Lettera aperta a Iga Swiatek

Piangi ancora, Iga. Piangi e non vergognartene. Lascia che gli altri ti guardino, accendano il telefonino e ti puntino la telecamera. Che si diano pure di gomito con il ghigno della sicumera di chi al massimo può sapere cosa si prova in una sfida ai Giochi della Gioventù. Ti ho guardata mentre scappavi verso un mondo che non c’è, guardavi nel vuoto con un temporale che squassava i tuoi pensieri e bagnava le tue guance. Ti ho guardata senza parlare, senza cercare di invadere la tua solitudine con qualcosa che non avresti apprezzato. Senza documentare quel che stavo vedendo, condividendolo solo con me stesso nel rispetto del tuo dolore Ascoltali quelli che guardano il tuo prize money che supera i 30 milioni di dollari e magari pensano che ti basti aprire l’home banking per farti una ragione di una medaglia d’oro che ti avevamo già assegnata. Piangi Iga, piangi e metti al collo prima e in valigia poi quella che hai preso a Parigi. Piangi perché la ferita brucia, quella che per noi è una sconfitta per te è un dramma, una vergogna lacerante, qualcosa di insopportabile come una colica renale che ti prende mentre stai rispondendo alle solite domande nel corridoio della passione dove il plotone di esecuzione ha le armi dei microfoni e delle telecamere. Tira fuori tutto quel che hai dentro, ti stiamo guardando e vediamo una donna. Una donna viva, macerata dalla paura di aver perso un’occasione irripetibile. Ma lo sai quanti anni hai, Iga? Ne hai 23, sei del 2001 come Sinner. Quante cose puoi ancora fare a 23 anni…ne puoi disputare ancora due di Olimpiadi. Guarda la tua medaglia di bronzo, coccolala e non considerarla di un metallo da disprezzare. Già, ma perché hai pianto a Roland Garros anche a maggio dopo aver battuto la Osaka? Eri lì sul lettino e ti stavano massaggiando, quel piacevole momento nel quale i muscoli finalmente si rilassano. Loro, i muscoli. Sì, loro si sono rilassati. E rilassandosi loro ti sei rilassata anche tu e sei scoppiata a piangere. Dopo una vittoria, Iga! Ah, che cosa strana i nervi. Tesa come una corda di violino lo eri in campo. Corda di violino, magari corda di racchetta. E poi ecco il crollo, il tonfo nella voragine dei pensieri, delle parole, delle opere e delle omissioni. Anche lì, telecamere e telefonini puntati. Fregatene, Iga. Non curarti di loro, guarda avanti e domandati se ti manca qualcosa. E se sì, come mi sembra naturale, vallo a cercare. Trovalo. E quando lo avrai trovato ti chiederai sadicamente se fosse davvero quello che cercavi. Scoprendo che non lo era. Ben arrivata nella squadra degli inquieti, Iga. Di quelli che hanno sempre la sensazione di aver dato meno di quanto gli altri si aspettassero. Fatti guardare, Iga. Versale tutte, non trattenerne nemmeno una. Hai dato 6-1 6-1 alla Schmiedlova e forse le hai fatto pagare la tua frustrazione perché devi star qui fino domani e vederne due davanti a te sul podio. Piangi, fallo ancora. Ma non abbassare lo sguardo, Iga. Guarda dritto anche se hai gli occhi lucidi. C’è tanta forza nelle tue lacrime. Molta più che in quella di chi ti fa un sorriso prima di dire che sei fragile.