Luguentz Dort si racconta: "Dal calcio al Covid fino al sogno dell’anello"

Gli Indiana Pacers hanno un attacco imprevedibile in cui leggono più che eseguire: quanto sforzo mentale è necessario per difendere senza sapere cosa sta arrivando? "Non è facile per niente. Non sai mai cosa faranno là fuori: giocano un sacco di stili di gioco diversi e hanno tanti buoni giocatori. La cosa principale è rimanere concentrati e prestare attenzione a ciò che c'è di fronte a noi, al modo in cui stanno giocando e alle situazioni di gioco che vogliono esplorare. Ci vuole molta durezza mentale, sicuramente: in quei momenti la cosa più importante è rimanere uniti". Se non sbaglio, sei cresciuto giocando anche a calcio come portiere. Quell'esperienza ti ha aiutato in qualche modo a diventare quello che sei ora? "Forse, un po’. Il calcio è soprattutto una questione di piedi, quindi direi probabilmente il mio gioco di gambe ne ha beneficiato. In realtà giocavo da portiere, quindi stavo un po’ più fermo rispetto agli altri, ma comunque direi che ha avuto il suo impatto, specialmente in difesa". Penso anche che significativa sia stata la tua transizione da Montreal, dove sei cresciuto, a Jacksonville in Florida, passando per tre diverse scuole di preparazione. Cambiare ambiente ti ha aiutato ad avere successo? "È stato un percorso diverso dalla norma. Trasferirsi così spesso da giovane è stata dura, ma sento che mi ha aiutato e mi ha plasmato come un uomo. Sono uscito di casa a 16 anni andando in un altro paese e all’inizio riuscivo a malapena a parlare inglese, quindi è stato difficile. Ma fa tutto parte del percorso: tutti i posti in cui sono andato mi hanno aiutato a diventare il giocatore che sono oggi, e sono grato per tutto ciò". Personalmente ammiro il modo in cui riesci a camminare sulla linea sottile tra l'essere fisicamente e mentalmente molto duro e implacabile in queste finali, senza però essere mai sporco. Quali sono i principi che non vuoi sacrificare per essere in quel modo e non nell'altro modo? "È solo che voglio giocare nel modo giusto e fare tutto il possibile per aiutare la mia squadra a vincere. Sono un giocatore fisico, sicuramente, e sono là fuori per fare quello che devo fare per la mia squadra. E poi ogni volta che gioco in quel modo sento di dare alla mia squadra la migliore possibilità di vincere la partita". Quanto lavoro mentale e quanto lavoro tecnico c'è dietro per passare dai playoff del 2020, in cui i Rockets ti sfidavano al tiro, al tiratore che sei oggi? "Un po' di entrambi. L’esperienza aiuta molto: ero davvero giovane, quella è stata la mia prima volta ai playoff, e ciò che è successo mi ha aiutato molto a lavorare sul mio gioco. Ho analizzato come le squadre avversarie mi hanno marcato negli ultimi anni, e ora che il mio gioco si è evoluto mi sento molto più sicuro là fuori". La pandemia e la bolla sono state importanti nel tuo sviluppo: come sei riuscito a fare un salto di qualità in quel periodo? "Era il mio anno da rookie e avevo ancora un contratto two-way quando tutto è stato chiuso. Sono dovuto tornare nella casa in cui sono cresciuto, che non era la casa migliore per un giocatore NBA. Ma ho continuato a lavorare e a lavorare preparandomi per la bolla, potendomi concentrare su quello che serve per avere successo in NBA. Questo mi ha aiutato molto per i playoff e per tutto il percorso nella bolla, arrivando con un altro spirito alla off-season vera e propria". Si parla sempre di essere altruisti in attacco, ma lo stesso vale per la metà campo difensiva. Qual è la tua opinione a riguardo? "Abbiamo un sacco di ragazzi che possono difendere ad alto livello nella nostra squadra: siamo molto orgogliosi della nostra difesa, comunichiamo molto. Io in particolare voglio sempre avere il giocatore più difficile da marcare, ma abbiamo tanti ragazzi che possono difendere. Se comunichiamo nel modo giusto, andrà tutto per il meglio".

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