Come Josh Hart è diventato l'idolo dei Knicks

Parlando con il suo compagno di squadra Mitchell Robinson, un giorno Josh Hart ha detto: "Tu prendi i rimbalzi normali, io prendo i rimbalzi che spezzano le squadre in due". Può sembrare una sparata da dire in spogliatoio, ma contiene un fondo di verità: Mitchell è uno di quei centri così lunghi che i rimbalzi gli finiscono tra le mani quasi per inerzia, complici i 213 centimetri di altezza e i quasi 225 che passano dalla punta di una mano all’altra; Hart invece supera a malapena il metro e 90, ma il suo incredibile fiuto per la palla gli ha permesso di sfiorare i 10 rimbalzi di media nell’ultima regular season, posizionandosi al 13° posto della classifica stagionale — scontando almeno 15 centimetri da tutti quelli che lo precedono. Nella storia della NBA solo Russell Westbrook è riuscito a recuperare più rimbalzi di lui pur superando a malapena l’1.90 , e con nove triple doppie in stagione Hart ha superato un record di franchigia di Clyde Frazier che durava da 56 anni. Un dato spiega più di qualunque altro lo stile di gioco di Hart: oltre a essere settimo per recuperi e decimo per deviazioni, ha recuperato più palloni vaganti di chiunque altro nella lega , posizionandosi in vetta per il cosiddetto "attack rate", cioè la quantità di campo che un giocatore ha percorso per recuperare un rimbalzo. A volte sembra che il pallone finisca tra le sue mani come una calamita, come se un’attrazione irresistibile lo porti a lui, ma sono molte di più le volte in cui Hart ci mette tutto quello che ha per dare anche il minimo vantaggio ai suoi, senza mai dare nulla per scontato. Uno stile di gioco che ha immediatamente catturato il cuore dei tifosi dei Knicks, che forse non avevano un giocatore nel quale immedesimarsi così tanto dai tempi di John Starks. Non appena è arrivato nel febbraio del 2023, sembrava che Hart non avesse mai fatto altro che giocare con la maglia di New York — come se un giocatore del genere non potesse trovare la sua consacrazione in nessun altro posto se non al Madison Square Garden. Non che si sia trattato male: dopo due anni ai Lakers in cui comunque si era fatto apprezzare, sia a New Orleans che a Portland aveva lasciato un buon ricordo — per quanto, inspiegabilmente, a un certo punto ai Blazers avesse deciso di smettere di tirare da tre punti quasi da un momento all’altro, venendo poi spedito ai Knicks. Tom Thibodeau non avrebbe potuto sperare in un giocatore migliore di lui per le sue caratteristiche. Dopo la passata stagione in cui è partito titolare per poco più della metà delle gare, quest’anno Hart ne ha giocate 77 con un minutaggio esploso a 37.6 minuti, diventati quasi 39 nelle otto gare disputate in questi playoff. Trentanove minuti sono tanti per qualsiasi giocatori, ma se si considera il tipo di intensità fisica e mentale che mette Hart su ogni possesso, lanciando il suo corpo su ogni palla vagante come se non dovesse conviverci per il resto dei suoi giorni quando avrà finito con la pallacanestro professionistica, il dato diventa ancora più impressionante. I playoff dei New York Knicks, avanti 2-0 nella serie contro i Boston Celtics dopo aver eliminato i Detroit Pistons in sei partite, hanno le sue impronte dappertutto. Ogni volta che c’è stato bisogno di una giocata di energia, di un tuffo su una palla vagante, di un rimbalzo offensivo in un momento cruciale o di un pallone conteso da conquistare, Hart si è sempre fatto trovare al posto giusto e al momento giusto. Sta tirando con percentuali eccezionali sia da due punti che da tre pur con volumi ridotti e nonostante le squadre avversarie abbiano ormai deliberatamente deciso di sfidarlo al tiro, "parcheggiando" su di lui il proprio centro per poterlo mandare in aiuto contro minacce più rilevanti come Jalen Brunson o Karl-Anthony Towns. Se ne parla troppo poco, ma ci vuole grande forza mentale per continuare a giocare al massimo livello possibile quando gli avversari ti mancano di rispetto così deliberatamente, con il retropensiero costante di essere un peso per la propria squadra e che ogni errore può costare la panchina immediata. Hart però ha imparato a conviverci e a sguazzare nelle pieghe delle partite: non avere un marcatore diretto gli permette di arrivare con ancora più slancio sui rimbalzi offensivi partendo da lontano, ma ancor più spesso Thibodeau aggira le scelte avversarie mettendogli il pallone tra le mani e fidandosi delle sue doti di playmaking. In questi playoff sta viaggiando a oltre 5 assist di media e nei finali di partita è lui a portare i blocchi a Jalen Brunson, costringendo le difese a fare delle scelte e liberando spazi per il suo compagno di podcast. Un’arma tattica che Thibodeau usa per mandare il peggior difensore in campo sulle tracce di Brunson, ma anche perché si fida ciecamente della capacità di prendere buone decisioni cestistiche di Hart. La scommessa di sfidarlo al tiro dei Pistons e dei Celtics, peraltro, non sta pagando particolari dividendi — sia per le percentuali dall’arco che Hart sta tenendo, sia per i momenti in cui ha segnato certi canestri. Sia in gara-1 che in gara-2 contro i campioni in carica è stato un suo canestro da tre a far partire la rimonta da -20, senza permettere mai agli avversari di adagiarsi su un vantaggio così ampio ma suonando la carica e dando la sveglia ai suoi compagni di squadra. In questi playoff solo in un’occasione non ha raggiunto la doppia cifra e non ha segnato almeno una tripla, e non c’è alcun dubbio che senza i suoi 23 punti con 9/15 al tiro i Knicks non avrebbero mai vinto gara-2 al TD Garden. Negli USA si usa la frase "To punch above one's weight" per descrivere una persona che va oltre le proprie capacità o risorse, mutuando l’immagine dal pugilato quando un lottatore di peso inferiore riesce a battere a sorpresa uno più forte e pesante. Nel caso di Hart però va intesa proprio in maniera letterale: la sua capacità di farsi largo in mezzo all’area è effettivamente quella di un giocatore molto più alto e grosso di lui, come se i 20 centimetri e i 20 chili che gli mancano anche solo per giocarsela ad armi pari con gli avversari venissero compensati dalla sua voglia di vincere. Arrivato alla soglia dei 30 anni, questo è un momento decisivo della sua carriera. I Knicks si sono ritrovati avanti 2-0 nella serie contro Boston e sono a due vittorie dalle loro prime finali di conference nel nuovo secolo. La prima occasione per conquistare il terzo successo nella serie arriverà sabato sera, quando si giocheranno gara-3 al Madison Square Garden in un ambiente che promette di essere quello delle grandi occasioni. Quelle in cui l’agonismo e la capacità di buttare il cuore oltre l’ostacolo, ancor prima della tecnica o della tattica, possono fare la differenza. Quelle in cui Josh Hart dà il meglio di sé.

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Dario Vismara