La vendita dei Celtics: cifre e contesto

Non si può negare che la notizia ci sia, e pure doppia. La prima è che sono stati ceduti i Boston Celtics, e succede ben di rado. L’ultima volta prima di questa, infatti, era successo nel 2002, quando la franchigia passò di mano in cambio di 360 milioni di dollari . La seconda è che questo passaggio è avvenuto in ragione di una somma dieci volte superiore a quella pagata nel 2002: 6 miliardi e 100 milioni di dollari. Anzi, per la verità secondo Axios la valutazione finale dell’asset raggiungerà i 7 miliardi e 300 milioni di dollari quando, nel 2028, l’operazione verrà definitivamente chiusa. Cifre record, che mi pare opportuno far marinare con un punto e a capo. Il valore di quelle cifre Spieghiamole così: nel periodo in cui i Celtics hanno accresciuto il proprio valore, certificato dal mercato, di diciassette volte, l’indice S&P 500 è cresciuto di sei volte, praticamente un terzo. Più che snocciolare cifre, però, è importante fornire loro un contesto. Il primo modo di farlo è ricordare che i Celtics non hanno un’arena di proprietà e il loro monte-salari futuro è come minimo impegnativo . Ancora più importante è cercare di capire chi ha comprato a queste cifre. La risposta più gettonata è che il fortunato sia Bill Chisholm, co-fondatore di Symphony Technology Group, compagnia di private equity . Naturalmente la giornata di giovedì, quella dell’annuncio, ci ha portato il racconto dell’infanzia nel Massachusetts di Mr. Chisholm, naturalmente tifoso della squadra del trifoglio dalla più tenera età e orgoglioso figlio dello Stato della Nuova Inghilterra. Symphony, però, non opera esattamente a Copley Square o Quincy Market, ma nella Silicon Valley. Laddove gestisce asset per circa 10 miliardi, una cifra non lontana dal valore dei Celtics. Per dare un’idea, la più importante compagnia di private equity del momento in pancia ha 1,1 trilioni di dollari. Che sono un bel po’ di milioni di miliardi più della raccolta di Symphony. I partner Quanto sopra ci dice alcune cose che sono interessanti almeno quanto le passioni giovanili di Chisholm. La prima è che un investimento come quello fatto per i Celtics non si fa da soli. E infatti Chisholm solo non è. Tra i suoi partner c’è infatti Rob Hale di Granite Telecommunications già più grandina delle altre due che all’inizio di questa settimana ha finalizzato l’acquisizione del 10% dei San Francisco Giants della MLB. Di più: Sixth Street ha anche una partecipazione nei San Antonio Spurs, ovverosia una franchigia che compete nella stessa lega dei Celtics. Non fate un salto sulla sedia, oggi è del tutto normale. Almeno nella misura in cui questi azionisti non hanno alcuna voce in capitolo rispetto all’operatività della società e l’NBA fa da garante che non creino situazioni inopportune. A soggetti come Sixth Street, e all’NBA, interessa la redditività dell’investimento, che come abbiamo visto all’inizio sembra abbastanza garantita . Prima di liquidare tutto come un qualcosa di troppo lontano dalla nostra realtà, ci penserei bene. Certo, oggi la distanza tra i due universi è cospicua, ma ragionando sull’oggi non si diventa quello che l’NBA è diventata. E l’NBA ragiona sul domani e su altri territori. Ad aggiudicarsi uno dei brand sportivi più iconici di sempre è stato un gruppo che non ha interessi primari a Boston, come per esempio ha invece l’azionista di maggioranza dell’Atalanta Steve Pagliuca, che competeva per aggiudicarsi i Celtics. I nuovi azionisti dei Celtics non hanno neppure un passato nello sport, a differenza della famiglia Friedkin , anch’essa battuta. È però difficile pensare che Pagliuca e Friedkin siano venuti da questa parte dell’Oceano per caso. E ancora più difficile è che le proprietà non europee che operano nel nostro continente non ispirino a breve un riassetto completo dell’ecosistema sportivo. Poco conosciuti, ma credibili Il frontman del gruppo che ha acquisito i Celtics è un soggetto poco conosciuto ma credibile per il suo passato nel New England. I veri protagonisti sono però quelli che rimangono volentieri dietro le quinte. E che rappresentano l’origine delle cifre da cui siamo partiti. Dove infatti ci sono loro, ci sono sia le risorse sia gli stimoli per la crescita . Nel marzo del 2016 Joe Lacob, partner nel 2002 di Grousbeck nell’acquisto dei Celtics e oggi proprietario di maggioranza dei Golden State Warriors , rilasciò una lunga e interessante intervista al New York Times, intitolata ‘Cosa è successo quando i venture capitalist hanno preso il controllo dei Golden State Warriors’. Nemmeno dieci anni dopo, forse bisognerebbe sostituire nel titolo ‘Golden State Warriors’ con ‘NBA’. E, in un futuro non così lontano, ‘Sport professionistico’.

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Flavio Tranquillo