NBA, dall'infortunio alle Finals: Chet Holmgren racconta il suo viaggio

Il percorso di Chet Holmgren in NBA non ha niente di tradizionale sin dal primo giorno. Nei giorni di avvicinamento al Draft del 2022 c’era grande incertezza attorno agli Orlando Magic, che alla fine sorpresero un po’ tutti scegliendo Paolo Banchero alla 1 invece del più quotato Jabari Smith Jr. Un pensiero che invece non ha minimamente sfiorato gli Oklahoma City Thunder, che con la numero 2 erano assolutamente certi di voler puntare su Holmgren — anche nel caso in cui Banchero fosse finito alla 2, con ogni probabilità. OKC ha dovuto attendere molto per vederlo in campo. La sua intera stagione d’esordio è andata perduta per via di un infortunio al piede rimediato in un’amichevole estiva nel tentativo di difendere contro LeBron James, rimandando al 2023 il suo esordio in NBA. Aspettare è diventata fin da subito una delle qualità migliori di Holmgren, che anche al suo secondo anno in NBA ha dovuto fare i conti con un infortunio grave e fastidioso. La sua regular season 2024-25 era cominciata forte, viaggiando a oltre 18 punti, 9 rimbalzi e 3 stoppate di media nelle prime nove partite, salvo poi subire una frattura alla cresta iliaca dell’anca destra. "In quel momento non avevo voglia di guardare delle partite di basket in diretta, ho preso una pausa di un paio di settimane", ha detto Holmgren alla vigilia di gara-1 delle NBA Finals, ripercorrendo il suo percorso dopo l’infortunio. "Davo un’occhiata al telefono, mi facevo delle grandi dormite per poi svegliarmi e ricominciare tutto da campo, così fin quando ho potuto ricominciare a camminare. È stato difficile, davvero difficile. Cercavo di mangiare sano e, a dire il vero, andavo solo su YouTube a guardare filmati o azioni o qualsiasi cosa mi venisse in mente. Ma per il resto ho staccato". Mentre i suoi compagni continuavano a macinare vittorie su vittorie, Holmgren è rimasto fermo per tre mesi prima di poter rientrare in campo, rigorosamente senza affrontare back-to-back fino a marzo. Un rientro meno entusiasmante rispetto a dove aveva lasciato, vedendo le sue cifre in leggero calo praticamente sotto ogni voce statistica, ma che ha dato un boost eccezionale a OKC specialmente nella metà campo difensiva, dove la sua protezione del ferro è un ingrediente cruciale per permettere ai suoi compagni di squadra di mantenere sempre altissima l’aggressività sul perimetro. Una volta cominciati i playoff, però, il rendimento di Holmgren è ricominciato a salire, così come il suo minutaggio. Sempre in doppia cifra nella serie contro Memphis, tra cui due prestazioni sopra quota 20; quattro doppie doppie in quella contro Denver, pur dovendo sempre prestare un occhio di riguardo a Nikola Jokic e pur faticando al tiro perimetrale ; infine tre prestazioni su cinque sopra quota 20 nella serie contro Minnesota, tirando col 62.5% effettivo dal campo e piegando la resistenza dei Timberwolves. "Penso che ogni partita ci abbia regalato una sfida nuova, una prospettiva particolare e cose diverse da imparare", ha detto. "Abbiamo fatto un buon lavoro nell’adattarci ogni volta, continuando comunque a giocare con il nostro stile. Durante la serie con Denver siamo di certo migliorati, ma penso anche che ogni serie sia diversa. Non si può paragonare una serie all'altra. Non importa tanto l’ordine temporale delle serie in cui giochi, perché tutto dipende da contro chi stai giocando. Di sicuro abbiamo imparato molto nella sfida con Denver e penso che arrivati a questo punto siamo una squadra migliore. E dobbiamo continuare a migliorare ancora". Dovendo individuare due momenti chiave di questa cavalcata che ha riportato i Thunder in finale, però, Holmgren ha pochi dubbi: "Ovviamente gara-7 contro Denver era una di quelle situazioni da ‘chi vince resta in corsa, chi perde va casa’ e credo che abbiamo risposto alla grande. E poi gara-4 con Minnesota, perché vincere quella ha significato andare avanti 3-1 nella serie invece che pareggiare sul 2-2. Quella vittoria è stata grandiosa, anche per il modo in cui è arrivata, con quel finale tiratissimo. Al di là di tutto, per noi è stato importante comprendere cosa siamo in grado di fare in situazioni come quelle, perché di certo ne incontreremo altre simili nel nostro futuro". Tutte esperienze che hanno reso Holmgren un giocatore migliore, per quanto sia solamente la sua seconda esperienza ai playoff. Di bilanci, però, ancora non se ne possono fare: "Sto ancora cercando gli aspetti dove posso essere più efficace per diventare un giocatore migliore. Devo continuare a migliorare nella lettura in tempo reale di ciò che le difese avversarie mi concedono e quindi agire di conseguenza. Ogni squadra ha la sua filosofia e difende su di te in maniera diversa: io voglio diventare più veloce nel riconoscere e comprendere queste situazioni, senza per forza dover vedere i filmati dopo la partita, per trarre il meglio da ogni situazione. Ma abbiamo ancora tante partite davanti e il mio unico pensiero consiste nel fare ciò che serve alla squadra. Il mio pensiero è rivolto a quello che serve alla squadra". Holmgren è protagonista oggi per i Thunder, capaci di tornare alle Finals a 13 anni di distanza dalla prima volta con Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden. “È un po’ surreale ed è difficile non pensare a quando stavo finendo le scuole elementari o a quando ho iniziato a giocare nel circuito AAU” ha raccontato Holmgren. “Allora tutti i ragazzini andavano pazzi per OKC, quella era una squadra esaltante. Erano divertenti da veder giocare e avevano dei campioni a cui noi ci ispiravamo, ed è davvero speciale per me adesso indossare la stessa maglia”. Una cosa che non è cambiata rispetto a quegli anni è il sostegno del pubblico di Oklahoma City: “È pazzesco, è come avere un sesto uomo in campo. L’unico svantaggio, se così vogliamo definirlo, è che a volte i tifosi fanno talmente casino che in campo non riesci nemmeno a comunicare con i tuoi compagni. Tifano per noi e tifano contro gli avversari, non riesco a pensare a una tifoseria migliore in tutto il mondo, in qualsiasi sport. In gara-2 contro Minnesota, quando nel 3° quarto abbiamo fatto un paio di parziali che hanno spaccato in due la partita, ho capito che stavamo facendo qualcosa di grande. Il pubblico di Oklahoma City rappresenta un grande vantaggio per noi e non vedo l’ora di scendere in campo al Paycom Center per le Finals". Un risultato a cui forse nemmeno lui poteva credere nei tre mesi lontano dai campi, e che invece oggi è l’assoluta realtà. Una realtà che Holmgren, proprio per quello che ha passato, non vuole dare per scontata: "Ogni volta che mi viene in mente quel momento penso: è stata dura, ma in fondo ero già passato attraverso qualcosa di simile in passato. A dire la verità ora sono concentrato sulla grande chance che abbiamo di fronte a noi, ma di sicuro posso dire che so bene quanto in questo sport non ci sia nulla di garantito. Mi sento fortunato a essere qui e lo apprezzo, anche per questo cerco sempre di dare tutto ciò che ho, in allenamento così come in partita". La consapevolezza, però, è che non sarà per niente facile: "Ovviamente è una sfida, è così che funziona nello sport e di certo in NBA. Altrimenti, se fosse facile vincere, ti darebbero un premio di partecipazione invece del Larry O’Brien Trophy. Devi capire cosa hai fatto fino a quel punto, ma il giorno dopo devi iniziare a voltare pagina e a prepararti. Devi fare ciò che è necessario per compiere il passo successivo. Ed è qui che ci troviamo noi ora”.

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