Ma qui entra in scena la situazione contrattuale del giocatore, che ha – lui soltanto – la libertà di uscire dall’accordo con i Thunder, altrimenti obbligati a corrispondergli quasi 28 milioni di dollari per la prossima stagione (e mantenendo anche la no trade clause che gli permette di scegliere eventuali destinazioni future). In pratica, Anthony ha totale controllo sul suo futuro, ed è difficile che trovi altrove contratti così ricchi, per cui diventa automaticamente più che probabile la sua intenzione di restare in Oklahoma. Da parte sua lui vorrebbe alcuni cambiamenti nello stile di gioco della squadra, ma la cosa appare tutt’altro che scontata. Anche perché le parole di Paul George - potenziale free agent sul mercato estivo – su un suo possibile rinnovo fanno pensare: “La cosa più importante è il mio rapporto con Sam Presti [il gm della squadra, ndr]: più di tutto voglio avere un dialogo aperto e continuo con lui, con Billy [Donovan] e con Russ [Westbrook], per capire la direzione in cui questa franchigia vuole andare”. E nell’elenco di nomi – tra dirigenti, allenatori e giocatori – quello di Anthony non c’è, segnale inquietante sul ruolo dell’ex giocatore di Syracuse negli scenari futuri di OKC. Una cosa è certa: se i Thunder pensano di poter relegare Anthony al ruolo di sesto uomo di lusso, possono scordarselo: “Nessun ruolo in uscita dalla panchina per me. Questo è fuori questione”, la secca risposta di ‘Melo. Buona estate a tutti, in Oklahoma.