Pesa, ma non scotta: quando tenni tra le mani la fiaccola

Qualche volta me lo sono chiesto: ma cosa ha rappresentato la fiaccola per me? Forse la risposta migliore è questa: la chiusura di un cerchio. Un cerchio bellissimo, che ha rinnovato una delle emozioni più forti della mia vita. Per spiegarlo meglio, non devo partire da quell’8 dicembre 2005 ma dal 29 agosto 2004, quando ad Atene, allo stadio Panathinaiko, arrivavo stremato alla fine della Maratona. Quella che mi ha regalato l’oro, quella che mi ha fatto esultare e sorridere come penso mai prima in vita mia. Ecco, parte da lì. Da 15 mesi e qualche giorno rispetto a quell’8 dicembre dove ho visto, anzi rivisto, il Presidente Carlo Azeglio Ciampi per il primo passaggio della torcia. Sì, sono stato tedoforo. E ripeterlo mi fa ancora oggi tanta impressione ed emozione. Perché sono stato l’ultimo premiato ad Atene, e il primo a portare la torcia olimpica in Italia nel 2005. A Roma c’era molto freddo: una giornata perfetta per celebrare le Olimpiadi Invernali di Torino che si sarebbero svolte nel 2006. Essere il primo è stato un enorme privilegio per me e avevo già le farfalle nello stomaco da molte ore: sono arrivato al Quirinale in borghese, mi sono cambiato in una delle stanze presidenziali, ho aspettato che arrivasse il Presidente con quella torcia pesantissima, cosa che lo stesso Ciampi non ha dimenticato di sottolineare. “Baldini, riesce a prenderla presto? È pesante!”, mi disse. Solo che quella staffetta in particolare doveva essere molto lenta: c’erano i fotografi, c’erano le televisioni, doveva essere tutto documentato nel minimo dettaglio. Il Presidente non era un giovanotto di certo, ma si percepiva tutta la sua forza: ci eravamo già conosciuti durante le cerimonie post Olimpiade di Atene, rivederci in quell’occasione è stato per me fonte di immenso piacere. Era pesante, la torcia, ma non calda: la bomboletta di gas che tiene accesa la fiamma è bene isolata e alla fine il percorso prima del cambio è molto breve, circa un chilometro di strada. L’ho percorso delicatamente, dolcemente: la discesa dal Quirinale fino al punto di passaggio è stata per me bellissima, mi ha fatto davvero sentire il rappresentante del mio sport per l’Italia. Ed esserlo nel proprio Paese rende il tutto ancora più magico. Perché alla fine quando vinci una medaglia, sali sul podio, festeggi, esulti, sei ancora nel frullatore. Mi spiego: sei ancora caldissimo, quasi frastornato. Non ti rendi conto davvero di aver vinto: foto, esultanze, persone che ti abbracciano… A distanza di qualche mese, invece, la vittoria è metabolizzata ed essere convocati per portare la torcia olimpica assume un’emozione diversa, ma non meno intensa. Sono stato ambasciatore, hanno deciso che dovessi esserlo io: un riconoscimento del genere ti rende orgoglioso. Come sono sicuro che renderà orgogliosi i 10mila e 1 tedofori che porteranno la torcia fino a Milano. La divisa, ho visto, è molto simile alla nostra: bianca con i cerchi olimpici. E vedere Paolini e Ganna partire dallo stadio Panathinaiko, quello in cui io ero arrivato nel 2004, mi ha reso davvero molto felice: erano sorridenti, certamente emozionati ma consapevoli di quello che stavano facendo. Lo saranno pure tutti gli altri, magari anche quando attraverseranno i paesaggi innevati che ci avvicineranno ancora di più alle prossime Olimpiadi invernali. Il valore di essere tedoforo è anche questo: non solo rappresentare, ma iniziare a sentire quello che poi proveranno tutti gli atleti. Pronti a vivere, e a farci vivere, un’altra splendida Olimpiade.

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Pesa, ma non scotta: quando tenni tra le mani la fiaccola

Stefano Baldini