Fontecchio: "Non vedo l'ora di tornare a giocare per l'Italia. Gli Heat? Un sogno"

Tra Miami e Pescara ci sono più di 5300 miglia di distanza. Al 'cambio' sono più di 8500 chilometri, colmati nello spazio di un tiro. Simone Fontecchio si prepara a riabbracciare la nazionale dopo essersi trasferito in Florida, al termine di un'annata con la maglia dei Detroit Pistons che non è andata nel migliore dei modi da un punto di vista personale. Gli Heat, che sono anche la squadra per cui tifava da bambino, rappresentano una specie di ultima chance per Fontecchio in NBA, arrivato all'ultimo anno del suo contratto e chiamato a disputare una grande stagione a South Beach per conquistarsi un altro giro negli Stati Uniti. Prima di Miami, però, c'è da pensare alla preparazione estiva con l'Italia, che scenderà in campo per gli Europei a fine agosto, in un girone insidioso con Spagna, Grecia, Bosnia-Erzegovina, Georgia e Cipro, ma soprattutto con la voglia di dedicare qualcosa di importante ad Achille Polonara, che non potrà far parte della spedizione. Benvenuto su Sky Sport. Come stai? "Grazie. Sto molto bene, per la prima volta in tre estati. Sono contento". Quali sono state le tappe da quando sei partito dagli Stati Uniti a oggi? "Prima di tutto abbiamo impacchettato le nostre cose, perché non sapevamo se saremmo rimasti a Detroit, cosa che io non volevo. Poi siamo tornati a casa, che per noi è Bologna, dove siamo rimasti un mesetto tra famiglia e amici. Nel frattempo ho ricominciato ad allenarmi. Dopodichè siamo venuti a Pescara, dove passiamo sempre del tempo durante l'estate, per lavorare e staccare un po', oltre a stare con la famiglia". Quanto tempo riesci a stare senza allenarti? "Due settimane, al massimo, poi comincio a fremere. Sono contento perché quest'estate abbiamo fatto con Matteo un lavoro specifico per arrivare al training camp della nazionale nella migliore forma possibile. Per la prima volta non ho avuto problemi fisici, quindi abbiamo potuto concentrarci su ogni singolo step anche in sala pesi e in palestra. Sono molto soddifatto della preparazione che abbiamo fatto". Per passare dalla LBA alla NBA hai dovuto lavorare sul fisico ma anche ovviamente sulla parte tecnica, altrimenti non saresti arrivato negli Stati Uniti. Su quali aspetti ti sei concentrato di più? "In sala pesi abbiamo fatto un lavoro di ipertrofia all'inizio, che si è poi trasformato in lavoro di forza e ora, nell'ultima fase, di esplosività. Per quanto riguarda il lavoro tecnico ho lavorato un mese e mezzo con Adam Filippi, che sono ormai tre anni che ci alleniamo insieme durante l'estate. Ci siamo concentrati come al solito sul tiro ma abbiamo anche lavorato per riprendere un po' di dimestichezza con la palla, visto che il mio ruolo e le mie responsabilità quest'anno a Detroit erano un po' calate, dove mi era stato chiesto di fare solo lo spot up player e di tirare sugli scarichi. Abbiamo cercato di trattare la palla il più possibile, uscendo dalla mia zona di comfort, con conseguenti arrabbiature perché quando non sei più abituato a fare certe cose all'inizio non ti riescono. Però dopo un po' di lavoro mi sono sentito di nuovo me stesso ed è stata una bellissima sensazione". Dopo quest'ultima stagione, quali sono le cose che hai capito di dover fare per rimanere nella NBA ancora per qualche anno? "Per il mio ruolo devo cercare di essere più continuo possibile al tiro, anche se non mi ritengo un tiratore puro, come può essere Duncan Robinson o in passato Marco Belinelli. La lega è piena di specialisti, a me risulta difficile entrare e fare subito canestro da tre punti a ripetizione. Infatti la stagione dove ho tirato meglio è stata la seconda a Utah, perché ero consapevole di essere in campo per fare altro, per difendere spesso sull'avversario più pericoloso e in attacco per fare la giocata che potesse creare equilibrio per i miei compagni. In campo ero più sereno, anche se avessi sbagliato i primi tre tiri coach Will Hardy non mi avrebbe tolto e avrei avuto modo di rifarmi. A Detroit venivo messo in campo solo per quello: è capitato di sbagliare le prime conclusioni e di non avere più modo di rientrare in campo. È una situazione che ho sofferto a livello mentale, sul lungo periodo mi ha fatto perdere gli stimoli e la motivazione". Stai per iniziare il tuo quarto anno in NBA, è un po' cambiata la tua percezione per le stagioni che hai vissuto finora rispetto all'esordio? "Assolutamente no, la NBA è sempre una figata. La differenza sta nel fatto che ora so cosa mi aspetta, so a cosa vado incontro e quanto mi devo rimboccare le maniche. Lo pensavo anche all'inizio ma finché non ci sbatti la testa non te ne rendi davvero conto. Sono consapevole anche che è il mio ultimo anno di contratto, e quindi potenzialmente anche il mio ultimo in NBA. Spero non sia così. Però è un campionato dove c'è talmente tanta competizione che se non rendi, soprattutto nell'ultimo anno di contratto, poi è molto complicato trovare un'altra franchigia per la stagione successiva. Mi affaccio alla prossima con la voglia di godermela al massimo e con l'intenzione di fare tutto il possibile per allungare la mia carriera in NBA". Come hai reagito quando hai saputo che saresti andato ai Miami Heat? Era una meta che ti aspettavi? "Immaginavo sarebbe successo qualcosa, perché tramite il mio agente avevo espresso la mia volontà di cambiare. Per questo ringrazio Trajan Langdon per aver accettato le mie richieste: da uomo di sport si è reso conto che le cose in questa stagione non hanno funzionato e con il dispiacere di tutti, ma sempre con la massima professionalità, si è deciso di cambiare. Il mio entrourage mi aveva fatto sapere che c'era qualche squadra interessata e che qualcosa avrebbe potuto muoversi a breve, ma non ho capito fino all'ultimo momento quali fossero. L'ho scoperto solo a notte fonda, controllando il telefono per scrupolo mentre ero a letto: ho saputo che sarei andato agli Heat dai post su Twitter e Instagram". Crescendo Miami era la tua squadra preferita. Come hai preso la notizia? "Inizialmente molto contento. Poi però ho pensato alla mia famiglia e a tutto il cambiamento e un po' di panico è arrivato, nonostante ci fosse già in programma di lasciare Detroit. Sono felice. Sono convinto che a Miami le mie bambine staranno molto bene. Gli Heat sono la franchigia che tifo da quando ho 10 anni, per me è un sogno che si realizza. Spero di poter vivere questa esperienza in modo felice, con la tranquillità che un giocatore NBA di solito non ha. Sto cercando di impormelo ". Lasciamo stare Miami ancora per qualche mese. Quanto ti è mancata la nazionale l'anno scorso? "Tanto. Mi sono mancati i ragazzi. Mi è mancato il gruppo. Mi è mancato di provare ad andare a Parigi per un'Olimpiade che sarebbe stata meravigliosa, per la città e per le avversarie. Non vedo l'ora di tornare e di rivivere quelle dinamiche che ormai non provo da un paio d'anni". Spesso si parla del gruppo e di come voi state bene insieme. Quanta comunicazione c'è con i ragazzi della nazionale durante l'anno? Avete una chat di gruppo? "Non tanta, devo dire la verità. Ci sentiamo un po' con tutti ma non abbiamo una chat. La cosa 'magica' è che pur non essendo in contatto per un anno, ogni volta che si sta insieme ci troviamo a occhi chiusi, soprattutto in campo. Sono stati bravi gli allenatori, a partire da Meo , che ha saputo forgiare questo gruppo nonostante le assenze che avevamo al preolimpico di Belgrado: riuscire in quell'impresa ha creato e cementato dei rapporti indelebili. Una cosa che mi fa soffrire al solo pensiero sarà l'assenza di Achille Polonara all'Europeo, credo ci mancherà tantissimo, soprattutto quando saremo tutti insieme". Poco tempo fa hai raccontato che quando scendi in campo con la maglia della nazionale non hai paura. C'è un'altra squadra in cui hai giocato che ti ha trasmesso questa sensazione? "La stagione che ho vissuto a Berlino le si avvicina parecchio, per il cameratismo che avevamo sviluppato. Ricordo che passavamo davvero tanto insieme durante le trasferte, perché non avendo il budget delle big d'Europa ci muovevamo con Ryanair o in treno in giro per tutta la Germania, e abbiamo avuto modo di creare un gruppo che alla fine ha vinto anche il campionato contro il Bayern Monaco. La nazionale mi fa stare sereno e tranquillo, mi fa vivere le esperienze al massimo. Quando abbiamo giocato l'Europeo a Milano nel 2022 ricordo che lo vissi con particolare serenità, nonostante il fatto di giocare in casa potesse portare ansia o timore". Siete lo stesso gruppo che è arrivato a un passo dalle semifinali agli ultimi Europei, a cui aggiungete un giocatore NBA come DiVincenzo e diversi giovani che sono cresciuti. Come può cambiare la squadra? Fin dove potete arrivare? "Aggiungere un tassello come Donte ci darà una mano enorme, soprattutto in attacco. Anche a livello caratteriale è un giocatore che può darci una spinta, perché è un ragazzo che ha fiducia nei suoi mezzi e che è in grado di trasmetterla anche a chi gli è di fianco. Credo che all'interno del gruppo le gerarchie siano già delineati, con Gabriele Procida e Matteo Spagnolo chiamati ad avere sempre più responsabilità, com'è giusto che sia. La loro crescita ci dà una versatilità che negli ultimi anni ci è mancata e anche la maturazione di Momo Diouf può essere un'aggiunta importante dal punto di vista della fisicità e una chiave tattica per questo Europeo. Sarà fondamentale capire durante la preparazione come ci troviamo tutti insieme e come giostrare il tutto, ma quello spetterà a coach Pozzecco. Le possibilità per fare bene ci sono". In Europa c'è un altro tipo di fisicità rispetto alla NBA. Tu sei il '3' di questa squadra ma puoi fare anche il numero '4'. Hai una preferenza? "Onestamente mi è sempre piaciuto giocare tanto da '3' perché mi ci trovo meglio a livello di spazi. Per tutta la mia carriera però ho quasi sempre finito le partite da '4', soprattutto quando si decidono nel finale. Quindi è una cosa che per me è indifferente". Non sembrate il gruppo che va a controllare il roster delle altre squadre. Però, ci sono Spagna e Grecia con cui giocarsi il primo posto, poi Georgia e Bosnia-Erzegovina con i loro nuclei storici. Dove vedi l'Italia in questo girone? "È un girone insidioso, perché sembra abbordabile sulla carta ma non lo è per niente. A parte Cipro, che è il paese ospitante, tutte le altre sono squadre di livello che possono metterci in difficoltà. Ogni partita andrà affrontata con rispetto e attenzione, soprattutto quelle contro Bosnia e Georgia, che come noi sono gruppi che giocano insieme da molto tempo e possono farci uno sgambetto. Bisogna prepararsi molto bene". Berlino per te è stata una città di gioie, con l'Alba, e di dolori, con la sconfitta contro la Francia agli ultimi Europei. Ci pensi ancora? Quanta voglia di rivalsa c'è? "Ogni volta che gioca la Francia in generale guardo il loro roster, perché comunque sia alle Olimpiadi di Tokyo sia agli Europei di Berlino 2022 siamo usciti contro di loro. In generale devo ammettere che non mi stanno molto simpatici. È l'unica nazionale che tengo sempre d'occhio, delle altre non mi interessa tanto. Detto ciò, non penso troppo a Berlino e a quei tiri liberi sbagliati, perché mi hanno sempre insegnato che le partite non si perdono per un episodio, ma per una serie di cose. È chiaro che ogni tanto mi torna in mente, però penso che magari avremmo perso lo stesso, quindi è inutile stare a rimuginarci troppo. Sul momento ero disperato, certo, però per come sono fatto io non ci sto troppo a pensare. Un'ultima domanda, molto personale. Hai perso tuo nonno pochi mesi fa, questa perdita ti ha cambiato umanamente? Cosa state facendo in sua memoria a Pescara? "Non so dire se mi ha cambiato, di certo mi ha fatto molto male. E lo fa tuttora. Mio nonno era una delle poche persone di cui ascoltavo veramente i consigli, perché avevo la sensazione che qualsiasi cosa mi dicesse fosse solo per il mio bene. È doloroso andare in campo sapendo che lui non mi guarderà da casa. A Pescara stiamo ristrutturando un campetto dove lui giocava negli anni '60, quando ancora in città non esisteva un palazzetto. È un piccolo gesto ma per me e la mia famiglia è molto significativo, infatti ringrazio tanto l'associazione giocatori NBA per l'aiuto che ci sta dando e il Comune di Pescara, che si è dimostrato di grande supporto per questo progetto".

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Fontecchio: "Non vedo l'ora di tornare a giocare per l'Italia. Gli Heat? Un sogno"

Alessandro Mamoli