Non è più la NBA di LeBron, Steph e KD: il cambio della guardia è già avvenuto

Ce lo siamo chiesti a lungo. C’è chi ancora continua a chiederselo. Cosa accadrà quando la NBA non sarà più la lega dei LeBron, degli Steph, dei Kevin Durant? Loro tre, non a caso: quelli che non più tardi della scorsa estate abbiamo visti – decisivi – con la maglia di Team USA vincere un oro olimpico che sembrava aver già preso la strada di Belgrado . Fanno 10 anelli NBA e 7 titoli di MVP della lega combinati, 47 convocazioni per l’All-Star Game e una serie di record troppo lunga da elencare. Cosa succederà quando la NBA non sarà più trascinata da questi campioni, entrati nell’immaginario di tutti gli sportivi del mondo? Spoiler. È già successo. Non lo dico certo io, ma i risultati. I fatti. Basta leggerli. È dal 2016 che una di queste tre superstar non vince il titolo di MVP NBA. Dopo ci sono stati Westbrook e Harden , due volte Antetokounmpo , due volte Jokic , Embiid e ancora Jokic . Prima di quel 2016 era stato invece un dominio totale: ancora Curry , Durant e un poker di vittorie di LeBron intervallate soltanto dalla vittoria di Derrick Rose. Ma lasciamo da stare il premio di MVP, il basket d’altronde mica è un gioco individuale, conta la squadra che vince alla fine. Eppure anche qui: è dal 2022 che uno di loro non si mette l’anello al dito. L’anno dopo Suns e Warriors fuori al secondo turno di playoff, Lakers eliminati in quello successivo . L’anno scorso scenario analogo, se non peggiore. Curry i playoff li vede dal divano di casa , quelli di LeBron e Durant durano pochissimo, con la miseria di una singola vittoria in due racimolata nelle due serie di primo turno che vedono i Lakers soccombere 1-4 ai Nuggets e i Suns 0-4 ai Timberwolves. Per venire poi a quest’anno: a staccare prima di tutti il biglietto per Cancun è Durant, coi suoi Suns delusione dell’anno. LeBron incassa un’altra eliminazione al primo turno, Curry dura solo un turno in più, ma la semifinale a Ovest è il capolinea anche per lui. Nel frattempo la parata si è svolta per le strade di Denver, di Boston e quest’anno chissà dove ancora, ma sicuramente né a San Francisco, né a L.A. né a Phoenix. L'unica costante è il cambiamento “L’unica costante è il cambiamento” è una delle massime di vita che mi piace di più ricordar. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi chi pronosticava un futuro da sciagura per una lega senza più la rivalità delle rivalità, Magic Johnson contro Larry Bird. Poi è arrivato Michael Jordan. E ovviamente pure quando se n’è andato lui – la prima, la seconda e poi, infine, la terza volta – il ritornello era lo stesso, senza immaginare invece che saremmo restati in piedi nel cuore della notte per le triple di Steph, per la chasedown di LeBron, per i due "dagger" di gara-3 di Durant. Senza immaginare che un ragazzino dalle caviglie fragili di 1.88 avrebbe rivoluzionato il gioco; che la sua squadra avrebbe incarnato l’ultima dinastia del gioco; che la sua rivalità con LeBron sarebbe diventata un classico di giugno più di quella tra Lakers e Celtics, tra Magic e Bird . L'apocalisse no Questo per dire cosa? Che gli amanti degli scenari apocalittici forse farebbero meglio a guardare altrove . Il campo ci sta dicendo che la NBA non è più – già da qualche anno – la lega di LeBron, Curry e KD. Hanno vinto gli Antetokounmpo e gli Holiday, gli Jokic e i Murray, i Tatum e i Brown; tanti altri – da Luka Doncic a Kyrie Irving, da Jimmy Butler e Devin Booker – ci sono andati vicini; e altri ancora - Anthony Edwards e Shai Gilgeous Alexander, Jalen Brunson e Tyrese Haliburton ma anche, perché no, Mitchell e Sengun, Cunningham e Wembanyama, Morant e Banchero – vogliono farlo presto. Ha ragione Draymond Green quando ammonisce tutti per questa fretta, a suo dire eccessiva, “di voler voltar pagina, archiviare le imprese dei grandi veterani, e poi ritrovarsi un domani a rimpiangerli amaramente”. I parquet NBA però un messaggio lo stanno mandando: quella pagina è già stata girata. Archiviare non vuol dire dimenticare né tanto meno smettere di celebrare, i ricordi rimangono e sarà bellissimo farsene cullare, ma il gioco va avanti. E non mi pare che manchino le emozioni quando si tratta di playoff NBA.

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