Il potere dei giocatori

Uno dei temi legati all’NBA di quest’epoca, soprattutto rispetto alle molte e importanti trade occorse, è quello del player empowerment. In senso letterale, empowerment indica il conferimento di poteri. In senso estensivo, designa invece la presa di coscienza dei propri diritti e l’autoaffermazione. Una delle difficoltà alle quali si va incontro riflettendo sulla questione risiede nel fatto che il termine 'potere' abbraccia molti campi: quello politico in senso stretto, ma anche quello sociologico e culturale e, in questo caso soprattutto, quello economico e organizzativo. Quanto al primo campo , il 2020 ha segnato l’apice dell’ascesa della forza del giocatore. Grazie anche alla concentrazione di attenzione su quello che succedeva nella bolla di Orlando, gli atleti divennero infatti soggetti politici a tutto tondo, con un esplicito invito da parte dei loro datori di lavoro a misurarsi in questo agone sociale. Da allora, però, su questo terreno si è registrata una cospicua inversione di tendenza. All’attivismo di allora, misurato in termini di esposizione mediatica sui temi dei diritti civili , corrisponde il sostanziale silenzio di oggi. Nemmeno la nomination prima e l’elezione poi di Donald Trump hanno mutato questo indirizzo, così lontano dai tempi delle presidenziali del 2020. Non ho alcun motivo per affermare se questo sia un bene, un male o nessuno dei due: mi basta il potere deriva da un’asimmetria nel controllo di risorse di valore . Nella stessa sede vengono analizzati i processi e le tattiche con le quali, all’interno delle organizzazioni, si cerca di accrescere il proprio potere e, di conseguenza, la propria influenza. Un loro elenco indicativo e non esaustivo comprende: Costrizione Coercizione Manipolazione Emulazione Persuasione razionale Autorità Voglio immaginare che ognuno di noi possa collegare, sia pure in senso meramente presuntivo, alcuni comportamenti degli attori della scena cestistico-mediatica all’esercizio di uno o più dei metodi sopra elencati. Chi ha deciso la sorte di Jimmy Butler? A guardare superficialmente la narrazione la lotta tra lui, che voleva andar via, e Pat Riley, che voleva imporre le sue condizioni. Questa lotta, sempre secondo la stessa narrazione, deve avere un vincitore. Quest’ultimo viene pronosticato prima che il giocatore scenda in campo con la nuova maglia e poi designato, di solito molto frettolosamente, al primo risultato o presunto tale . Questa rozza e diffusa pratica, che occupa gran parte del dibattito, non esaurisce affatto la complessità della realtà per almeno due motivi. Il primo è che non si tratta di un derby Butler-Riley, perché molti altri soggetti ed entità concorrono sia all’effettuazione dello scambio sia al risultato sportivo post-trade. Il secondo è che non si tratta di una partita, ma di un normale processo di allocazione del potere in un’organizzazione complessa. Cosa sia successo veramente a Miami e Golden State, a Dallas e a Los Angeles, a San Antonio e a Sacramento, lo sapremo, se lo sapremo, tra qualche anno. Nell’attesa, il consiglio è quello di guardare sì con curiosità i giocatori con le nuove maglie, ma di non confondere la curiosità con la fretta e la superficialità. Resta quell’accezione politica di potere, che ieri era quasi la ragione di vita dei giocatori e della lega e che oggi è scomparsa. Reiterando che non ho un’opinione sul tema, il fenomeno mi pare rilevante. Può esserci una correlazione tra la minor ricerca di potere politico-culturale e la crescita del potere organizzativo? Non lo escluderei, non ne sono sicuro. Interessante però.

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Flavio Tranquillo