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NBA Draft 2018: Marvin Bagley III, il giocatore più complicato del Draft

NBA

Un portento atletico in termini di esplosività e aggressività che però lascia molto a desiderare nella metà campo difensiva: non è semplice capire quale sarà il futuro del giocatore di Duke nella NBA, che potrebbe viaggiare a 20+10 dal primo giorno quanto impattare negativamente la squadra che lo sceglierà nelle prime posizioni del Draft

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Marvin Bagley III è un prospetto sul quale si possono spendere una miriade di aggettivi, ma quasi tutti faranno avranno al loro interno una sfumatura di ambiguità: complicato, contraddittorio, difficilmente inquadrabile in un contesto NBA eppure intrigante, esaltante, esplosivo. Tutto di lui sembra fermo un po’ in mezzo: il corpo è quello di un 4, il gioco è quello di un 5, le prospettive difensive non appartengono a nessuna delle categorie eppure la possibilità che risulti un giocatore produttivo al piano di sopra sono tra le più alte tra i giocatori che verranno scelti nelle primissime posizioni del Draft. Il suo unico anno a Duke ha dato ulteriori segnali contrastanti: da una parte è sembrato un uomo calato in mezzo ai bambini, terrorizzando le difese avversarie a suon di doppie doppie da 30+10 come se piovessero, specialmente a inizio anno; dall’altra i suoi difetti sono emersi alla distanza, costringendo coach K a passare alla difesa a zona e relegarlo in angolo nella 2-3 pur di nasconderne le mancanze nella propria metà campo. Anche immaginarselo in un contesto NBA è difficile: come può coesistere nello stesso giocatore la possibilità che faccia 20+10 dal suo primissimo giorno al piano di sopra e che allo stesso tempo faccia fatica ad emergere e ad avere un impatto per le sorti della propria squadra? Anche togliendo tutti i pregi e i dubbi, ci sono due realtà che rimangono innegabili: a Marvin Bagley III non mancano i mezzi per diventare anche un All-Star nella NBA in tempi relativamente corti, ma dovrà fare grossi passi in avanti tecnici e mentali per diventare un giocatore dall’impatto positivo sulle sorti della franchigia che deciderà di scommettere su di lui.

Storia personale: un predestinato su cui Puma ha scommesso fortissimo

Che Marvin Bagley III possedesse l’atletismo per diventare un giocatore di pallacanestro lo si era capito fin dall’adolescenza, visto che gli highlights delle sue giocate sopra il ferro giravano persino su ESPN già dal 2013, quando aveva solo 13 o 14 anni. E su di lui hanno cominciato a scommettere in tanti e in fretta: suo padre, Marvin Jr. – un passato come giocatore professionista, un presente come allenatore nel circuito AAU – si è concentrato sullo sviluppo del figliolo e degli altri due fratelli (entrambi giocatori) portandolo in giro con la squadra della Nike Phamily, e il collegamento con la nota marca d’abbigliamento di Portland è automatico. Per questo ha fatto particolarmente rumore la notizia di qualche giorno fa secondo la quale Bagley III ha firmato con Puma il più alto contratto di endorsement dai tempi di Kevin Durant per un giocatore appena uscito dal college, rimettendo “sulla mappa” l’azienda di abbigliamento dopo oltre 20 anni di assenza. Un ritorno in grande stile dopo che dai tempi di Vince Carter era calato il silenzio: considerando che “KD” firmò con Nike per 60 milioni di dollari in 10 anni più 10 milioni di bonus alla firma, si capisce quanto l’azienda tedesca abbia scommesso fortemente sulle possibilità del giocatore di Duke possa avere un impatto straordinario sulla NBA così come lo ha avuto al suo debutto con la pallacanestro universitaria.

Punti forti: atletismo e controllo del corpo fuori dal mondo, più un tiro in miglioramento

Nella sua prima e unica stagione in NCAA Bagley ha firmato ben sette partite sopra quota 30 punti segnati raggiungendo sempre la doppia doppia coi rimbalzi, traguardo toccato per 21 volte su 33 nella sua annata (ma solo una volta, l’ultima, al torneo NCAA). Da queste cifre si può capire il primo grande pregio di Bagley: è un giocatore estremamente produttivo quando scende in campo, in grado di riempire di numeri un tabellino quasi senza accorgersene. Il motivo è molto semplice: più che un giocatore assomiglia a una palla di cannone sparata a tutta velocità su un capo da basket, sprigionando un’esplosività vista raramente nella metà campo offensiva. Nel suo cuore Bagley è un giocatore che è al suo meglio quando può agire in avvicinamento a canestro, facendo dello stile aggressivo e della ferocia agonistica la sua cifra stilistica: non è un caso se una delle sue caratteristiche principali è quella di seguire i suoi stessi errori a rimbalzo offensivo, arrivando prima di chiunque altro sul pallone grazie a una capacità sovrannaturale di fare anche due o tre salti consecutivamente. Ovviamente il lungo di Duke è al suo meglio quando può andare in campo aperto, dove può anche gestire il pallone in prima persona oltre che volare sopra il ferro fungendo da bersaglio per gli assist dei compagni: sui 28 metri di campo, in pochi possono reggere il suo passo già adesso.

Quello che più impressiona di Bagley è la capacità di controllare tutta quella irruenza avvicinandosi al ferro, trovando sempre il modo di tornare sulla mano sinistra per concludere l’azione con una fluidità di movimenti veramente rara partendo dal post medio fronteggiando il canestro, la sua situazione di gioco preferita. Oltre a questo, il suo pacchetto offensivo offre una meccanica di tiro tutt’altro che rotta: nel caso in cui riesca a tenere percentuali adeguate anche in NBA, sarebbe difficilissimo marcarlo per i difensori in closeout su di lui, dovendo per forza di cose rispettare il suo jumper ma allo stesso tempo rischiando di essere bruciati sul tempo dalla sua velocità supersonica – tutte doti che ovviamente tornano utili anche in situazioni di pick and roll, visto che nelle ricezioni dinamiche ha pochi eguali.

A questo aggiunge una rapidità negli scivolamenti laterali tutt’altro che banale: Bagley si muove con grande velocità in orizzontale tanto da far immaginare un suo futuro come difensore in grado di cambiare e reggere contro chiunque sconsigliandone le penetrazioni in area, se istruito in maniera adeguata dallo staff tecnico e sostenuto nello sforzo dai suoi compagni dietro di lui. Paradossalmente, non avendo un ruolo definito in difesa Bagley può dare il suo contributo senza avere una posizione definita da marcare, ma marcandole tutte indifferentemente sul perimetro: per lui cambiare su tutti i blocchi in difesa non è una scelta ma una necessità per sopravvivere, tanto da condizionare l’intera filosofia difensiva di squadra.

Punti deboli: un giocatore condizionante in difesa e prevedibile in attacco

Il più grande dubbio su di lui riguarda proprio quest’ultimo punto: Bagley non possiede né le misure né in questo momento le capacità per essere un difensore accettabile a livello NBA perché non possiede un ruolo da marcare stabilmente, non essendo abbastanza lungo o grosso per controllare l’area. È uno di quei giocatori che non riesce a trasferire l’intensità con cui gioca in attacco anche nella metà campo difensiva, risultando spesso spaesato e perso cercando di navigare attorno ai blocchi, contenendo le penetrazioni degli avversari che gli passano da tutte le parti o arrivando coi giusti tempi di aiuto. In più non comunica neanche bene coi compagni, completando un profilo che ne fanno un giocatore da attaccare per gli avversari sin dal primo giorno, identificandolo come l’anello debole della catena difficilmente sostenibile se la sua produzione offensiva non riuscisse a sopperire alle mancanze difensive.

Detto questo, è sempre bene ricordare che stiamo parlando di un giocatore nato il 14 marzo 1999 che a questo punto della sua carriera sarebbe dovuto essere all’ultimo anno di liceo se non si fosse “riclassificato” dodici mesi fa, altro che NBA. Perciò Bagley potrebbe avere tutto il tempo per migliorare sotto molti aspetti difensivi con il giusto insegnamento tecnico e tattico, ma la squadra che lo sceglierà deve sapere che si parte da zero o quasi ma anche che le misure (solo 213 di apertura di braccia, di poco superiore alla sua altezza) lo porteranno ad essere sempre un minimo limitato in quella metà campo – a meno di cambiare l’intero schema difensivo nella maniera migliore per proteggerlo.

Anche nella metà campo offensiva, però, Bagley non è un giocatore perfetto, anzi. Essere un giocatore senza un ruolo definito può essere un fattore positivo nelle posizioni di 2, 3 e 4, ma non averne uno tra 4 e 5 può presentare dei bei problemi dal punto di vista offensivo. Bagley gioca in porzioni di campo che solitamente gli attacchi NBA basati sul pick and roll centrale preferiscono lasciare libere, a meno di non impiegarlo come portatore del blocco sulla palla e aprirgli una pista in area per il suo decollo verso il ferro. Ma se in avvicinamento un modo per segnare lo troverà sempre, è in situazione statiche che i suoi difetti tecnici emergono, visto che il tiro è tutt’altro che affidabile. Conviene non farsi ingannare dal 40% da tre registrato al college: i tentativi erano pochi e la percentuale ai liberi, solitamente più predittiva per il piano di sopra, è un preoccupante 62.7%, entrambi dati che porteranno le squadre a concedergli volentieri la conclusione da fuori prima di aggiustare le proprie scelte difensive. In più le capacità in palleggio in spazi stretti lasciano molto a desiderare così come il decision-making, e i numeri registrati al college in termine di coinvolgimento dei compagni (50 assist contro 75 palle perse) non sono per nulla incoraggianti. Bagley pensa al proprio tiro come prima e come seconda cosa, ed è abbastanza prevedibile nella sua ricerca costante della mano sinistra – difetti che hanno fatto aleggiare lo spettro di Michael Beasley come suo possibile paragone.

Fit e comparison: un Amar’e Stoudemire 2.0?

Per la verità Bagley è più veloce e atletico rispetto a Beasley, che anche nei suoi giorni migliori rimane comunque un giocatore più àncorato al terreno che esplosivo verticalmente. Per questo uno dei nomi più interessanti fatti sul giocatore di Duke è quello di Amar’e Stoudemire: come il lungo dei Phoenix Suns, anche Bagley è al suo meglio quando schierato da 5 in un attacco che apre il più possibile il campo al suo talento nell’attaccare il ferro, e allo stesso modo è condizionante in negativo per la difesa con la sua incapacità di proteggere il ferro. Pensare di costruire una difesa sopra la media avendo lui al centro dell’area è un discreto azzardo: la cosa migliore per lui sarebbe quella di avere al suo fianco un altro lungo mobile in grado di proteggere il ferro al posto suo e aprirgli il campo in attacco con il tiro da fuori, rinunciando allo stesso tempo ad essere il punto focale di un pick and roll visto che a portare i blocchi sulla palla o a ricevere dal post medio deve essere Bagley per massimizzarne il talento offensivo.

Delle squadre dalla 2 alla 6, range nel quale ragionevolmente finirà il prodotto di Duke, non sono in tante ad avere una “spalla” del genere: Sacramento alla 2 tra i tantissimi lunghi a disposizione ha Willie Cauley-Stein, che però al suo terzo anno ancora non si sa bene di quale pasta sia fatto; Atlanta alla 3 possiede John Collins, che però fa abbastanza “scopa” con Bagley; Memphis alla 4 ha Marc Gasol, che pur avendo delle caratteristiche utili al giovane lungo in attacco e in difesa rimane poco a suo agio in un eventuale schema che cambia su tutti i blocchi. Paradossalmente per Bagley sarebbe meglio scivolare alla 5 con Dallas (dove perlomeno creerebbe una coppia intrigante dal punto di vista offensivo con Dennis Smith Jr., per quanto atroce in difesa) o alla 6 con Orlando, dove il talento difensivo di Jonathan Isaac è tutto da scoprire (meglio non immaginare invece il fit con Nikola Vucevic per evitare di avere gli incubi). Sotto queste due squadre viene difficile immaginarselo scivolare, perché comunque la prospettiva di mettere le mani su un lungo da 20+10 dal primissimo giorno in NBA è troppo allettante per essere passata: la vera domanda a lungo termine è se quei 20+10 siano utili a vincere o “calorie vuote” come a volte sono state quelle di Stoudemire nella sua carriera.