Redick ai Lakers: il bilancio di metà stagione

Quella ricevuta in estate dai Lakers non era stata esattamente un’investitura per JJ Redick, perché prima di affidargli la panchina il front office gialloviola aveva puntato in maniera abbastanza evidente su Dan Hurley. Solo una volta incassato il ‘no grazie’ da parte del coach di UConn, Rob Pelinka e soci decidevano di virare sull’ex giocatore di Clippers e Sixers e lui, al contrario di Hurley, accettava senza remore o ripensamenti. Eppure, dopo la breve e poco fortunata avventura di Darvin Ham alla guida della squadra, i dubbi avrebbero potuto essere molti e anche legittimi. Redick, però, aveva detto subito sì, forse perché da esordiente assoluto gli era praticamente impossibile rifiutare i Lakers. O forse perché dentro di sé sapeva di avere le qualità necessarie per affrontare una sfida tanto impegnativa quanto affascinante. E se è ancora presto, molto presto per affermare che Redick quella sfida l’ha vinta, di certo i segnali arrivati fin qui sono stati incoraggianti. LAKERS, UN ANNO DOPO Misurare l’andamento della stagione di una squadra attraverso il record di vittorie e sconfitte è un esercizio abbastanza futile, perché il ritmo con cui si susseguono le partite durante la regular season può cambiare nel giro di pochi giorni il giudizio complessivo e perché quel record è frutto di tanti fattori, come la difficoltà del calendario e gli infortuni ai giocatori, spesso fuori dal controllo dei protagonisti diretti. Tuttavia, per provare a capire a che punto sono i Lakers dopo la prima metà di stagione con Redick in panchina può risultare utile riportare indietro le lancette di un anno. A fine gennaio 2024, dopo aver vinto la prima edizione della NBA Cup, i ragazzi allora allenati da Ham avevano un record di 24 vinte e 25 perse, buono per un 9° posto a Ovest e una candidatura alla zona play-in. Oggi, invece, sotto la guida di Redick il record dice 27-19 e lascia i gialloviola al 5° posto nella Western Conference, a una incollatura dal 4° attualmente occupato da Denver. I risultati, quindi, parlano di un miglioramento sostanziale, anche se proprio per i motivi di cui sopra azzardare valutazioni sarebbe prematuro. Appare perciò più sensato provare ad analizzare altri aspetti della stagione fin qui vissuta dai Lakers, che magari non sono strettamente legati al conteggio delle vittorie e delle sconfitte ma che di certo influiscono e continueranno a influire sul destino della squadra. UN CAMBIAMENTO ANCORA IN CORSO Il roster ereditato da Redick non presentava fin dall’inizio novità davvero significative, perché la struttura della squadra era uscita pressoché intatta dal mercato estivo. La cessione a stagione in corso di D’Angelo Russell e l’arrivo di Dorian Finney-Smith, oltre che di Shake Milton, ha portato qualche elemento di novità, ma in sostanza si può dire che le rotazioni dei Lakers continuano ad avere nelle due stelle LeBron James e Anthony Davis, affiancati da AustIn Reaves, le loro colonne portanti. Rispetto alla gestione targata Ham, ad avere più spazio sono stati Max Christie e un Rui Hachimura finalmente in condizioni fisiche ottimali, mentre il vuoto lasciato dalla partenza di Taurean Prince è stato coperto dalle buone prestazioni offerte dal rookie Dalton Knecht. Logico, quindi, che le metriche di squadra non abbiano subito variazioni davvero significative. Confrontando i dati dell’annata precedente con quelli della stagione in corso, gli scostamenti di rilievo sono relativi al passo, che da 101.38 è sceso a 98.22 e al peso dei tiri da tre sul complessivo dei tiri tentati, passato dal 35.8% del 2023-24 al 39.2% attuale. Banalizzando un po’, insomma, si potrebbe affermare che i Lakers di Redick attaccano di più a metà campo e privilegiano maggiormente il gioco perimetrale, ma si tratta di cambiamenti a cui è difficile assegnare un peso concreto sul rendimento in regular season. Le novità vere, e forse più interessanti, Redick le ha in effetti messe in mostra nella gestione del gruppo e del rapporto con i media. REDICK E IL FUTURO DEI LAKERS Su una cosa, fin dal suo primo giorno sulla panchina dei Lakers, nessuno ha mai avuto modo di dubitare: la dedizione e l’etica del lavoro di Redick. Ed è proprio questo aspetto, emerso anche in diverse dichiarazioni rilasciate dal diretto interessato, ad avergli fatto guadagnare velocemente il rispetto e la fiducia del gruppo di giocatori a disposizione, a partire dalle due stelle James e Davis. Non solo, anche se la squadra ha dei limiti evidenti, soprattutto se paragonata al resto delle vere pretendenti al titolo, etichetta che secondo alcuni dovrebbe spettare di diritto anche ai Lakers, Redick non ha mai accampato scuse, nemmeno nei passaggi più complicati, che non sono mancati. Così come non sono mancati gli sfoghi, come quello dello scorso dicembre dopo la sconfitta di Miami o quello più recente arrivato sul parquet di Philadelphia durante la sfida poi persa con i Sixers. In entrambi i casi, però, Redick, forse memore della sua lunga carriera in canotta e pantaloncini e ben conscio di ciò che incide sulle motivazioni di chi scende in campo, non ha mai scaricato le responsabilità sui suoi giocatori e viceversa si è sempre preso le proprie senza esimersi dal ruolo di guida del gruppo. Non solo, anche nella gestione di situazioni tutt’altro che semplici come quella che riguarda la presenza in squadra di Bronny James, l’ex giocatore di Clippers e Magic ha dimostrato di sapersi ben destreggiare dosando onestà intellettuale, come quando dopo la sconfitta contro i Sixers ha sottolineato la prova negativa del figlio di LeBron, e capacità diplomatica. E il rapporto con i media e con l’ambiente dei Lakers in generale, tra i più ostici e impegnativi nel panorama dello sport professionistico americano, è proprio l’ambito in cui Redick ha fin qui dimostrato di avere la stoffa per fare l’allenatore. Contrariamente alle abitudini della casa, infatti, le polemiche attorno alla squadra sono state davvero poche e di poco conto, e dallo spogliatoio non sono filtrati i malumori che, ad esempio, avevano caratterizzato la gestione Ham così come quelle precedenti. E anche nei momenti di difficoltà la stampa di Los Angeles è sembrata ben disposta a concedere al coach esordiente e ai suoi ragazzi una clemenza decisamente più corposa rispetto a quella applicata in svariate altre occasioni durante lunga storia della franchigia. Fin qui, insomma, Redick è sembrato essere all’altezza del compito assegnatogli e si è guadagnato una credibilità che molti dei suoi predecessori, per non dire tutti quelli che si sono seduti sulla panchina dei Lakers dopo Phil Jackson, avevano solo inseguito senza mai davvero raggiungerla. Ecco perché, visto che da una parte il viale del tramonto è ormai prossimo per LeBron e che su Davis come franchise player a tutti gli effetti permangono dubbi, il futuro gialloviola potrebbe passare proprio da lui, arrivato in estate quasi come un rimpiazzo e ora serio candidato a diventare la faccia dei Lakers.

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