Da LeBron a Curry: cinque stelle che si giocano tutto (o quasi) ai playoff

Quando la regular season NBA termina dopo la lunghissima cavalcata rappresentata dalle consuete 82 partite, non è raro sentir dire che “ora inizia la vera stagione”. Ad affermarlo sono molto spesso gli allenatori stessi ma ancor di più i giocatori. Perché è chiaro a tutti che con l’arrivo della primavera il livello della competizione si alza e, per citare la nota battuta di John Belushi nel cult ‘Animal House’, quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Sono proprio i playoff, d’altronde, a scrivere la storia della NBA e delle carriere dei singoli protagonisti, che da aprile in poi sono chiamati a sopportare la pressione in partite dove ogni singola azione, ogni canestro e ogni palla persa hanno un peso specifico enorme. Vale per tutti, ma per le stelle ancor di più, perché i riflettori erano, sono e saranno sempre puntati su di loro. E per cinque stelle pronte a scendere in campo nei playoff che iniziano sabato la pressione sarà ancora maggiore, perché in ballo ci potrebbero essere sfide dal valore per molti versi storico. LEBRON JAMES: IL FANTASMA DI JORDAN E IL VIALE DEL TRAMONTO Di tempo ne è passato parecchio da quando nel 2016, dopo aver conquistato il suo terzo titolo, il primo e indimenticabile nella storia dei Cleveland Cavaliers, LeBron James ammetteva di essere alla caccia del fantasma di Michael Jordan e dei suoi sei titoli NBA. Nel frattempo sono arrivati il trasferimento ai Lakers e un altro titolo, quello nella bolla di Orlando, accompagnati da diversi altri tentativi di riempire la bacheca andati a vuoto. E quello sembrava il destino di LeBron anche in questa stagione, perché la squadra attorno a lui non dava l’idea di poter competere con la concorrenza spietata della Western Conference. A cambiare tutto è stata la trade che a febbraio ha portato Luka Doncic a Los Angeles, fornendo a James forse il compagno di maggior talento con cui ha condiviso il campo nel corso della sua lunghissima carriera. E se è vero che LeBron non sembra aver tutta questa intenzione di smettere e che con l’innesto di Doncic i Lakers dovrebbero essersi concessi una ‘finestra’ di qualche anno da vivere come contender, è vero altrettanto che, a quarant’anni ormai compiuti, lo striscione di fine carriera non può che essere vicino. Per i Lakers, poi, questi playoff potrebbero rappresentare un’occasione d’oro per sfruttare al meglio l’effetto sorpresa generato dal nuovo assetto della squadra, con Austin Reaves terzo violino più che mai efficace, uscito radicalmente modificato dallo scambio per Doncic e a cui molti avversari potrebbero non aver ancora preso a pieno le misure. Forse quel fantasma è destinato a rimanere irraggiungibile, ma nelle prossime settimane James potrebbe avere la possibilità di arrivargli davvero vicino. STEPH CURRY: ALL’INSEGUIMENTO DELLA QUINTA MERAVIGLIA Al contrario di James, Steph Curry non ha mai dichiarato pubblicamente di inseguire alcun fantasma, ma allo stesso tempo non ha mai nascosto di considerare la possibile conquista di un altro titolo come il coronamento di una carriera già ora leggendaria. Anche per Steph si tratterebbe del quinto Larry O’Brien Trophy, obbiettivo che un po’ come per l’amico e rivale LeBron sembrava del tutto irraggiungibile fino allo scorso febbraio. E se la trade che ha portato a Golden State Jimmy Butler non ha avuto l’effetto mediatico deflagrante di quella con al centro Doncic, di sicuro ha cambiato in maniera radicale la traiettoria della squadra. L’arrivo dell’ex Miami ha fatto fare un salto di qualità immediato agli Warriors, che con lui in campo hanno chiuso la regular season con 23 vittorie e 7 sconfitte. Le prove d’intesa tra Curry e Butler, poi, hanno dato i loro frutti anche nella sfida al play-in vinta in volata su Memphis. Come per LeBron, anche per Steph, che rispetto alla stella dei Lakers ha quattro anni in meno, la ‘finestra’ per puntare a un altro trionfo sembra poter restare aperta anche durante la prossima stagione, ma considerata la velocità con cui cambiano le cose in NBA non è affatto detto che l’occasione si ripresenti. E se Curry continuerà a giocare allo stesso livello tenuto durante gli ultimi mesi, e che potrebbe anche fargli guadagnare un posto nel primo quintetto All-NBA, sognare non sarà vietato. Anzi, sarà quasi d’obbligo. KAWHI LEONARD: IL RITORNO DEL TERMINATOR Tra le tante stelle che scenderanno in campo in questi playoff ce n’è solamente una in grado di cambiare non solo il destino di una gara, bensì di un’intera serie su entrambi i lati del campo: Kawhi Leonard. Certo, le ultime avventure nella post-season, chiuse con largo anticipo a causa di infortuni, non sono state affatto indimenticabili per l’ala dei Clippers. Dopo aver saltato tutta la prima parte di stagione per recuperare dal problema al ginocchio destro, però, l’ex Spurs e Raptors ha usato le scorse settimane per recuperare quello che, stando a quanto visto nelle ultime battute di regular season, sembra essere uno stato di forma pressoché ottimale. Detto che con lui in ballo la notizia di un nuovo stop rischia di essere sempre dietro l’angolo, se fisicamente dovesse tenere Kawhi potrebbe diventare un fattore decisivo per gli equilibri della Western Conference. Il percorso per i suoi Clippers non è facile, perché se dovessero riuscire a battere i Nuggets di Nikola Jokic di fronte ci sarebbe poi la corazzata chiamata Thunder e guidata da Shai Gilgeous-Alexander. Contro gli MVP di ieri e di oggi, però, Leonard tende a esaltarsi, chiedere a LeBron James e Kevin Durant per eventuali conferme. E non è impossibile immaginarlo impegnato a marcare sia il serbo che il canadese, a riprova di una versatilità unica il cui ricordo è offuscato dalle tante assenze delle ultime stagioni. Sul parquet, insomma, si potrebbe rivedere quello che negli anni Dieci era considerato un vero e proprio cyborg per la precisione chirurgica con cui faceva proprie le partite e per l’apparente assenza di emozioni anche nei momenti di massima tensione o di gioia sfrenata. Un cyborg di ormai quasi 34 anni e ora programmato con una sola missione: dimostrare a tutti che, in un mondo ormai abituato alla convivenza con l’intelligenza artificiale, è ancora in grado di essere il Terminator della NBA. GIANNIS ANTETOKOUNMPO: UN CROCEVIA VERSO IL FUTURO Rispetto a James, Curry e Leonard, Giannis Antetokounmpo ha dalla sua il fattore tempo, perché a trent’anni è al picco di carriera. Picco di carriera che traspare anche dalle statistiche mandate a referto in una regular season giocata a livelli da MVP. Rispetto alle tre stelle di cui sopra, però, il greco è nelle condizioni di dover trascinare una squadra palesemente in parabola discendente. A peggiorare la situazione di una Milwaukee già piuttosto malmessa, è sopraggiunta poi l’incognita che riguarda Damian Lillard, destinato probabilmente a saltare tutti i playoff per il coagulo trovato al polpaccio destro. Senza l’ex Portland Giannis dovrà da una parte caricarsi sulle spalle l’attacco, e dall’altro provare a colmare anche le lacune difensive dei Bucks, che di certo non mancano, magari trovandosi a marcare, almeno sui possessi decisivi delle singole partite, prima Tyrese Haliburton così come Pascal Siakam e, in caso di successo, i vari Darius Garland, Donovan Mitchell e Evan Mobley. Un’impresa quasi impossibile anche per un fenomeno assoluto come Antetokounmpo, che a fronte di una eliminazione probabile al primo turno e quasi certa al secondo potrebbe trovarsi costretto a pensare seriamente a un futuro lontano da Milwaukee. DONOVAN MITCHELL: IL MOMENTO È ADESSO Delle stelle che si giocano tutto o quasi a questi playoff, Donovan Mitchell è il più giovane, compirà 29 anni solo il prossimo settembre, è l’unico a non avere ancora un anello di campione NBA al dito ed è anche l’unico a non aver ancora compiuto il salto verso lo status di autentica superstar. Nelle sue prime sette stagioni da professionista, di cui cinque vissute con la maglia dei Jazz, Mitchell non è mai riuscito ad arrivare nemmeno alle finali di Conference. Il tutto a dispetto di singole prestazioni strepitose ai playoff, con vette da 50 punti come lo scorso anno contro Orlando e da 51 nel 2020 con Utah nella serie contro Denver. Reduce da una regular season in cui ha sacrificato le statistiche personali per favorire il rendimento di squadra, Mitchell sembra arrivato al massimo della sua maturazione tecnica e, al netto dell’importanza degli altri All-Star a roster e del peso del collettivo, è senza dubbio il leader di questi Cavs che puntano a giocarsi il titolo. E per tornare alle Finals, che a Cleveland mancano dai tempi di LeBron James nel 2018, ci sarà bisogno del miglior Mitchell, il che non significa che dovrà necessariamente tornare a dominare il tabellino. Arrivare fino in fondo a Est non sarà facile, perché i Celtics campioni NBA in carica non paiono avere alcuna intenzione di abdicare, ma per Mitchell il momento di reclamare il proprio posto nel gotha della lega sembra essere davvero arrivato.

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Dario Costa