Rugby, Italia-Argentina è una sconfitta pesante: ma non è tutto da buttare

Non bisogna fare un dramma. Certo è un po’ come se ti avessero svegliato da un bellissimo sogno, due vittorie e un pareggio nel Sei Nazioni, l’ottavo posto nel ranking mondiale, e ti trovassi all’improvviso davanti a una realtà diversa, molto diversa. Quale? L’Argentina appartiene a un’altra categoria, all’élite dell’emisfero sud, è abituata a giocare, e, spesso, pure a vincere, con i campioni del mondo del Sudafrica, con gli All Blacks e con l’Australia. A Udine è arrivata con l’abitudine alla velocità e alla qualità del Rugby Championship, il Quattro Nazioni del Sud del mondo, con la consapevolezza della propria forza e con una profondità sconosciuta fino a qualche tempo fa. Tradotto: se ti mancano pezzi fondamentali come Matera, Kremer, Lavanini, Chocobares, Mateo e Santiago Carreras sei in grado di infilare nelle maglie dei titolari giocatori che hanno magari meno esperienza ma un ottimo livello da condire con freschezza, voglia di emergere, di prendersi il posto. Insomma l’Argentina è molto più lontana di quanto si pensasse. E uno shock da 50 punti e 7 mete subite può persino essere salutare, ti invita a non credere di essere ‘arrivato’, ti stimola a migliorare, a capire che gli altri corrono in avanti, sono sempre più competitivi e ti devi adeguare. I test match, che qualcuno pensa ancora incredibilmente siano solo amichevoli, sono come dicono gli anglosassoni “a different beast”, e non servono traduzioni. Crudi, duri, mettono a nudo anche i più piccoli difetti. La cosa migliore. A Udine, al secondo test match azzurro della storia dopo quello del 2009 contro il Sudafrica, la passione del pubblico nella bomboniera dello Stadio Friuli è andata di pari passo con la percezione che il rugby cominci a essere digerito bene. Basta coi luoghi comuni del “è difficile, troppe regole”, di chi ha atteggiamenti calcistici, che ti portano a capire solo la vittoria, a inveire contro arbitri e avversari, o alla curiosità di affrontare il ‘diverso9 perché sta diventando di moda. Niente di tutto questo: gli applausi convinti alla fine per i Pumas sono la più evidente dimostrazione che il rugby sia portatore sano di valori autentici, e non perché ci fossero tanti argentini, italo argentini con regolare camiseta albiceleste. Apprezzare un’azione difensiva, un furto di un pallone in rimessa laterale o nel punto di incontro, sta diventando un’abitudine. Per i placcaggi la faccenda è di più facile comprensione. Il rispetto per gli avversari e per l’arbitro. Quindi non solo mete o piazzati, c’è molto di più. La diffusione del messaggio culturale-sportivo sta cominciando a…filtrare. Nonostante la scuola faccia poco, anzi nulla. La distanza tra Roma e Buenos Aires è spaventosa, anche in questo, non solo nel punteggio. Tutti conoscono almeno un po’ il rugby, tra istruzione e club ci passano in tanti. E parliamo della nazione campione del mondo nel calcio! Si salvi chi può. Per entrare nella partita, per una critica del giorno dopo, a mente fredda, la prima cosa che ti viene in mente è il fatto che Italia e Argentina siano in fondo simili, e non solo per gli inevitabili intrecci che ci legano, le similitudini, la parentela più che latina, ma per il modo di giocare, per l’atteggiamento rugbistico. E allora come spiegare la batosta, 18 a 50. 2 mete a 7? L’abitudine, come già detto, a partite di altissimo livello, e soprattutto la capacità di trasformare le occasioni, chiamiamolo cinismo, di ridurre al minimo gli errori, troppi per l’Italia, compresi i placcaggi sbagliati e le palle perse, di recuperare i palloni nel cosiddetto breakdown, se preferite nei punti di incontro, una mediana che ha usato il piede, e non solo, vedi Albornoz, Man of the match, benissimo. Dettagli? Più che dettagli, sostanza. La mischia è andata a strappi, come il primo tempo, venti minuti per i Pumas, venti per gli azzurri. Cinquanta i minuti in cui l’Italia è rimasta in partita, pochi, troppo pochi. Menoncello il migliore, non una novità, visto che è stato eletto giocatore del Sei Nazioni 2024. Con lui, il solito Brex, due che potrebbero giocare in tante altre nazionali, e poi Ioane, ala capace di fare la differenza, da innescare ancora di più. Voto positivo per Negri, con la sua infinita capacità fisica di affrontare il diretto avversario, per Spagnolo, alla prima da titolare, per Lucchesi e per chi è arrivato in prima linea dalla panchina. Serve di più. Anche perché adesso c’è il test più test di tutti, quello contro la Georgia, che ci ha battuto due anni fa a Batumi, e che reclama da tempo un posto tra le nazioni di Tier 1, di prima fascia. Uomini che hanno il combattimento nel DNA, che non mollano mai e che continuano a costruire, ad aggiungere voci nel curriculum tecnico, con la forza e la costanza di chi si guadagna da vivere giocando abitualmente nei club esteri, soprattutto in Francia. Attenzione!

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