Oklahoma City, un titolo per la Storia (con la S maiuscola)

Se arrivate a Oklahoma City, vi dicono di andare a visitare il National Memorial Museum. Un po’ perché in città non c’è molto altro da fare. E un po’ perché la Storia, quella con la S maiuscola, è passata di là, e se si arriva fino a Oklahoma City non esserne testimoni viene considerato quasi un oltraggio. A me è capitato – era il 2012, l’anno delle prime finali NBA dei Thunder, quando in città c’erano Russell Westbrook e Kevin Durant e gli shop attorno all’arena vendevano posticce barbe nere da indossare in onore di James Harden. Anche la tessera per entrare nella mia camera d’albergo – questa - era dedicata ai Thunder. Ovviamente andai a visitare il National Memorial Museum. Perché la storia della città passa da lì, vi dicono. Da quell’esplosione delle 9:02 del mattino del 19 aprile 1995. Da quei 168 morti , da quei 684 feriti, dalla quasi completa distruzione di un edificio – l’Alfred P. Murrah Federal Building – che poi verrà infatti demolito. Il più grave attentato terroristico sul suolo americano se si eccettua l’11 settembre e l’attacco alle Torri Gemelle. Prima ancora del via di queste Finals, nelle primissime conferenze stampa del 1 giugno, sia coach Daigneault che Alex Caruso hanno ricordato le rispettive esperienze in visita al museo. Sam Presti – l’architetto dei Thunder campioni NBA – organizza come prima cosa una visita al memorial per qualsiasi giocatore la squadra metta sotto contratto, anche se solo per dieci giorni. La storia di Oklahoma City, vi dicono, è nelle testimonianze di quella tremenda mattinata, nelle 168 sedie vuote che vi ritrovate a contemplare in silenzio, nel gigantesco arco di bronzo su cui sono cristallizzati due orari – le 9:01 e le 9:03 . Ed è vero: la storia di Oklahoma City passa da lì. Ma non solo. Se cercato il nome di Will Rogers nel roster dei Thunder non lo trovate. Non lo trovate neppure tra quelli dei giocatori NBA . Dove invece trovate il nome di Will Rogers è – in maniera quasi beffarda – nella celebre Walk of Fame su Hollywood Boulevard, a Los Angeles, in California. Lì c’è la stella color oro a lui dedicata, per l’instancabile attività di attore in oltre 70 film che negli anni ’30 lo fecero diventare la star più pagata di Hollywood. E proprio negli anni ’30 - quando una serie di tempeste di sabbia alimentate dai terribili venti locali infuriarono sull’Oklahoma spingendo centinaia di migliaia di contadini a emigrare proprio verso la California – Will Rogers pronunciò una delle frasi per cui ancora oggi è ricordato: “Gli abitanti dell’Oklahoma che si sono trasferiti in California durante le Dust Bowl hanno finito per innalzare il quoziente intellettivo di entrambi gli Stati”. E se non è certo un complimento ai braccianti suoi conterranei costretti a emigrare, ancora meno lo è per gli abitanti della West Coast. E proprio qui sta il punto. La vittoria dei Thunder, espressione di una città – Oklahoma City – che rappresenta solo il 42° mercato per dimensioni di tutti gli Stati Uniti, è una vittoria dei piccoli contro i grandi, e non c’è una metropoli più grande proprio di Los Angeles. Che anche solo pochi giorni prima della festa di Gilgeous-Alexander e soci ha fatto di tutto per strappare i riflettori ai Thunder, a colpi di milioni, anzi, di miliardi. Dieci, come quelli che serviranno al nuovo gruppo entrante – TWG Global – per acquistare i Lakers dalla famiglia Buss. Avete letto bene: 10 miliardi di dollari, e i gialloviola non erano neppure la squadra in testa per valutazione alla consueta lista di Forbes . Oklahoma City? Solo ventunesima, su trenta, con un valore che è all’incirca la metà di quello delle due squadre californiane. Per questo l’anello 2025 è una rivincita che ha molto a che vedere con un parola che conta tanto, in America e in NBA: status. Oklahoma City non sarà mai grande come Los Angeles, o San Francisco; non sarà mai cool come loro, né tanto meno ricca, o capace di influenzare mode, tendenze e costumi. Può essere però espressione di un’intelligente diversità, quella che ho ritrovato nelle parole di S. E. Hinton, scrittrice dell’Oklahoma che in Oklahoma ha ambientato tutti i suoi romanzi . Hinton ricorda infatti di aver chiesto al figlio – prima studente in un college sulla East Coast, poi stabilitosi sulla West Coast – cosa apprezzasse in particolare del suo essere cresciuto in Oklahoma. “Quando vivevo ad Hartford [in Connecticut, al tempo del college, nda] tutti sembravano condividere i pensieri che filtravano da New York City. A San Francisco, quello che si pensa in città è quello che tutti pensano. A Tulsa, invece, potevo usare il mio cervello per crearmi la mia personalissima opinione”. Sam Presti non è cresciuto in Oklahoma – viene dal Massachusetts – ma forse avendo trascorso qua gli ultimi 17 anni della sua vita ha fatto sua questa caratteristica degli Hoosiers : perché c’è molta indipendenza di pensiero nel modo – diverso da quello di tutti gli altri - in cui ha costruito questi Thunder, una squadra non solo capace di vincere oggi ma nelle migliori condizioni possibili per provare a continuare a farlo anche in futuro. L’Oklahoma City Bombing. Le Dust Bowl. Will Rogers. S. E. Hinton. Non è facile tenere tutto assieme, non è facile coniugare la Storia con le storie, e provare a trovare i punti di contatti con questi Thunder. Forse però c'è un’ultima storia che si può aggiungere. Partendo proprio da Will Rogers, che come tanti Oklahomans aveva sangue Indiano, nello specifico Cherokee. La famiglia della madre era arrivata in quella che oggi chiamiamo Oklahoma attraverso il Sentiero delle Lacrime, com’è ricordato l’esodo forzato di oltre 60.000 nativi dalle proprie terre a seguito dell’Indian Removal Act del 1830. Stessa sorte toccò a Hiram Thorpe, membro della tribu Sac e Fox, che nel gelido inverno del 1871 camminò per tre settimane per raggiungere l’attuale Oklahoma dal Kansas. Se il nome non vi dice molto, meno ancora con ogni probabilità lo farà quello del figlio – o meglio, quelli del figlio. A cui venne assegnato un nome inglese , uno latino ma soprattutto uno in lingua sauk . Passerà alla storia, sportiva e non solo, con il diminutivo del suo primo nome, quello inglese: Jim Thorpe. Se Rogers ancora oggi è conosciuto come “il figlio prediletto dell’Oklahoma”, la definizione di “più grande atleta del mondo” a Jim Thorpe gliela diede invece niente meno che re Gustavo V di Svezia sul podio delle Olimpiadi del 1912 di Stoccolma, dove Thorpe aveva appena vinto l’oro nel pentathlon e nel decathlon . Nato nel 1887, tre anni prima che la land run portò nel giro di sole 12 ore oltre 12.000 persone a stabilirsi e fondare quella che oggi viene chiamata Oklahoma City, Jim Thorpe è senza alcun ombra di dubbio lo sportivo più celebre nella storia della Stato, con buona pace dell’impresa appena compiuta da Shai Gilgeous-Alexander, Jalen Williams e tutti gli altri “oklahoman” adottivi. C’è però un legame che lega il primo eroe sportivo a questi più recenti, e sta proprio nella sua discendenza e nel nome. Se non addirittura sua nipote, la nonna paterna di Jim Thorpe, No-ten-o-quah, appartiene allo stesso clan del grande capo guerriero dei Sauk Falco Nero. E il clan è quello del Tuono. Thunder.

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Mauro Bevacqua