Sana e robusta costituzione? Domande sullo sport italiano dopo le Olimpiadi

Uno degli sport nazionali italiani, a ogni fine Olimpiade, è quello di commentare lo stato del movimento italiano. Spesso lo si fa da posizioni precostituite, talvolta si sceglie un’angolazione particolare. Altrettanto spesso si finisce per dare giudizi più o meno insindacabili alimentando curve opposte, che poi si autoalimentano in rete. Qualsiasi cosa si scriva può risultare vana, lo scriviamo in anticipo, perché poi i fatti, presto tardi, diventano l’unica cosa che conta. Partiamo dalle domande e non dalle risposte, proviamo a elencarle perché diventino un punto di partenza per studiare dati, tendenze, immaginare scenari e fornire qualcosa di empirico per trovare possibili soluzioni. Partiamo dalle prima allora: la spedizione italiana a Parigi porta a casa le stesse medaglie di Tokyo ma con due ori in più. E’ un indicatore di stato di salute assoluto dello sport italiano? O dietro questi successi e il luccichio dei metalli preziosi ci sono ombre? Molte discipline in Italia hanno la loro forza nella tradizione : questa tradizione sta reggendo il colpo alle innovazioni e all’emergere di nuove nazioni in diversi sport , oppure sta mostrando segni di crisi e se sì per quale motivo? Al tempo stesso, ci sono invece state innovazioni positive che hanno portato a far emergere l’Italia in sport in cui non esisteva prima una tradizione consolidata? Ci aiutano i fatti: le 40 medaglie arrivano da 20 discipline diverse, sintomo di una capacità multidisciplinare del movimento sportivo italiano . A ciò si aggiunge l'indice di competitività che vede l'Italia quarta dietro Stati Uniti, Cina e Germania, come sottolineato dal capo delegazione Mornati, che ha aggiunto un altro dato significativo: "Su 404 atleti arrivati a Parigi, 241 hanno disputato una finale. Una volta si parlava di medaglie inaspettate, oggi si parla di medaglie sfumate. È la più competitiva delegazione italiana di sempre". Ciò significa che, ad alto livello, la programmazione ha centrato molti degli obiettivi prefissati. Lo dimostrano anche i tantissimi quarti posti ottenuti, da record. Allarghiamo allora lo sguardo. Lo sport è entrato ufficialmente nella Costituzione italiana. Il 20 settembre 2023 è stato inserito, nell’articolo 33 della nostra Carta il seguente comma: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”. A seguito di questo fondamentale riconoscimento, applaudito e instagrammato da tutti, sono state messe in pratica politiche attive di sostegno e sviluppo dello sport italiano? In quale modo, tenendo presente che il bilancio pubblico è quello che è e che le risorse sono quelle che sono, lo Stato e più in generale l’Amministrazione pubblica nelle sue varie declinazioni può fare di più e meglio per promuovere lo sport di base e, insieme e allo stesso tempo di conseguenza, quello di eccellenza? Legate a questo tema ci sono altre domande che possono essere utili per fare un ragionamento di tipo globale. L’accesso allo sport è garantito a tutte e tutti oppure sta diventando un ulteriore generatore di diseguaglianze? Sentiamo, sempre più spesso, di costi proibitivi che rappresentano una barriera di ingresso per moltissime bambine e bambini: ci stiamo privando in partenza, con un sistema che rischia di diventare sempre più "censitario", di possibili campioni futuri? Ci sono forse un Mbappé o una Tara Davis-Woodhall da qualche parte, in una periferia milanese o palermitana, che non diventeranno tali per una mancanza di accesso di partenza alla pratica sportiva? Il tipo di approccio poi. In Italia si ha la sensazione di trattare i temi in compartimenti stagni, separati e classificati in termini di importanza. Quando si parla di sport, poi si finisce sempre a sentire: “E cosa facciamo, tagliamo fondi a sanità e scuola?”. A questo riguardo, un’altra domanda: è possibile cambiare l’approccio alla questione? Lo sport può essere una parte integrante delle politiche educative e di quelle sanitarie? Un paese in cui si pratica più attività fisica e si incoraggia e sostiene lo sport può diventare un paese in cui si hanno meno patologie e quindi minore stress per la sanità pubblica? Un sistema in cui lo sport è parte integrante della società, ne diventa un collante, non si aumenta il valore educativo, il senso di rispetto di regole e di comunità? Un paese in cui si pratica più sport, in definitiva, può diventare migliore in termini di benessere psico-fisico per i suoi cittadini? Quando si affrontano temi di politica sportiva, ha senso inquadrarli in piccoli orticelli, spesso ahinoi sempre meno fertili e talvolta sempre più avidi, o è sempre più necessario affrontarli in termini interdisciplinari? C’è poi il tema della cittadinanza. Una delle poche certezze è che l’Italia sta profondamente cambiando. Tra i medagliati italiani tantissime ragazze e tantissimi ragazzi con cognomi “stranieri”, non "tradizionalmente italici" direbbe qualcuno, con origini geograficamente lontane, di diversi colori. Ma tutti super italiani. Anche su questo tema possiamo porci diverse domande, sullo ius soli, sul come includere i figli degli immigrati non ancora ufficialmente italiani ma che lo sono già nei fatti perché vanno a scuola con i nostri figli, tifano la nostra nazionale, vanno ai concerti di Vasco o di Tananai. Vale in generale, come società, la domanda se stiamo includendo nostri concittadini oppure no, e come farlo al meglio. E vale anche per lo sport, che è pur sempre un pezzo di società ed elemento fondamentale di costruzione del senso nazionale . Le domande non finiscono qui, anzi, più ce ne sono, più ne nascono meglio sarebbe. Mettendo insieme i quesiti, analizzandoli con un approccio rigoroso, rimanendo sui fatti e non sulla “doxa”, si può forse cominciare a discutere di possibili soluzioni e miglioramenti per lo sport di base e, dall'altro lato, di come mantenere il livello raggiunto dalle nostre eccellenze. Sennò passeremo altre estati a discutere di sesso degli angeli e dei pugili, facendolo pure male.