Caos Miami: dopo l’addio a Jimmy Butler, il futuro è tutto da scrivere

Quando lo scorso 6 febbraio è filtrata la notizia del passaggio di Jimmy Butler a Golden State, in molti, anche a Miami, hanno tirato un sospiro di sollievo per quella che appariva come la conclusione logica di una vicenda spinosa protrattasi troppo a lungo. Non era infatti un mistero che nel rapporto tra Butler e Miami l’inizio della fine fosse arrivato già la scorsa estate, con il rifiuto da parte della dirigenza degli Heat di estendere il contratto del giocatore e le dichiarazioni di Pat Riley che lo richiamava alla necessità di essere presente con maggior continuità nel corso della stagione. Da lì in poi, a ben vedere, si è trattato soltanto di prolungare uno strascico a tratti parecchio spiacevole e forse in grado di rovinare una storia dai risvolti ampiamente positivi. Perché, anche se a causa del ritmo forsennato con cui la NBA contemporanea riesce a cambiare protagonisti può essere facile dimenticarlo, nei cinque anni con Butler nel ruolo di giocatore di riferimento sono arrivate due Finals e una finale di Conference. E anche se il titolo è rimasto un miraggio, non si discute sul fatto che gli Heat siano stati, insieme ai Celtics, la squadra con la maggior continuità nel corso dell’ultimo quinquennio. E in una lega che tra tetto salariale, mercato fortemente irregimentato e distribuzione delle scelte al Draft si basa su meccanismi che favoriscono la parità competitiva e il ricambio ai vertici delle due Conference non è affatto un risultato da poco. Certo, ora mantenersi a quei livelli appare complicato, perché anche se l’addio a Butler non ha rappresentato un colpo di scena clamoroso, il suo passaggio agli Warriors ha di fatto chiuso un’epoca nella storia di Miamie ne ha aperta un’altra. Un’epoca tutta da scoprire, nella quale non mancano spunti positivi ma in cui, almeno per ora, a prevalere sono le incognite. QUANTO VALE MIAMI OGGI C’è una distanza netta che, ora come ora, separa Miami dalle squadre al comando della Eastern Conference, Cleveland, Boston e New York, che considerata l’età media dei rispettivi roster paiono attrezzate per rimanere in quella posizione anche negli anni a venire. Non solo, dietro a Cavs, Celtics e Knicks a Est si è formata una sorta di classe media in cui ci sono squadre che hanno un talento diffuso importante come Indiana, una superstar di livello assoluto come Milwaukee, e altre come Orlando e Detroit che puntano a migliorare ancora grazie a un nucleo di giocatori giovani e in forte crescita. Miami fa parte di questa classe media, anche se le quattro sconfitte consecutive arrivate nelle ultime quattro partite hanno fatto scivolare la squadra al 9° posto, e con ogni probabilità riuscirà a rimanerci anche nelle prossime stagioni. Solo che a South Beach quella sorta di quieto vivere garantito dalla presenza nella zona tra play-in e playoff potrebbe risultare sgradito. Nondimeno, le statistiche di squadra oggi dipingono un quadro abbastanza chiaro: le uniche voci in cui gli Heat entrano nella top ten, peraltro con un 10° posto alquanto risicato, sono quelle relative all’efficienza difensiva e alla percentuale di palle perse. Si tratta, in maniera abbastanza palese, di risultati frutto del lavoro del coaching staff capeggiato da Erik Spoelstra più che della qualità degli interpreti sul campo. Interpreti che formano comunque un roster dal talento medio troppo alto anche solo per ipotizzare una primavera all’insegna del tanking, scelta che potrebbe avere un senso in ottica futura ma che pare non essere contemplata dalla dirigenza, e troppo modesto per nutrire concrete ambizioni di giocarsela con le prime della classe a Est. A conti fatti, quindi, la domanda in casa Heat dovrebbe essere: a cosa può servire la seconda parte di stagione iniziata dopo la pausa per l’All-Star Game? GIOCATORI SOTTO ESAME L’organico a disposizione di coach Spoelstra è uscito dalla sessione di mercato con innesti significativi che, anche se non potranno con ogni probabilità colmare il vuoto lasciato da Butler, andranno valutati per quanto possono portare all’interno del contesto di squadra. Andrew Wiggins, contropartita principale nello scambio con Golden State, ha caratteristiche adattabili al sistema di gioco di Miami, ma viene da due anni decisamente difficili. Ci sono meno aspettative su Kyle Andrerson e Davion Mitchell, arrivati sempre all’interno della trade con gli Warriors, ma entrambi sembrano poter dare un contributo significativo, il primo in fase di playmaking, dove la squadra non gode certo di un’abbondanza di opzioni, e il secondo nel rafforzare ulteriormente la difesa sul punto d’attacco. A essere oggetto di scrutinio più profondo, anche perché a disposizione fin dal training camp, potrebbero però essere in particolare i giovani scelti agli ultimi Draft. Occorrerà innanzitutto capire cosa valgono davvero Jaime Jaquez Jr., protagonista di un secondo anno in NBA tutto sommato modesto se rapportato alle aspettative generate dall’ottima annata da rookie, e Kel’el Ware, il cui esordio da professionista ha messo in mostra mezzi atletici notevoli e limiti di comprensione del gioco altrettanto notevoli, soprattutto per tenere il campo in una squadra rodata come gli Heat. Da qui al termine della stagione, infine, andranno monitorati i passi avanti compiuti da Nikola Jovic, ancora troppo discontinuo per rappresentare una certezza nelle rotazioni. Il roster attuale, poi, ha senza alcun dubbio in Bam Adebayo e Tyler Herro i suoi uomini di riferimento, e anche se la squadra è ora di fatto nelle loro mani, i due continuano a dare l’impressione di poter essere perfetti nel ruolo di seconda e terza spalla di una superstar, ruolo ricoperto da Butler nelle cavalcate ai playoff degli anni scorsi. Herro, in particolare, superati i problemi fisici che l’avevano limitato nella stagione precedente, ha fatto un balzo in avanti notevolee sta segnando come mai prima in carriera , tirando come mai prima in carriera , eppure, al di là della meritata convocazione all’All-Star Game, si fatica a pensarlo come vero e proprio erede di Butler. Per trovare la stella dotata del talento e della personalità necessarie per pendere in mano gli Heat, quindi, potrebbe essere necessario attendere gli sviluppi futuri del mercatoe farsi trovare pronti al momento giusto. E, in questo senso, a Miami hanno sempre dimostrato di sapere il fatto loro. LA PROSPETTIVA FUTURA VISTA DA SOUTH BEACH All’orizzonte, purtroppo per Miami e per i suoi tanti tifosi sparsi in giro per il mondo, non c’è un colpo clamoroso sul mercato e, salvo stravolgimenti al momento impossibili da immaginare, durante la prossima estate non ci sarà nessun free agent dal nome importante che deciderà di portare i propri talenti a South Beach. Gli Heat, infatti, avranno uno spazio salariale significativo solo nel 2027. Allo stesso tempo, però, nelle more degli scambi effettuati durante le ultime due sessioni di mercato, Riley e soci hanno evitato di gonfiare il monte salari e quindi entrare nel famigerato Second Apron previsto dall’ultimo contratto collettivo siglato. Si tratta di un fattore importante, che consentirà in futuro di avere maggiori margini di manovra sul mercato, permettendo tra le altre cose di aggregare diversi contratti in una eventuale trade. E i contratti che compongono ora il libro paga di Miami hanno quasi tutti cifre considerevoli, ma scadendo in buona parte proprio nel 2027 potrebbero risultare appetibili come contropartite da proporre ad altre squadre. Non solo, la prima scelta degli Warriors al prossimo Draft, arrivata all’interno dello scambio per Butler e potenzialmente da Lottery , riequilibra un po’ gli asset a disposizione, ora non più limitati alle proprie prime scelte per i Draft del triennio che va dal 2029 al 2031. A prescindere dalla flessibilità del monte salari e dalle scelte future che sarà possibile offrire alle controparti, però, il punto forte degli Heat sembra essere ancora oggi ciò che la franchigia è in grado di offrire a chi veste quella maglia. Uno dei migliori coaching staff, se non il migliore in assoluto della NBA, che ha dimostrato nel corso di ormai quindici anni abbondanti di essere in grado di tirare fuori il meglio dalle stelle così come dai role-player, una dirigenza solida e modellata attorno alla figura di Riley e un contesto cittadino che ha pochi eguali nel resto degli Stati Uniti . Miami, insomma, rimane una destinazione plausibile per le superstar del presente e del futuro, anche se probabilmente sarà necessario attendere chi, nella generazione degli Shai Gilgeous-Alexander e degli Anthony Edwards, potrebbe prima o poi cercare una nuova sfida lontano da dove si trova ora. In attesa di tornare a caccia di stelle, insomma, gli Heat proveranno a dire la loro puntando sull’abitudine a scendere in campo sfruttando sempre al massimo le potenzialità a disposizione e sulla voglia di non arrendersi che caratterizza il nucleo di giocatori e la guida tecnica. Magari non riusciranno a stupire come hanno fatto in più occasioni durante gli ultimi, ma, prendendo in prestito la celebre definizione data da Pep Guardiola dell’Atalanta di Gian Piero Gasperini, è probabile che per gli avversari giocare contro i ragazzi di Spoelstra continuerà a risultare piacevole quanto una seduta dal dentista.

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Dario Costa