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NBA, “Becky Hammon sa allenare. Punto”. Parola di Pau Gasol

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In una lettera aperta a difesa del suo assistente allenatore (la prima donna di sempre a sedersi su una panchina NBA) il catalano distrugge ogni dubbio sulle sue capacità: "Sono stato allenato da Phil Jackson e Gregg Popovich: ve lo assicuro, Becky Hammon merita una panchina NBA"

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Il suo nome negli ultimi anni è rimbalzato spesso alle cronache NBA. È diventata la prima donna a sedere da assistente su una panchina NBA nell’estate 2014; ha guidato gli Spurs alla vittoria nella Summer League di Las Vegas l’estate successiva; oggi il suo nome appare regolarmente tra quelli dei candidati ai posti ancora da assegnare sulle panchine NBA (Milwaukee, ad esempio, che già in passato l’aveva considerata per un posto da general manager). Eppure nonostante tutti questi traguardi ottenuti grazie a capacità e conoscenza, nonostante i riconoscimenti ottenuti pubblicamente in giro per la lega (“Certo che mi farei allenare da un allenatore donna”, ha recentemente dichiarato LeBron James) attorno al nome di Becky Hammon sembra sempre esserci un livello di scetticismo un po’ più elevato del normale. A spazzarlo definitivamente via ci ha provato Pau Gasol, da due anni agli ordini del coaching staff di San Antonio che – se ovviamente risponde al guru Gregg Popovich – tra i suoi assistenti conta oltre al nostro Ettore Messina anche Becky Hammon. Lo ha fatto con una lettera aperta pubblicata sul sito The Players Tribune, intitolata proprio così: “Una lettera aperta sulle donne in panchina”. Nel primo paragrafo, forse il più riuscito e il più toccante, il giocatore catalano fa un passo indietro, alla sua infanzia, e si apre a un ricordo personale, che tocca da vicino la sua famiglia: “Un padre infermiere e una madre dottoressa, tanto che anch’io per un periodo ho accarezzato l’idea di diventare medico, iscrivendomi all’università”. Eppure, racconta Gasol, “tante, tantissime volte l’automatica percezione sui miei genitori fosse che mio padre fosse il dottore e mia madre l’infermiera”. Un bug culturale, verrebbe da dire, comune in così tante società, a così tanti livelli, ma mai a casa Gasol, dove la realtà insegnava come normale una situazione che invece in tanti faticavano (e forse faticano ancora) ad accettare. “In tanti anni non ho mai pensato a mia madre come a un dottore donna, ma sempre e soltanto come a un dottore. E pure bravissimo”. E qui, ovviamente, il salto al mondo della pallacanestro e al caso di Becky Hammon è naturale e immediato: l’ala catalana non vuole considerarla un allenatore donna, ma sole e semplicemente un allenatore. Brava. E lo dimostra in maniera convincente argomentandolo in tre punti – o meglio, distruggendo le tre motivazioni che più spesso vengono sollevate nell’esprimere dubbi sulla sua capacità e sulle sue chance di carriera.  

Le motivazioni contrarie a Hammon e il perché non hanno senso

La prima (quella che Gasol chiama “quella che vedo usata più spesso, ma che è anche la più facile da smentire”): al livello più alto al mondo di pallacanestro, le donne non sono capace di allenare gli uomini. Gasol chiede ai suoi lettori di credere a chi è stato allenato da Phil Jackson e Gregg Popovich: “Becky Hammon sa allenare. Non sto dicendo che sa allenare benino. Non sto dicendo che è abbastanza brava per poter stare in panchina. Non sto dicendo che è quasi al livello degli allenatori di sesso maschile. Sto dicendo che Becky Hammon può allenare nella NBA. Punto”. Categorico, definitivo, il catalano distrugge così il primo argomento spesso sollevato contro il suo assistente allenatore e per spiegarlo racconta l’aneddoto relativo a un allenamento degli Spurs durante il quale la Hammon fece una perfetta osservazione tecnica durante un esercizio di pick and roll che il n°16 stava effettuando insieme a Dejounte Murray. “Quel livello di competenza sul gioco lo hanno solo i grandi”, conclude convinto Gasol.
Seconda motivazione, “questa addirittura più folle della prima”, anticipa il catalano: Becky Hammon è seduta su una panchina NBA perché per gli Spurs è un’ottima mossa pubblicitaria. Tutte pubbliche relazioni, dice qualcuno. Folle, risponde Gasol, perché la NBA è una lega super competitiva, con enormi interessi economici in campo, e nessuno rinuncia al benché minino vantaggio competitivo: se un allenatore fa parte del coaching staff è per forza per meriti tecnici. E nient’altro. “Popovich ha dimostrato a tutti che non tratta diversamente Tim Duncan dall’ultimo giocatore della panchina: perché dovrebbe comportarsi diversamente con i suoi assistenti?”, si domanda l’ala degli Spurs.
E quindi sotto con la terza motivazione, “forse addirittura troppo stupida per trovare spazio qui, ma allo stesso tempo molto importante che venga confutata: il fatto che un allenatore donna nella NBA causi del disagio in uno spogliatoio maschile”. Gasol si ritrova costretto a ricordare che i giocatori si cambiano in una stanza e lo staff tecnico in un’altra, con uno spazio ovviamente privato se c’è una donna all’interno dello staff. Una situazione di parità e di eguaglianza che il catalano sospetta sia ormai data finalmente per scontata in mille ambiti diversi della nostra società ma che invece nello sport ancora non passi, perché “lo sport dovrebbe restare un’eccezione, una bolla dove è anche possibile coltivare ancora ignoranza e pregiudizi”. Difficile non pensare – Gasol non lo cita apertamente – alle parole del presidente USA Donald Trump, che difendendosi in merito ad alcuni suoi apprezzamenti sessuali non richiesti, definì quelle parole “locker room talk”, discorsi da spogliatoio. Gasol in uno spogliatoio del genere non vuole starci e anzi, vorrebbe che certo cameratismo maschile non abbia più diritto di cittadinanza nella NBA e nello sport in generale. Nel suo spogliatoio il catalano preferisce Becky Hammon, la persona giusta – “come ha fatto Igor Kokoskov a Phoenix”, primo allenatore europeo a sedersi su una panchina NBA – per infrangere l’ennesima barriera e allargare visioni che altrimenti rischiano di restare pericolosamente retrograde.