Doncic, i Lakers e la regola delle dieci P

Prima pensa, poi parla, perché parole poco pensate portano pena. La tradizione popolare ci tramanda questo proverbio, che trovate in molte versioni alternative, come “regola delle dieci P”. Sempre secondo la suddetta tradizione, esso risalirebbe a un ateniese ucciso per le parole poco riguardose rivolte a un guerriero. Mi sbaglierò, ma lo scambio tra Lakers e Mavs mi sembra incitare tutti noi a ignorare questa regola aurea: intanto parliamone, il più e il prima possibile, poi si vedrà. Non mi sfugge che interrogarsi su uno scambio così clamoroso sia del tutto naturale. Ciò non mi toglie la spiacevole sensazione che alla legittima voglia di clamore si sia sostituita una bulimia di clamore. Che, come tutte le bulimie, sana non è. Lo dico perché, alla luce dell’assoluta imprevedibilità dell’evento, parlarne con un minimo di cognizione di causa dall’esterno adesso rischia di portare pena . Le cose che non sappiamo battono infatti quelle che sappiamo almeno 50-1. Prendiamo il lato dei Dallas Mavericks e proviamo a chiederci perché abbiano accettato, o meglio promosso, questo scambio. La risposta “non hanno voluto dare il supermax a Doncic” potrebbe anche essere corretta, ma non sarebbe comunque esaustiva. Essa ripropone infatti lo stesso interrogativo: perché non volevano più un giocatore al quale, esagerando, hanno consegnato le chiavi della franchigia dal momento in cui ha messo piede in Texas? A questo interrogativo ci possono essere miriadi di risposte afferenti direttamente al basket. Quella offerta dal GM di Dallas Nico Harrison è nella migliore delle ipotesi uno dei ragionamenti fatti . E se invece la chiave fosse il punto di vista della proprietà? Quando si prende una decisione del genere, infatti, non può essere solo o tanto questione di basket. Nel corso del 2024, la maggioranza del club è passata da Mark Cuban alla famiglia Adelson, magnati del settore betting. Anche avendo più tempo per pensare alle parole da dire, non saprei comunque capire fino in fondo la logica degli azionisti di riferimento. Magari, però, eventi futuri sul fronte societario ci aiuteranno a capire un pezzettino di questa decisione. Lo so, serve pazienza, ma è meglio che sparare alle ombre. Sul lato Lakers, stesso discorso: qui la proprietà è sempre la stessa da decenni, e ha sempre avuto un nome in cartellone che spiccava sopra agli altri. Può questa considerazione aver sopravanzato le considerazioni sportive in senso stretto? Anche qui, non ne ho la minima idea. Provare ad appurarlo è però decisivo per poter dire qualcosa di sensato. Comunque, i Lakers dovranno dimostrare di riuscire a cambiare uno che finora nei suoi difetti si è crogiolato. Un Doncic depurato da tutte le scorie è un game-changer. Il Doncic che abbiamo visto finora, invece, meno. Tornerei all’arrivo in giallo-viola di Shaquille O’Neal: lo Shaq del ‘96, pur facendo intravedere lampi di grandezza, non faceva quello che serviva per arrivare in fondo. Quello successivo sì, ma la sua evoluzione non fu automatica, né priva di qualche dolore di crescita. In poche parole: se quel che conta è il viaggio e non la meta direi che possiamo metterci comodi. Ci sarà tempo per valutare e per capire . La regola delle 10 P non sbaglia mai…

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Flavio Tranquillo