A Cleveland non vogliono arrendersi anche sotto 0-3, promettendo battaglia per gara-4. Ma "King" James non nasconde grande ammirazione per i suoi avversari, paragonati ai grandi Spurs di Popovich e Duncan e ai Patriots della NFL. Si prepara la resa?
CLEVELAND — J.R. Smith la fa semplice, ma semplice non è. Cleveland si ritrova — per il secondo anno consecutivo — sotto 0-3 in finale NBA, uno svantaggio che nessuno ha mai rimontato. “Ma siamo ancora in corsa, ci stiamo ancora giocando le finali. Abbiamo lo stesso entusiasmo, la stessa fiducia: crediamo di potercela ancora fare. Se non fosse così — conclude la guardia dei Cavs — allora potremmo anche non venire ad allenarci, domani”. “Vince chi arriva prima a 4, no?”, la domanda retorica posta da Tristan Thompson. “Venerdì notte giochiamo ancora in casa, davanti al nostro pubblico, ai nostri tifosi: dobbiamo lottare, dare tutto quello che abbiamo. Se lo faremo, anche in caso di sconfitta potremo comunque guardarci nello specchio e accettare il verdetto del campo, senza rimpianti”. Per il lungo dei Cavs gara-3 ha dimostrato che Cleveland può farcela, “serve solo giocare come stasera ma per tutti e quattro i quarti, non solo per tre”. Perché “il margine di errore è davvero minimo — conferma Kevin Love — e contro questi Warriors occorre essere quasi perfetti, se si vuole vincere”. I Cavs c’erano riusciti l’anno scorso, “avevamo mandato a bersaglio 24 triple e disputato una gran partita [vinta 137-116, ndr], dimostrando di non voler accettare la sconfitta. Dobbiamo fare lo stesso venerdì, scendere in campo, giocare la nostra pallacanestro e prenderci i nostri tiri con fiducia, per provare a meritarci una partita in più”. Sul margine di errore — che Love chiama minimo — torna anche LeBron James, sposando la tesi del suo All-Star. “Certo che è così, il margine è molto basso. è come giocare contro i [New England] Patriots, non puoi fare errori, perché sono una squadra che non si batte da sola. Di spazio per fare errori proprio non ce n’è”. E dopo aver sconfinato nel campo del football americano — una delle sue grandi passioni — per descrivere forza e potenza di questi Golden State Warriors James passa a paragonarli a una delle squadre NBA (anzi, la squadra NBA) più forte dell’ultimo ventennio, che lui conosce bene, per averla affrontata tre volte in finale NBA, due volte perdendo e una avendone finalmente la meglio: i San Antonio Spurs.
Steph, KD e Klay come Tim, Manu e Tony
“Questi Warriors mi riportano indietro nel tempo alle battaglie che ho combattuto in finale NBA contro gli Spurs, quando ero a Miami”, conferma LeBron. “Sapevi benissimo che non era una squadra che si batteva da sola: ogni possesso eri consapevole che in caso di errore Manu [Ginobili], Tim [Duncan], Tony [Parker] o Pop [Gregg Popovich] avrebbero trovato il modo di fartelo pagare. Se a questo si somma il contributo una volta di un Gary Neal, una volta di un Danny Green, poi ancora di un Kawhi Leonard il risultato è che sapevi di non poterti mai rilassare”, ricorda il n°23 dei Cavs. “Quando hai di fronte giocatori di grande talento anche molto intelligenti il livello di stress sale perché contro di loro sai di non poter mai abbassare la guardia. Non puoi e non devi, perché sono le finali NBA. Ieri erano Timmy D., Manu, Kawhi, oggi sono Draymond [Green] e Klay [Thompson], Steph [Curry] e KD [Kevin Durant], a cui aggiungere una gran partita di Iguodala o una magari di Livingston. Contro squadre del genere lo stress aumenta, perché se sbagli te la fanno pagare e ogni errore può costarti una partita”. Sembrano quasi parole di rassegnazione, quelle del “Re”, ma con uno scatto di orgoglio corregge subito il tiro e rimette le cose in prospettiva: “Non è facile, certo, ma fa parte della competizione, un elemento che amo e che mi spinge ad allacciarmi le scarpe ogni sera e scendere in campo per dare tutto”. Anche una corazzata come Golden State è avvisata.