Tyrese Haliburton è il degno erede di Reggie Miller (e ne avevamo bisogno)

Tyrese Haliburton è un grande appassionato di wrestling, e si vede. Come tutte le grandi faide della WWE, per ogni "face" ci deve essere un "heel" , e molto spetto la grandezza di certe storyline viene dato proprio dalla capacità del cattivo di farsi odiare dagli spettatori. Non basta interpretare il ruolo del "villain": bisogna abbracciare il ruolo del "villain", del guastafeste, di quello arrivato per rovinare tutti i piani. Era un ruolo che negli anni ’90 Reggie Miller ricopriva alla perfezione, e a trent’anni di distanza Haliburton si sta rivelando il suo degno erede — e non solamente perché entrambi sono alla guida degli Indiana Pacers. La gara-1 disputata da Haliburton e dai Pacers sul campo dei New York Knicks è sembrata quasi essere scritta come un fumetto per come si è svolta. Per la terza volta nell’ultimo mese i Pacers hanno rimontato sette punti di svantaggio negli ultimi 50 secondi di gioco, come era accaduto solo una volta nella storia dei playoff NBA dal 1997 a oggi. È successo nella decisiva gara-5 della serie contro Milwaukee; è successo di nuovo in gara-2 a Cleveland; ed è accaduto anche ieri notte. In tutte e tre le occasioni è stato Haliburton a segnare il canestro decisivo, a suggellare una cavalcata playoff in cui ha già segnato cinque tiri per pareggiare o vincere la partita negli ultimi 90 secondi come non accadeva da Kevin Durant nel 2011-12. Al di là dei dati, però, è il modo in cui Haliburton sta interpretando il suo ruolo a essere tipicamente reggiemilleriano, la sua più evidente forma di ispirazione. Non appena ha visto entrare il tiro della parità di gara-1 si è immediatamente portato le mani al collo per ricreare il "Choke Sign" che Miller aveva reso immortale nelle finali di conference del 1994, quando segnò 25 punti nel quarto periodo per guidare i suoi Pacers al 3-2 nella serie contro i Knicks litigando con Spike Lee in prima fila. Haliburton invece in prima fila ha individuato proprio Miller, presente a bordo campo come commentatore per TNT, indicandolo mentre esultava per dedicargli il canestro e raccoglierne l’eredità. Haliburton ha ammesso successivamente di aver esultato così perché pensava che il tiro fosse da tre punti e che, se si fosse reso conto che era solo per pareggiare, se lo sarebbe tenuto per un’altra volta. Da questo punto di vista, bisogna dirlo, ha ancora molto da imparare: Miller infatti fece il "Choke Sign" nei confronti di Spike Lee mentre un compagno di squadra stava tirando dei tiri liberi e, sopratutto, quando mancavano ancora 8 minuti per finire la partita e le due squadre erano in parità. Da quel punto di vista c’è ancora del margine di crescita: Haliburton, invece, ha aspettato che mancassero due decimi di secondo alla fine del supplementare per lanciare il suo guanto di sfida, consegnando il pallone nelle mani di Karl-Anthony Towns da una rimessa come ultimo sfregio, consapevole che con due decimi di secondo non avrebbe potuto fare alcunché. Ma l’intento e la volontà di diventare il nuovo "nemico pubblico numero 1" di New York è evidente, e in un’era in cui le superstar sembrano più interessate a non sporcare il foglio che a modellare la propria identità anche in maniera "negativa", è un atteggiamento da apprezzare anche se lo si odia. Proprio come Miller godeva nell’essere il nemico, che fosse dei Knicks oppure dei Chicago Bulls di Michael Jordan. In una post-season in cui un sondaggio anonimo tra i giocatori NBA lo ha incoronato come il più "sopravvalutato" della lega , Haliburton ha dimostrato partita dopo partita di non aver paura di nulla e di fregarsene del giustizio degli altri, salendo di livello quando necessario. I Pacers sono modellati a sua immagina e somiglianza anche nella sua assenza: è abbastanza normale vederlo costeggiare ampi tratti di partite in cui non tira e non attacca, una sorta di supervisore dei lavori mentre gli altri fanno il grosso della legna. Ma il suo modo di intendere la pallacanestro — sempre a testa alta, a ritmi frenetici, sempre pensando prima al passaggio e poi al tiro, e con un cinismo raro nel sfruttare ogni singolo vantaggio non appena si presenta — permea tutto quello che i Pacers fanno in campo e li ha riportati in finale di conference dopo quella di un anno fa. Un anno in cui Haliburton ha fatto e disfatto la sua immagine pubblica. All’inizio della passata stagione era sulla bocca di tutti, leader di una versione dei Pacers entusiasmante e capace di arrivare fino alla finale della prima NBA Cup. Poi sono arrivati mesi bui coincisi con un infortunio al bicipite femorale mai del tutto guarito, ma sul quale ha dovuto continuare a giocare per non perdere i soldi dell’estensione di contratto al supermax che pensava di meritarsi. L’esperienza con Team USA a Parigi, poi, non è stata memorabile, visto che di fatto da 12° uomo della spedizione non ha mai visto il campo per le sue limitazioni difensive . E anche in diversi momenti di questa stagione è sembrato muoversi a tentoni, come se avesse paura di spaccarsi da un momento all’altro per una condizione fisica precaria, attaccando pochissimo il ferro e mancando la convocazione all’All-Star Game senza che nessuno gridasse allo scandalo. I playoff, come abbiamo visto, hanno completamente ribaltato la situazione. Rimane solo un precedente da esorcizzare. Pur essendo andati avanti per 3-2 in quella serie di playoff del 1994, infatti, i Pacers di Miller finirono per perdere in gara-7, a un passo dalle prime Finals della loro storia. Un precedente che Haliburton vorrebbe evitare di ripetere, visto che la possibilità di riportare la squadra in finale per la prima volta dal 2000 non è mai stata così concreta. La strada è ancora lunga, visto che i Knicks al netto di tutto erano avanti di 17 a metà ultimo quarto, sintomo che la partita comunque l’avevano quasi vinta, e che i valori in campo sono in grande equilibrio. Occasioni in più per continuare a consolidare la fama di Tyrese Haliburton come nuovo “villain” della NBA.

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