
NBA, Michael Jordan e “The Last Dance”: cosa c'è nei due nuovi episodi?
Dopo il successo dei primi due episodi della serie dedicata a Michael Jordan - in Italia su Netflix e disponibile a un prezzo vantaggioso per gli abbonati Sky che sottoscrivono l’offerta Intrattenimento Plus su Sky Q - la curiosità è tutta rivolta alle storie delle prossime due puntate, trasmesse nella notte negli USA e disponibili da oggi in Italia: da Dennis Rodman ai Pistons di Isiah Thomas, passando per l’attacco Triangolo e coach Zen, questi alcuni degli argomenti che verranno fuori

DENNIS RODMAN - Aneddoti, storie più o meno note e una personalità straripante almeno quanto il suo stile: dopo Scottie Pippen fa il suo “debutto” in The Last Dance anche Dennis Rodman; un altro tassello fondamentale di quei Chicago Bulls e di quell’ultima particolare stagione

In un estratto pubblicato da ESPN si parla della “richiesta” di Rodman di una vacanza, dopo che Pippen aveva definitivamente recuperato dall’infortunio: “Cosa farai in quei giorni?”, “Me ne andrò a Las Vegas”. “Se lo mandiamo lì - le parole di Michael Jordan e Phil Jackson - sarà la fine. Anche se solo per 48 ore”. Sì, la parte dedicata a “The Worm” promette di essere davvero molto interessante

LA FIDUCIA DI JORDAN IN SÉ STESSO | Dalla promessa fatta a Doug Collins di non fargli perdere la sua prima partita da allenatore ai Bulls fino a “The Shot” contro i Cavaliers: la personalità di MJ viene fuori in tutta la sua grandezza. In quei playoff del 1989 infatti, non gli era proprio andato giù che i giornalisti avessero (quasi tutti) scommesso sul passaggio del turno da parte di Cleveland…

Discorso diverso va fatto invece quando si parla dei Bad Boy di Detroit e delle non poche difficoltà incontrate nel batterli: “Li odiavo, un fastidio che mi porto dietro fino ai giorni nostri”, sottolinea MJ. “L’hanno sempre messa sul piano personale”. Insomma, non sempre le cose sono andate per il verso giusto

THE “JORDAN RULES” | Si parlerà anche della trappola difensiva che i Pistons erano riusciti a creare per rallentare - e diverse volte a battere - Michael Jordan. Grazie a quello, i Pistons sono riusciti a prendersi ben due titoli NBA in fila, nel 1989 e nel 1990

Sconfitte frustranti di cui Jordan riuscì a vendicarsi soltanto nel 1991, quando nella finali di Conference di quell’anno i suoi Bulls riuscirono ad avere la meglio in una serie dominata dall’inizio alla fine da Chicago - vinta per 4-0, il modo più efficace per mettere fuori gioco i campioni in carica

A far discutere in quell’occasione fu la decisione da parte dei Pistons di uscire dal campo senza stringere la mano a chi li aveva battuti. Una scelta che MJ non riesce a comprendere e a digerire neanche a 30 anni di distanza: “Non c’è un modo per convincermi del fatto che quello non fosse un gesto del c***o”

PHIL JACKSON E IL SUO METODO DA “COACH ZEN” | “Non ho mai conosciuto un allenatore in grado di essere così diverso e al tempo stesso genuino quando si trattava di tenere unito il gruppo”: parole di Steve Kerr - che faceva parte di quei Bulls e che qualcosa in panchina ha vinto negli ultimi anni - riferite a coach Phil Jackson; un altro degli aspetti che verrà fuori nelle prossime due puntate

L’ATTACCO TRIANGOLO SCELTO DAI BULLS | Negli episodi 3 e 4 fa la sua comparsa in scena anche Tex Winter - assistente allenatore arrivato a Chicago nel 1985 che, ascoltato da Phil Jackson, divenne il principale maestro dei principi offensivi che hanno regalato a quei Bulls enormi soddisfazioni negli anni successivi

Dopo aver dominato l’attacco dei Bulls fino al 1989 (con Collins in panchina), MJ era costretto a fare qualche passo indietro: “Non avevo alcuna intenzione di accettare un sistema secondo cui Bill Cartwright poteva avere il pallone in mano a 5 secondi dalla fine del possesso. Questo non è un attacco che garantisce pari opportunità, è soltanto una caz***a”. Convincerlo non è stata un’impresa facile