Why not us? Why not now?

Rich DeVos, self-made man scomparso nel 2018, ha co-fondato Amway, azienda che con il multi-level marketing ha segnato un’epoca nella storia del business. Nel 1991, DeVos acquistò la maggioranza azionaria degli Orlando Magic, entrati nella lega solo due anni prima e tutt’altro che irresistibili all’epoca. Spinti dal dinamico duo Shaq-Penny , la squadra arrivò però alle finali 1995 da favorita, eliminando in semifinale di conference i Bulls del rientrante Michael Jordan . Per tutta quella cavalcata DeVos, autore di libri come 10 insegnamenti essenziali della “persona più positiva del mondo”, adottò il mantra Why not us? Why not now? . Posto che in Gara 1 di finale Orlando era avanti di 20 sui Rockets, se si trattasse di un film l’ultima scena sarebbe DeVos che sul palco, dopo la parata, si prende l’ovazione della folla. Solo che l’NBA, o meglio lo sport, non è un film . La rimonta guidata da Hakeem Olajuwon e Kenny Smith, lo 0/4 ai liberi di Nick Anderson e il cappotto realizzato da Houston in quel 1995 sono lì a ricordarci che non sempre il lieto fine è dietro l’angolo. Immagino che in quel 1995, per consolarsi, i Magic avranno pensato che comunque restava da fare solo l’ultimo passettino, che sarebbe stata solo questione di tempo. E invece, nonostante l’ottimismo e la positività di Rich DeVos, non è detto che 2+2 faccia sempre 4. Perché ho rievocato questa storia? Perché questa sembra una stagione in cui più di una squadra può dire, con fondatezza, Why not us? Why not now? Possono dirlo senz’altro i Thunder, la squadra con più identità e difesa della lega. Idem dicasi per i Cavs, che in attacco giocano la pallacanestro più redditizia di tutte. Non fatevi fuorviare da qualche alto e basso, Memphis è top 5 sia in difesa sia in attacco, e con un equilibrio del genere si compete a qualsiasi livello. Un quarto di gradino più sotto, ma starei attento anche all’evoluzione di Houston, che assomiglia tanto all’OKC di una stagione fa. E la stessa Orlando, se la immaginiamo con tutti gli infortunati a disposizione, non è lontanissima dal cominciare a competere. Che si possa fare un discorso del genere, è chiaro segno di come la lega sappia quel che sta facendo. Non è infatti un caso se squadre che ieri erano nei bassifondi della classifica, oggi hanno ambizioni legittime. La circostanza è figlia di una precisa volontà di rendere il prodotto appetibile commercialmente grazie al competitive balance, l’equilibrio competitivo . Naturalmente, come ha dovuto imparare persino DeVos, non è detto che bussare a una certa porta sia garanzia che ti verrà aperto. Al di là della volatilità dei roster , essersi già trovati in certe situazioni è un valore se vuoi davvero sfilare con il Larry O’Brien Trophy in mano. Non so quindi se una di queste quattro potrà terminare la lavorazione di quel film che per i Magic del 1995 si interruppe prima dell’ultima scena. Mi chiedo, però: ma davvero è necessario un happy ending per dire che Thunder, Cavaliers, Grizzlies e Rockets sono stimolanti da vedere? Io dico di no: è sempre la somma, e non l’ultima serie di playoff, che fa il totale.

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Why not us? Why not now?

Flavio Tranquillo