Cos’è l’indice di competitività e perché i terzi sono sempre più felici dei secondi

Magari esiste un pianeta su cui vengono premiati i primi quattro. Il podio ha una forma un po’ più irregolare, la medaglia di legno è un traguardo ambito perché significa che sei quarto al mondo – in quel mondo – e davanti a te ne hai soltanto tre. Chissà come chiamano la medaglia solo immaginaria del quinto, quello che arriva ai piedi del podio ed è il più scontento di tutti. Andrebbe trovato qualcosa di meno nobile del legno . Così culturalmente ancorati alla narrazione del “primo, secondo e terzo”, finiamo spesso per dimenticarci del quarto. O, peggio, per disdegnarlo. Le ultime Olimpiadi hanno riportato il tema al centro della discussione, almeno in Italia nuova patria dei quarti posti. Quel piazzamento per cui abbiamo inventato una medaglia che nessuno vorrebbe mai ricevere, che brucia : al punto che se un podio nella 4x100 ti sfugge per 7 centesimi, a Jacobs scappa un “era meglio arrivare ultimi”. E il secondo allora, cosa dovrebbe dire? Il tema del grado di felicità sul podio, negli Anni Novanta, era stato indagato persino con uno studio psicologico divenuto abbastanza celebre: Victoria Medvec, Scott Madey e Thomas Gilovich, tre psicologi della Cornell University, sospettavano che chi vince il bronzo fosse più felice di chi vince l’argento, e alla fine giunsero alla conclusione che è proprio così. In molte discipline può dipendere dal fatto che chi riceve l’argento sia reduce da una sconfitta, con cui ha chiuso il suo cammino, mentre il bronzo ha il fresco ricordo di un successo, nella “finalina”. Ma principalmente la spiegazione del “bronzo più felice dell’argento” è legata a un meccanismo psicologico su cui si basa il nostro modo di ragionare, noto come “pensiero controfattuale”: altro non è che la capacità di immaginare “quel che sarebbe stato se” e di valutare le conseguenze dell’ipotesi alternativa. Fa parte della natura umana: chi vince l’argento si focalizza principalmente sulla beffa di non aver raggiunto l’oro, mentre chi si mette un bronzo al collo si concentra sulla fortuna di essere riuscito a portare a casa una medaglia scansando il rischio di rimanere a bocca asciutta. Se il secondo prova a immedesimarsi nel primo, e rosica, il terzo fa i salti di gioia a immaginare come debba sentirsi il quarto. A Parigi sono stati tanti i contributi dati dagli atleti stessi alla discussione, psicologica e filosofica: Nadia Battocletti ha ammesso di aver costruito sulla delusione del suo legno nei 5.000 l’argento nei 10.000, Benedetta Pilato con la freschezza dei suoi 19 anni ha provato a farci uscire dalla ristretta visione del “giù dal podio”, chiedendoci di allargare i nostri orizzonti e cambiare mentalità, e l’abbiamo guardata come si guarda un alieno . Di Jacobs e soci della staffetta abbiamo detto, Larissa Iapichino si è data della “bischera”, Simona Quadarella ha addirittura fatto double e ha sintetizzato la sua avventura in due macigni: “Delusione enorme”. Finché non è arrivato anche il Presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella, e li ha premiati tutti, dando una decisa svolta alla narrazione del podio: al Quirinale anche gli atleti italiani quarti classificati alle Olimpiadi, non più solo i medagliati. Per lui sono i “quarti al mondo”, non quelli rimasti giù dal podio. Anche perché, se è vero che le medaglie sono state 40 , i 20 quarti posti ottenuti dall’Italia hanno contribuito parecchio a innalzare "l'indice di competitività olimpica" del nostro Paese, il più alto dopo Stati Uniti, Cina e Germania in queste Olimpiadi. Di cosa si tratti l’ha spiegato il capodelegazione Carlo Mornati, illustrando i dati di una relazione tecnica: “Si parla delle medaglie perché sono sotto gli occhi di tutti – ha detto – ma la salute del movimento sportivo viene misurata anche da altri indici. L’indice di competitività tiene conto di tutti i risultati ottenuti nel quadriennio nelle discipline olimpiche e rappresenta la vera forza del Paese”. E in questo senso i quarti e quinti posti sono traguardi di eccellenza e danno la misura reale della forza di un movimento, che non può essere giudicato esclusivamente in base al successo o meno in una singola gara in cui magari la medaglia è sfumata per un centesimo o un centimetro. Le Olimpiadi di Parigi hanno confermato che pochi sanno destreggiarsi bene come l’Italia in tante discipline diverse. Sempre competitiva, in quasi tutti i campi. I numeri dell’indice di competitività ci dicono che agli occhi del Cio siamo la quarta nazione al mondo più forte nello sport. E sfidiamo chiunque a dire che siamo giù dal podio.

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