La locomotiva Hassan: quasi come Zatopek

È sempre difficile assegnare il titolo di uomo o donna dei Giochi, ma con la vittoria nella maratona Sifan Hassan ha come minimo guadagnato il posto tra i candidati. Nata in Etiopia, emigrata poco più che bambina in Olanda, mentre frequentava una scuola per infermieri si è accorta di essere veloce ma soprattutto resistente in pista. Dai 1500 alla maratona non c’è distanza che non abbia frequentato e dove non abbia vinto: tre medaglie d’oro Olimpiche, due Mondiali, altrettante agli Europei, il successo alle maratone di Chicago e Londra. A Parigi si era messa in testa di eguagliare Emil Zatopek, leggenda cecoslovacca, che alle Olimpiadi di Helsinki era salito sul gradino più alto del podio nei 5000, nei 10000 e nella maratona. Sifan c’è andata vicino: bronzo nelle due gare in pista e oggi il trionfo sui 42 chilometri, con l’immenso onore di essere premiata allo stadio prima della cerimonia di chiusura. Emil Zatopek, dunque, non sarà eguagliato nel suo triplice sforzo vincente. La locomotiva umana, questo il suo soprannome al punto che in Cecoslovacchia chiamarono Zatopeka un locomotore, rivoluzionò il mezzofondo prolungato nel dopoguerra, demolendo in serie i primati del mondo dei 5000 e dei 10000. A Helsinki tentò l’impresa giudicata impossibile, il tris di medaglie accoppiando le due prove in pista alla prova in strada. Non ebbe difficoltà a vincere 5000 e 10000, distanza dove era già stato oro a Londra ’48. Fece epoca, semmai, che mezzora dopo il suo successo nei 5000 la moglie Dana Ingrova conquistò l’oro del giavellotto. Lui dopo la gara era andato al villaggio Olimpico di Otaniemi, poi non resistette e tornò alo stadio: di nascosto, la moglie non amava averlo in tribuna. Il bacio tra i due dopo il successo di lei resta una delle foto olimpiche più iconiche. Restava, per Emil, la prova più difficile. Non aveva mai corso una maratona ed era ignaro dei ritmi da tenere. Prima di metà gara avvicinò l’inglese Peters, campione europeo e favorito: “Scusa Jim, stiamo andando forte o stiamo andando piano?”. Quello, convinto che la domanda rivelasse la difficoltà di Emil, provò ad allungare: qualche chilometro dopo finiva esausto a bordo strada. Zatopek, in effetti, era tutt’altro che fresco, confessò poi di aver pensato al ritiro e di aver proseguito solo perché molto lontano dalla città, ignaro se ci fossero mezzi per riportarlo al traguardo. Si trovò in testa con lo svedese Gustaffson, che a un rifornimento prese un limone. Con il consueto fairplay scandinavo ne offrì una metà a Zatopek, che rifiutò. “Se lui comincia ad andar forte al prossimo rifornimento prenderò due limoni”. Non ne ebbe bisogno: quando vide lo svedese vomitare e rallentare capì di aver la gara in mano. La vita di Emil non sarebbe poi stata felice come quella sportiva. Firmatario del “Manifesto delle 2000 parole” che appoggiava le riforme del governo Dubcek, cadde in disgrazia all’arrivo dei carri armati russi che invasero Praga nell’agosto 1968. Espulso dall’esercito, era colonnello per meriti sportivi, come oppositore politico fu spedito in un terribile campo di lavoro, nei cunicoli di una miniera di rame. Nel 2000 la federazione mondiale lo ha eletto miglior atleta uomo del ventesimo secolo. Sarebbe morto nello stesso anno, il 22 novembre. Nel giorno del suo funerale tutti i tramvieri di Praga fermarono le vetture per un minuto, suonando i campanelli. L’omaggio a un grande uomo e un grande atleta.

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