Bebe Vio Grandis: di quel bronzo che vale oro. E poi chiedetele se è felice

7 novembre 2010. Parigi, Grand Palais. Campionati del Mondo di scherma. Il fioretto femminile azzurro domina nell’individuale e nella prova a squadre: sul gradino più alto del podio Elisa Di Francisca, jesina, nuovo astro vincente della sala di scherma più medagliata del mondo. Argento per la ventiduenne Arianna Errigo; ‘solo’ bronzo, per sua maestà l’altra jesina, Valentina Vezzali. Lei, 16 volte oro mondiale e 6 volte oro olimpico, ha dovuto cedere la corona. La notizia è questa, apparentemente. Certamente lo è per una ragazzina di 13 anni arrivata dal Veneto eccitata e convinta di poter assistere dal vivo all’ennesima vittoria del suo mito. Quello a cui ha assistito è solo un preludio di quanto accadrà a Londra ai Giochi Olimpici due anni dopo, ma non solo per il risultato finale. Né la Vezzali, né la giovane tifosa, infatti, sanno che nel 2012 entrambe saranno nuovamente protagoniste, ciascuna inconsapevolmente legata all’altra da un fattore comune: entrambe sembrano nate per vincere e senza rendersene conto sono al mondo per ispirare. La piccola Beatrice è a Parigi ufficialmente per un altro motivo. Madrina dell'evento, direttrice artistica e regista dei cerimoniali del Mondiale più scenografico di sempre, nonché atleta protagonista della competizione di spada, è Nathalie Moellhausen, oggi brasiliana, all’epoca tiratrice della Nazionale azzurra. Nathalie ha da sempre una visione originale della scherma, la interpreta come una forma d’arte e vuole promuovere la bellezza di questo sport, come veicolo di ideali positivi, espressione delle capacità creative dei singoli, metafora della vita. Da Milano si è trasferita a Parigi per assecondare questa sua vocazione. Come chi scrive, ha appreso per caso della storia di una ragazzina di Mogliano Veneto che tutti affettuosamente hanno iniziato a chiamare “Bebe”. La storia di Bebe Reduce da un’esperienza forte, così la definiscono i suoi genitori, Beatrice vuole dedicare la sua vita alla realizzazione dei suoi ideali attraverso lo sport agonistico. Seconda di tre fratelli , è sempre stata una bambina capace ed estremamente attiva. Dotata fin da piccola di grandi qualità artistiche, brava a scuola, rappresentante di classe, nonché della scuola, attivissimo membro del “Consiglio Comunale dei Ragazzi” del suo Comune, valido aiuto in un asilo nido privato nel periodo estivo, Scout appassionata e schermitrice agonista di livello nazionale. All’improvviso, il 20 novembre del 2008, all’età di 11 anni, una meningite acuta le provoca una gravissima setticemia che le devasta le vene creando una serie di emorragie interne in tutto il corpo. Come terribile conseguenza di tutto ciò ha dovuto subire l’amputazione di entrambe le braccia ed entrambe le gambe attraverso una serie di complicate operazioni, effettuate durante i difficili mesi trascorsi in terapia intensiva in bilico tra la vita e la morte. Sembra l’inizio di una tragedia ed invece è l’inizio della storia fantastica che tutti noi conosciamo. Infatti, tornata a casa a settembre 2009 dopo mesi molto intensi e dolorosi passati tra ospedali e centri protesi, ha ripreso in mano la sua vita con forza e determinazione. Al momento dell’amputazione delle braccia Bebe era disperata perché temeva anche che non avrebbe potuto più dipingere, altra sua grande passione, praticata da sempre con lodevoli risultati. Sua madre Teresa, artista a sua volta, per consolarla le dice: “l’Arte è nella testa, non nella mano”. Bebe fa subito sua questa frase e, non appena in grado, si fa attaccare il pennello al moncone con del nastro adesivo e riprende a dipingere degli straordinari acquarelli. Da lì l’idea: Bebe diventa la responsabile creativa dell’associazione no-profit art4sport ONLUS nata alla fine del 2009, ispirandosi alla sua vicenda, con lo scopo di reperire fondi per aiutare bambini amputati a praticare lo sport. Bebe però vuole riprendersi subito anche la scuola e gli Scout con le nuove protesi di gambe e braccia e, nell’aprile del 2010, non appena riescono a studiarle delle protesi sportive adatte e funzionali, riesce a riprendere la sua grande passione, la scherma, prima disabile al mondo a tirare con delle protesi alle braccia. Nel maggio del 2010 partecipa alla sua prima ‘nuova’ gara a Bologna vincendo tutti gli incontri . A giugno è invitata agli Assoluti italiani di scherma paralimpica a Foggia, anche se fuori classifica in quanto l’età minima per partecipare è 16 anni. Risultato: vince la sua categoria di disabilità “C” e pure quella superiore “B”. È seconda assoluta dietro la vincitrice del torneo . Bebe ha appena iniziato la stagione agonistica di scherma con ritiri e gare nazionali ed internazionali ancora da definire. Il Maestro Zub, nelle vesti di vice del c.t. della Nazionale paralimpica, convinto dalle sue potenzialità, spinge per prepararla per le Olimpiadi di Londra 2012, mentre il c.t. Giovannini preferisce un percorso più adatto alla sua età ed alla sua condizione fisica ancora da recuperare, che contempla tempi più lunghi, passando attraverso gli Europei nel breve, i Mondiali a medio termine, per poi culminare con le Olimpiadi di Rio 2016. Nell’ambito delle attività correlate alla kermesse iridata, che nel 2010 assegna parallelamente i titoli mondiali agli schermitori delle categorie olimpiche e paralimpiche, Nathalie Moellhausen realizza anche un calendario molto patinato, con scatti d’autore, in stile Pirelli, dal titolo “Lame et Or” e decide di devolvere parte dei ricavati delle vendite alla neonata associazione art4sport, per questo motivo, invita ‘Bebe’ - così hanno già iniziato a chiamarla tutti - al Grand Palais come guest star, ospite d’onore, portandola così alla ribalta nel contesto internazionale. La famiglia Vio-Grandis non ha ancora chiaro dove la condurrà quest'esperienza, eppure vuole assecondare i propositi di Nathalie, anche solo per la volontà di abbracciare in pieno un approccio genuino allo sport. La cornice meravigliosa, il pubblico entusiasta e il profumo di sogni che respira a Parigi le lascia però la forte consapevolezza che in fondo basta crederci. Il primo passo è sempre questo. Porta a casa un souvenir ‘inoubliable’. Indimenticabile. Tutti abbiamo dei sogni da piccoli. Col passare degli anni e delle circostanze li coltiviamo o li abbandoniamo, li plasmiamo o li radichiamo, li inseguiamo, li assecondiamo, o semplicemente li riponiamo in un angolo della nostra mente e non appena possiamo li rispolveriamo e con cura li rimiriamo. Ma solo quando abbiamo la fortuna di condividerli con gli altri comprendiamo quanto immensa sia la soddisfazione di averli realizzati. Ed è allora che diventano sogni ad occhi aperti e c'è più gusto a celebrarli. Così Beatrice celebra con immensa gioia la splendida medaglia di bronzo mondiale di Nathalie Moellhausen, come anche l'incredibile tripletta azzurra del fioretto femminile, con l’oro di Di Francisca, l’argento della Errigo e sì, anche il bronzo della Vezzali, ma pure le combattutissime altre 6 medaglie di bronzo conquistate da Matteo Betti, William Russo, Alessio Sarri e Loredana Trigilia : 4 moschettieri a cavallo della loro carrozzina. Certamente meno celebri dei loro colleghi ‘normo’, ma pur sempre eroi e magnifici protagonisti di una disciplina che ha nella sfida la sua essenza ultima. Dalle pedane alla quotidianità, la via mostrata dagli schermitori è una sola: vivere è una sfida, e nulla è impossibile quando si ha passione, tenacia, fantasia, positività. Basta non smettere di sognare. Il viaggio a Parigi regala ai Vio-Grandis la possibilità di condividere tutto questo, di vedere che quello per cui stanno lavorando può davvero portare a qualcosa di positivo. L'integrazione è possibile e lo sport è la via giusta. Due anni dopo, Beatrice andò a Londra portando la fiaccola olimpica come futura atleta paralimpica. Portabandiera azzurra fu Valentina Vezzali, che poi, nella gara individuale, incredibilmente perse di nuovo un oro, ma altrettanto incredibilmente vinse un bronzo. Bebe fu allora anche inviata e giornalista per Sky Sport, dove aveva avviato anche uno stage come grafica e, neanche troppo scherzando, un giorno disse che, come direttrice, le sarebbe piaciuto tornare… chissà. Quel che è passato da allora a oggi, anche le pietre forse lo potrebbero raccontare. 6 settembre 2024 Parigi, Grand Palais. Giochi Paralimpici di scherma. Beatrice Vio Grandis, già due volte campionessa paralimpica a Rio e Tokyo, ha conquistato la sua sesta medaglia paralimpica. Il secondo bronzo di questi Giochi. Quasi quattordici anni dopo, di quel giorno in cui accompagnai a Parigi i Vio-Grandis io conservo ancora alcune fotografie. Negli occhi però conservo il ricordo più bello di una bambina, oggi diventata donna, che ancora non smette letteralmente di perdere pezzi, ma nemmeno di far battere i cuori. I suoi occhi che ridono, brillano e ardono di passione anche e soprattutto quando perde e si deve rialzare, perché come dice lei: “se sembra impossibile, allora si può fare”. A due anni, ai suoi genitori, trascinando un borsone gigante per le scale, disse: “Io posso fare tutto quello che io voglio fare”. Quella frase per anni è rimasta appesa al frigorifero di Mogliano, ma sembra una di quelle espressioni da tatuarsi o postare. Io vorrei suggerirla a tutti quelli - tanti - che in questi giorni mi hanno detto: “Ma Bebe non ha vinto…”; oppure: “Eh, ma ormai pensa solo alle copertine, ecco perché solo un bronzo!”. Già, solo un bronzo. Andatelo a dire a quelli di Riace! Tutti sanno che cosa sono, ma in pochi conoscono il mistero che circonda queste statue ritrovate nelle profondità del mare, che da oltre duemila anni sfidano il tempo e rimangono a testimoniare la grandezza del passato. Nonostante la loro straordinaria bellezza e il loro stato di conservazione, non si sa ancora con certezza chi le abbia realizzate, né come siano finite in mare. Il bronzo è un materiale noto per la sua capacità di resistere al tempo, è una metafora perfetta di resilienza, una lega di forza e bellezza, che rispecchia la combinazione di tenacia fisica e determinazione emotiva. Quanti, immersi nel profondo, saprebbero realmente recuperare sé stessi, ritrovando la propria forza nella sfida? Lo sport regala storie appassionanti e avvincenti anche lontano dai campi di gara. Eroine e personaggi vincenti anche quando l'importante è solo partecipare. Il segreto? La passione, il coinvolgimento, la voglia di mettersi in gioco, la voglia di giocare. Spesso dimentichiamo o semplicemente ignoriamo il senso di questo verbo, troppo presi dalle esasperazioni cui la quotidianità ci ha abituati, troppo abituati a confrontarci con una realtà in cui apparire belli e vincenti è l'obiettivo da raggiungere. Vale la pena di ricordare che, fin dall'infanzia, attraverso il gioco il bambino interagisce con il mondo esterno, si incuriosisce, approccia, evolve, cresce. Nulla vieta di dare al gioco regole e ruoli, protagonisti e spettatori, palcoscenici e riflettori. Purché resti gioco, purché consenta a tutti di partecipare. È un'occasione per dimostrare a chiunque attribuisca a un problema familiare o personale, a una condizione di partenza non ottimale, a un imprevisto che ha complicato la vita, l'alibi per non sentirsi ‘normali’ - che chiunque può esserlo: può sfidare innanzi tutto sé stesso e vincere quella sfida e - proseguendo per questa strada - eccellere fino a rappresentare il proprio Paese e vincere, perché no, una medaglia olimpica, paralimpica. Oppure no, diventando comunque in questo modo un esempio non solo come atleta, ma anche come uomo, o donna per tutti quegli uomini e donne che credono di non potercela fare. Restando in tema di citazioni, mi ha sempre colpito una frase attribuita a Muhammad Ali: “I campioni non si costruiscono in palestra, ma partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione”. Campione nelle scienze applicate è la parte dell'oggetto della ricerca da sottoporre a esperimento In statistica è il numero di rilevazioni fatte per l'indagine. In metrologia una grandezza di riferimento. Nello sport è il vincitore di una competizione. Per me è l’espressione di qualcosa di molto più profondo: un desiderio, una visione, un sogno. Il sorriso con cui lo si condivide è la chiave di tutto. Provate a chiedere a Beatrice se è felice. E poi, chiedetevelo anche voi.